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Melandri e gli altri "postumi di sinistra" (pagina 2)

Roberto D'Agostino

 

Risultato? Ma è ovvio: dalla lotta di classe alla lotta di prima classe, e viceversa. Quindi manifestazioni razionali e no che si accavallano come cavallette accatastando, senza nessuna coerenza, nello stesso mixer, il Sacro e il Massacro, la Destra e la Sinistra, Cossiga e Cossutta, l'Amante allegra e la Famiglia perbene, l'Oriente e l'Occidente, Bob Dylan e Papa Wojtyila, Lady Diana e Ocalan, Che Guevara e Madre Teresa di Calcutta, Padre Pio e il SuperEnalotto, le streghe di Halloween e la domenica a messa, il diavolo e l'acqua santa. I "postumi di sinistra" sono svolazzanti come foglietti di "post-it": liberali in economia, conservatori nella vita coniugale, socialdemocratici in politica, democristiani con i figli, corporativi nel lavoro, fascisti nel tifo pallonaro, monarchici nella considerazione di sé, rivoluzionari nel divertimento, coatti nelle maniere civiche, romantici col telefonino, anarchici in trattoria, razzisti al semaforo, realisti con la filippina, new age quando le cose vanno bene, cattolici quando le cose vanno male, comunisti quando c'è la prima della Scala e il ministro ai Beni Culturali preferisce sedersi al banchetto di una rivista di gastronomia diretta da un ex giornalista del "Manifesto".

Il caso Melandri, la sua sfacciata indifferenza nei confronti di una delle non molte istituzione italiane che hanno un prestigio internazionale, è allora un tentativo emblematico di "postismo". Vale a dire: di mettere in comunicazione il sogno del passato (anni Settanta, contestazione del movimento studentesco di Mario Capanna con lancio di uova all'indirizzo dell'odiata Grande Borghesia alla prima della Scala) e l'ambivalenza del presente (siamo finalmente al governo, siamo tutti liberal, però attenti! siamo "diversi": saranno crollate le ideologie, ma rimangono gli ideali). "Leninismo senza ideologia", l'ha bollato il critico letterario Massimo Onofri. Una attitudine anche facile da individuare perché mostra un volto sempre stropicciato da una sola espressione, quella detta "Eppur mi rode"; quello sguardo un po' così, da "afflitto bloccato", che Nanni Moretti ha ben espresso in Palombella rossa nella frase: "La partita è andata come è andata: è dalla vita che mi aspettavo di più".

La tesi che dipinge l'arrabbiatura di Riccardo Muti contro Giovanna Melandri come "esagerata", "esempio di megalomania artistoide", "scomposto passaggio nella cruna dell'Ego", quasi fosse Riccardo Muti una diva capricciosa come Ornella Muti, non è accettabile. Piuttosto, la Melandri rappresenta per Muti tutto l'ambivalente e decadente elitismo della vanagloriosa generazione sessantottina, che ha potentemente preso possesso della Stanza dei Bottoni un po' dapperttutto. Al centro Tony Blair, a sinistra Massimo D'Alema, a destra Gehrard Schroeder, davanti a tutti Bill Clinton.

Tutti ex ragazzi del Sessantotto disposti a interpretare qualsiasi fregolismo pur di realizzare i propri obiettivi politici. Del resto molte cose possono essere vere nello stesso momento, anche se si contrappongono tra loro, sembra suggerire il laburista Tony Blair quando spedisce la figliolanza nelle aule di una scuola privata, tra le più reazionarie della Gran Bretagna. Lasciamo perdere, poi, la scelta vacanziera: ospite con tutta la famiglia della nobiltà toscana in qualche doviziosa villa del "Chianti-shire". E la faccia di bronzo messa in opera da Clinton, che se ne impippa di sbottonarsi la patta proprio in un luogo come la Sala Ovale, simbolo del potere della Nazione? Non è una "leggerezza" di comportamento che ha le sue radici in una generazione che negli anni Sessanta desacralizzò con slogan e manifestazioni la Casa Bianca, impelagata nella guerra nel Vietnam? "Il nostro presidente è l'incarnazione del principe machiavellico e immorale", ha osservato la scrittrice Camille Paglia. Precisando: "La gente ha capito che la mia generazione - la stessa di Hillary, Bill, Al Gore, Newt Gingrich e Ken Starr - è tristamente impreparata alla leadership, in termini sia morali che pratici. Narcisismo, autoindulgenza e incompentenza del presidente hanno screditato tutta la generazione del '68, lacerando il Paese, irrimediabilmente pervaso da un profondo disgusto verso la politica".

Quando poi tocca al grande compositore Luciano Berio commentare la "leggerezza" scaligera della Melandri, ritorna prepotente in primo piano l'"ignoranza attiva" dei sessantottini al governo: "Non sono sorpreso dell'assenza alla prima della Scala del ministro Melandri e di uomini del suo dicastero. Il novanta per cento dei politici italiani, non per colpa loro, è culturalmente handicappato". Comunque, caro Berio, niente paura: Sanremo è vicino, e c'è da scommettere che i nostri "postumi di sinistra" saranno vispi e presenti.

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