Caffe' Europa
 
Editoriale

Pierre Bourdieu in orbita come Glenn

Giancarlo Bosetti

 


Pierre Bourdieu in orbita come Glenn

Chi e' Bourdieu

Quando la televisione invade il campo

"Meditazioni pascaliane", ovvero per una "critica della ragione scolastica"


Consacrazione record

Settanta pagine di dossier sul Magazine littéraire — il che significa quasi l'intera rivista — sono una consacrazione record per un sociologo. Poco importa che molti articoli siano di dissenso, non fanno che accentuare l'affermazione di quello che si presenta come l'"intellettuale dominante" (sia pure con l'interrogativo). Ma per Pierre Bourdieu questo e' solo l'ultimo atto di una crescita mediatica di cui non si trovano precedenti se non si torna agli anni ruggenti degli intellettuali engagés, i Sessanta e i Settanta, quando pero' i mass-media non avevano ancora sviluppato tutta la loro potenza pervasiva. Prima del Magazine c'erano state le copertine dei grandi settimanali parigini, le interviste su diffuse riviste giovanili (come Les Inrockuptibles), il passaparola non solo tra i lettori di testi colti e difficili ma tra i ragazzi delle banlieues. Bourdieu in Francia e' entrato nello slang della gente comune, nelle chiacchiere da bar e da discoteca, nelle vignette: vuol dire ribellione, contestazione, ma anche rifiuto delle apparenze sociali. Pensare à la Bourdieu vuol dire smascherare i rapporti di potere dietro i gesti della vita quotidiana, dietro le quotidiane sopraffazioni e umiliazioni.

Tutto e' cominciato nell'inverno del 1995. Diciamo "cominciato" sempre sul piano mediatico perche' sul piano scientifico l'autore de La distinzione (in Italia pubblicato dal Mulino) o della Misère du monde (diventato persino uno spettacolo teatrale, altro record per un sociologo), di Noblesse d'Etat, Ragioni Pratiche e tante tante altre opere formidabili non e' certo una scoperta recente.

 

Alla Gare de Lyon

In quell'inverno di tre anni fa questo gia' celebrato accademico del Collège de France, mentre tutta l'Europa stringeva la cinghia per entrare nei parametri di Maastricht e mentre il primo ministro Juppé cercava di mettere mano a una riforma previdenziale che scatenava la reazione del pubblico impiego, scendeva in piazza e arringava i ferrovieri alla Gare de Lyon, proprio come Jean-Paul Sartre nel 1968. Mentre tutti invocavano i benefici della "flessibilita'", dell'out-sourcing, dello smantellamento dei "privilegi" delle categorie piu' protette dal welfare, Bourdieu metteva in moto una reazione contraria, giocava decisamente contro la corrente principale del "pensiero unico" delle banche centrali, del governo francese (che sarebbe poi stato liquidato dagli elettori a beneficio di Jospin) e di Herr Tietmeyer (che oggi deve vedersela anche lui con gli elettori che hanno portato al governo la Spd e subire le bordate di Lafontaine). Bourdieu non accettava la prospettiva, fatta propria anche da molti intellettuali progressisti e pure vicini ai socialisti francesi, secondo la quale quelle riforme di "riequilibrio" del welfare erano necessarie anche per tutelare gli "esclusi" e favorire la crescita dell'occupazione. Ancora oggi molti non glielo perdonano e lo accusano di demagogia e di disonesta' intellettuale.

Fascino della socioanalisi

Non intendiamo e non possiamo risolvere qui una discussione che ha l'aria di voler proseguire oltre la fine di questo secolo. Qualche puntata la si e' vista sulle pagine di Esprit, di Le Monde e, in Italia, su quelle di Reset (http://www.reset.it, che si e' gia' molto occupata di Bourdieu, parlando dei suoi libri e ospitandola sua rivista, Liber) e di qualche quotidiano. Ma non possiamo neanche lavarcene le mani, limitandoci a ribadire che l'importanza del pensiero di Bourdieu sta nella sua sociologia e che la sua politica riflette le idiosincrasie di una mentalita' radicale e ribelle. Non c'e' dubbio che la grandezza e il fascino di questo pensatore stanno nelle opere, nelle ricerche, negli articoli dove il lettore fa la conoscenza della sua "socioanalisi", in quelle pagine che scrutano nei nostri comportamenti, nel nostro "habitus" di individui collocati sempre dentro rapporti di potere, dentro riti, abbigliamenti, posture, gusti e linguaggi che parlano del posto che sempre occupiamo su una scala, dove c'e' chi sta sopra e chi sta sotto.

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