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"La principessa nel paese dei mass media" (pagina 2) Paolo Mancini
Ma
soprattutto nell'intervista c'è un passaggio fondamentale che illustra
alla perfezione come Diana intendesse il suo status reale, a quale
compenetrazione tra sentimenti della gente e monarchia pensasse: "I'd like to
be a queen of people's hearts, in people hearts but I don't see myself being
Queen of this country". E così pure l'ammissione dell'adulterio commesso
con il maggiore Hewitt è parte dell'esplicitazione di una scala
gerarchica dei valori in profondo contrasto con la freddezza, la separatezza
della monarchia. Nell'intervista vengono urlate tutte le richieste, i bisogni
della modernità drammaticamente in conflitto con quelli della tradizione.
Viene
urlata la bulimia, vengono confessate le ferite apportate al proprio corpo,
alle gambe, alle braccia. Tutta la stampa che per molti giorni ne ha parlato,
ha letto questa intervista come esplicitazione del conflitto, tutti l'hanno
interpretata come un atto di guerra nei confronti della monarchia e della
regina in particolare. Non a caso quest'ultima sembra aver rotto i ponti con la
Bbc dopo l'intervista che aveva ospitato questo atto di guerra di colei che
veniva ormai disegnata da tutti i media come un'avversaria. Il Times,
particolarmente attento, come è già stato detto, agli aspetti
istituzionali della vicenda, titola il 21 novembre 1995: "I will not go
quietly, says the Princess" mettendo in evidenza l'accentuazione del clima di
scontro che l'intervista rinfocola.
Ma
l'intervista rappresenta anche l'infrazione a tutte le regole che finora
avevano diretto il rapporto dei membri della famiglia reale con i mass media:
mai si era verificata una così esplicita ammissione delle proprie colpe,
dei propri sentimenti, dei propri bisogni, delle proprie debolezze.
E'
un soggetto assolutamente umano, quello che parla, non più un distante
partecipe della tradizionale monarchia inglese.
Nella
logica dei tabloid
La
data, per così dire, ufficiale di nascita dei tabloid inglesi è
il 1896 quando Alfred Harmsworth, più tardi nominato Lord, lancia il
Daily Mail. E' un giornale, sul modello dei giornali della Penny Press
americana, che costa poco e che abbraccia i più svariati argomenti
indirizzati, come sostiene il suo stesso fondatore, al "Busy man". A questo
uomo, in forma stringata e succinta, il Daily Mail offre tutto ciò che
può interessare per la vita quotidiana: dallo sport al pettegolezzo,
dalla politica ai titoli di borsa. Il successo è senza precedenti: nel
1900 il Daily Mail arriva a vendere già un milione di copie al giorno ed
il suo editore lancia in quello stesso anno il Daily Mirror (Engel, 1996;
Franklin, 1997). Gli altri giornali seguono negli anni successivi e, anche in
questo caso, il loro successo è generalizzato tanto che la loro
diffusione totale passa dai 3.000.000 di copie giornaliere ai 10.600.000 del
1939 e quindi ai 15.500.000 del 1947 (Murodck-Golding, 1978).
La
crescita nella diffusione dei quotidiani continua fino agli anni '60 quando
inizia, al contrario, un'inarrestabile periodo di recessione nelle vendite
nonostante che la fase tra il 1986 e il 1990 venga da molti indicata come "the
golden period" della stampa inglese per il numero di testate che nascono. La
circolazione complessiva dei quotidiani inglesi, inclusi quelli della domenica
scende dai 38.420.000 copie giornaliere del 1965 ai 29.924.000 del 1997
(Franklin, 1997). Il calo è generalizzato e coinvolge tutti i quotidiani
ad esclusione del Financial Times e, in parte, del Times, per i motivi che
vedremo più avanti, ed ovviamente dei nuovi quotidiani che nascono. Il
calo è ancora più vistoso per i tabloid (Daily Mirror, Daily
Express, Daily Mail, Sun, Daily Star, Today) che scendono dai 12.724.000 copie
vendute nel 1965 agli 11.556.000 del 1993. Fa eccezione, almeno nel periodo
1965-1985 il Sun. Il calo prosegue anche negli ultimi anni e complessivamente,
i quotidiani inglesi perdono l'1,21% delle copie nel periodo novembre
1996-novembre 1997.
Il
calo si spiega ancora una volta con il ruolo della televisione che,
indubbiamente ruba lettori ai giornali diventando la principale fornitrice sia
di informazione che di intrattenimento. Nello stesso tempo gli inglesi sembrano
aver risparmiato sulle spese dei quotidiani, così mentre prima molti ne
leggevano due, oggi si limitano ad un solo quotidiano. Questa interpretazione
trova concordi tutti gli osservatori (Franklin, 1997; Sparks, 1992). Il calo,
dunque, non sembra poter essere imputato all'ibridizzazione dei quotidiani, non
si spiegherebbe altrimenti la crescita del Times il quotidiano che più
di tutti è stato coinvolto nell'ibridizzazione stessa e che invece
aumenta le vendite dopo l'acquisto di Murdoch nel 1981 che ne cambia la natura.
