Caffe' Europa
 
Attualita'

A Berlino e' scontro sull'Olocausto. Parla Walser

Raffaele Oriani

 

 

Da due mesi giornali e televisioni tedesche seguono l'ennesima polemica sulla memoria, la colpa e l'identità della nazione. Da una parte un grande scrittore, dall'altra il presidente delle comunità ebraiche. In palio un bene impalpabile e concretissimo: la normalità del paese. Ne abbiamo parlato con Martin Walser, che col suo discorso di ringraziamento per il più importante premio letterario del paese due mesi fa ha dato fuoco alle polveri.

Un colloquio con la scrittrice Helga Schneider ci presenta invece delle scene di vita dell'"altro olocausto".

 

E' passato? No, non ancora, non è ancora passato. Il passato in Germania sembra proprio che non debba passare. Il calendario tedesco è un rosario di date che si vorrebbe non fossero mai esistite, ma è obbligatorio non lasciare passare: la presa del potere nazista, il rogo dei libri, la promulgazione delle leggi razziali, la notte dei cristalli, la conferenza del Wannsee sulla "soluzione finale". Ogni evento una data, ogni data una parola, senza un attributo o una preposizione ad alleggerirne il senso: tutti sintagmi composti, compatti, incastonati come pietre nella memoria repubblicana.

Per cinquant'anni chi ha voluto prendere le misure alla società tedesca ha usato in primo luogo il metro del passato. Di Italia nel mondo si parla quando muore Falcone o arrestano Riina, di Francia se inaugurano l'ennesimo narcisistico specchio del presidente di turno, di Inghilterra a ogni nuovo clone dei Beatles; di Germania quando a parlare è il passato. Il ‘68 in tutto il mondo è stato un distendersi liberatorio di membra fino allora costrette in cravatte, cappotti, colletti inamidati; in Germania ha significato una brutale e indispensabile resa dei conti sulle spoglie del passato. Figli contro genitori, sguardi tesi, domande semplici e terribili come una condanna: tu dov'eri? cosa facevi allora? Facevano male le risposte e male i silenzi, tanto che in un romanzo di qualche anno fa, Accoppiamenti, Peter Schneider raccontava l'invidia per l'amico ebreo fiero dei suoi genitori, cui poteva rivolgere altre domande: è stata dura? come ce l'avete fatta?

Eppure furono quelle domande e quegli imbarazzi a rendere - come ha scritto Hans Magnus Enzensberger - la Germania un paese abitabile e a incrinare il muro della rimozione collettiva. Da allora la storia del passato tedesco ha smesso di essere una storia di silenzi e inconfessabili risentimenti, per diventare quotidiano pane politico e sociale. Non è quindi nel chiuso delle memorie famigliari, ma nel mezzo dell'arena pubblica che da qualche anno tra silenzio e afflizione si è andata affermando una terza possibile risposta alle domande impossibili: la reazione. Sgradevole di primo acchito, testimonia forse della tempesta prima della quiete, della ricerca affannosa di un modo per custodire, ricordare, ma finalmente congedare il tempo perduto; per entrare insomma nel nuovo millennio liberando la memoria del veleno della colpa. Ovviamente in prospettiva: perché per il momento invece sono solo polemiche.

Cominciarono negli anni ottanta i professori dell'Historikerstreit, che puntavano se non altro a distribuire equamente il marchio di Caino tra i totalitarismi del secolo. Vennero poi le polemiche feroci sulla riunificazione: da una parte Guenter Grass a difendere la memoria della colpa tedesca come "parte sensibile della nostra identità", dall'altra il patron di "Spiegel" Rudolf Augstein, che stigmatizzava l'atteggiamento antinazionale dell'autore del "Tamburo di latta". E negli anni le polemiche non hanno fatto che aumentare: nel ‘95 ci si è accapigliati sull'8 maggio, che un gruppo di intellettuali invitava a non considerare più festa di liberazione ma anniversario dell'esodo tedesco dalle regioni orientali e della dolorosa divisione del paese; nel ‘96 è stata la volta del libro di Daniel Goldhagen, che a cinquant'anni di distanza ribadiva l'accusa peggiore: quella di una "colpa collettiva" della società, se non addirittura della cultura tedesca. Nel ‘97 le prime avvisaglie della disfida sul monumento alle vittime della Shoah. E nel ‘98 Martin Walser.

Pagina 1,2, 3
 


homearchivio sezionearchivio
Copyright Caffe' Europa 1998

Home |Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo