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Melandri e gli altri "postumi di sinistra"

Roberto D'Agostino

 

Roberto D'Agostino

Intorno ai tardi anni Novanta si è verificato un evento insospettabile e forse ancora, se non da pochi, insospettato. Nasceva e cominciava ad ascendere il Postumo di Sinistra: ma mimetizzato nel discorso ironico, nel ragionamento magari un po' infantile e "piacione", e perciò l'evento non ha acceso segnali di pericolo. Ed ecco magnificata una generazione quaranta-e-qualcosa con il suo ideale di piacere in opposizione alla generazione precedente tormentata dalla Diversità fu-comunista, ossessionata dal materialismo della Vita Borghese, infuriata con la prosaica e decadente Estetica del Benessere Egoista che la destra non finisce mai di celebrare.

Così il Postumo di Sinistra è stato blandito, applaudito, vezzeggiato. Alleluja: ecce Homo Novus et Bonus che fa sepoltura di quell'ambigua e vanitosa mezza cultura italiana che amava blandire e vezzeggiare la miseria morale e politica del terrorismo, il capriccio della "contestazione globale", il dogma della cosiddetta "centralità operaia", il singolare convincimento di incarnare un "modello" di partito superiore in ogni senso a tutti gli altri e in ogni senso "diverso".

Certo: l'operazione di liposuzione ideologica e lifting culturale mostrava una crescente propensione per la cultura-spettacolo. Intano, per sopravvivere al logorio della vita comoda, meglio atteggiarsi a campagni di banco anziché a compagni di partito; avanti i compagni di giochi, dietro la lavagna i compagni di classe. Gli ex ragazzi che volevano portare l'immaginazione al potere, comprendono al volo che è meglio lasciare a casa l'immaginazione per arrivare al potere. Senza preoccuparsi troppo dell'immaginazione, ma tantissimo dell'immagine. Che deve essere la più "gradevole" possibile. Il "centro-medio" vuole consolazioni, esige menzogne piacevoli, glassate di melassa. Quarant'anni di democristi andreottiani, del resto, non si digeriscono con una effervescente pastiglia di Alka-Seltzer. Quindi i nostri Postumi in carriera sono bravissimi a scodellare queste consolazioni, le più immediate e rilassanti possibili, grazie anche alla somiglianza e vicinanza di Veltroni, Melandri, Rondolino agli eroi della cultura-spettacolo, e per sintetizzare, ai Benigni-Moretti-Ferilli-Verdone-Fabio Fazio, perché queste sono in definitiva le facce più rappresentative e vincenti del massiccio ceto-centro medio al potere.

In fin dei conti, avranno pensato, è meglio vendere l'immagine del cervello. L'idea di una cultura irriverente, radicale, o veramente antagonista li terrorizza perché non fa più audience. I tempi sono cambiati, i muri sono caduti, i marxismi sono pseudodemocratici, eccetera. Sembra che oggi tutti abbiano capito che quelle Grandi Utopie, quella "diversità" quasi antropologica, furono soltanto un sogno. Però si continua a pensare che quel sogno, sebbene infranto e svanito, fu un bel sogno.

E' proprio questa, l'essenza del "postismo". In una vertigine si potrà vedere tutte insieme il crollo delle ideologie, la cupidigia nei confronti della tecnologia, l'effervescenza del carrierismo, la voglia di nostalgia-trash, Sanremo e Internet, figurine Panini e cantautori, Nutella nelle vene, "Gambero rosso" e salotto rosa.

Da una parte. Dall'altra rimane viva l'"ossessione" di essere diversi. Insomma, questi poveretti si sentono una "minoranza spirituale", come Enrico V alla vigilia della battaglia di Agincourt: "Noi pochi, noi pochi fortunati, noi manipoli di fratelli" ("We few, we happy few, we band of brothers", Shakespeare, "Henry V", Atto IV, scena III).

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