Certo, si può pensare che il sempre crescente sensazionalismo possa alla
fine aver creato disaffezione e che ugualmente l'omologazione crescente dei
quotidiani, fenomeno che interessa anche la Gran Bretagna, spinga ulteriormente
verso la televisione.
La
storia recente dei tabloid inglesi è essenzialmente legata alla figura
di Rupert Murdoch, mogul multimediale e multinazionale. Egli ha un ruolo di
primo piano nella costruzione del divismo di Diana e, come abbiamo visto, nel
conflitto tra la principessa e la monarchia. Nel 1969 Murdoch acquista il News
of The World, giornale popolare domenicale, e quindi il Sun. E' in questo
periodo che inizia una furiosa competizione con gli altri tabloid,
essenzialmente con il Daily Mirror, proprietà, fino a tutti gli anni
'80, dell'altro mogul della stampa britannica, Robert Maxwell. Passando dal
1.361.000 copie vendute al giorno nel 1965 ai 4.065.000 del 1985 il Sun supera
il Mirror. La competizione tra testate si fa ancora più accesa quando
nel 1981 Murdoch acquista anche il Times con il quale inizia una spregiudicata
politica di abbassamento del prezzo di vendita per sconfiggere i competitori
(Tunstall Plamer, 1991). Nello stesso tempo Murdoch cambia radicalmente la
politica editoriale del giornale facendogli perdere quel carattere di giornale
d'élite che aveva avuto fino ad allora.
E'
in questo momento che il processo di tabloidizzazione si accentua in modo
sostanziale premiando ampiamente sia il Sun che il Times.
Come
più volte detto, nella storia di Diana e nella costruzione del suo
personaggio il ruolo maggiore lo hanno avuto i tabloid. Diana si adattava
perfettamente alla loro logica: univa bellezza a ruolo istituzionale, proponeva
infrazioni ad attese precostituite e contemporaneamente l'esaltazione di
carità e compassione. Insomma Diana offriva una sapiente combinazione di
storie di vita quotidiana e di argomenti di interesse pubblico all'interno di
una nuova concezione di cultura popolare basata sulla presenza di una
narrazione forte che prende a prestito ed usa espedienti retorici consolidati,
metafore umane ampiamente accettate e di facile interpretazione.
E
nello stesso tempo questa nuova cultura popolare che sembra essere propria dei
tabloid inglesi di questi ultimi anni offre quasi sempre anche una lezione
morale di facile e non contrastata valenza (Connel, 1992). Al fondo della
storia di Diana c'è, abbiamo visto, l'immagine della vittima che suscita
pietà e sdegno, c'è l'immagine ricorrente della donna
caritatevole, l'amore per i figli e ancora, a rendere più umano il suo
personaggio, il cedimento di fronte alle passioni più comuni, agli
archetipi più noti. C'è anche la condanna di comportamenti
disdicevoli, c'è il dubbio sulla capacità di Diana di svolgere
correttamente le sue funzioni regali. E il conflitto che i tabloid dipingono ha
sempre una dimensione morale: sia che nel ruolo dell'eroe è la
principessa Diana o la monarchia, il racconto del giornalista mette sempre in
luce la morale conclusiva, mostra, con semplicità disarmante, dove sta
il bene o il male. Non si fermano gli sconosciuti per le scale della palestra,
come fa Diana, ma non si impongono neanche convenzioni e vincoli di
comportamento ormai vecchi e stantii, come la monarchia pretende di fare con la
giovane principessa. Alla stessa maniera, e in modo ancora più
disarmante, non sta bene toccare con l'ombrello il sedere dello sconosciuto
seduto davanti come, riportano i tabloid inglesi, Diana è stata sorpresa
a fare ad Ascot.
Cultura
popolare è in questo senso banalizzazione e rafforzamento della
narrazione stereotipata con l'esaltazione, anche, di una morale semplice, ma
anch'essa primordiale, almeno in relazione ai tempi della modernità.
Tutte
le costituenti di quest'ultima vengono esaltate dai tabloid: è in questo
modo che Diana impersonifica la cultura del "all you need is love" in quanto
essa è condivisa dal gran numero di lettori che si intendono
raggiungere. E' la cultura dominante nella piccola e media borghesia inglese,
quella che tradizionalmente legge i tabloid, che ne ha fatto la fortuna, che,
soprattutto, ha condiviso il cordoglio per la sua morte.
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