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Attualita'

Aspettando il Tribunale Internazionale

Isabella Angius

 

 

Alle origini di un'idea

L'idea di ricorrere ad istituzioni giurisdizionali internazionali per giudicare i più gravi crimini commessi da individui risale nei secoli. Il più citato precedente storico è, infatti, datato 1474. In quella data Peter Von Hagenbach venne processato e condannato per omicidio, stupro e altri crimini contro "le leggi di Dio e dell'uomo" commessi nel corso della occupazione della città di Breisach, da una commissione composta da 28 giudici provenienti da Alsazia, Germania, Svizzera e Austria. Il precedente deve la sua autorevolezza non solo alla composizione "internazionale" del collegio giudicante, ma anche alla circostanza che i crimini oggetto fossero del tipo che oggi chiameremmo "crimini contro l'umanità", non essendo stati commessi nel corso di ostilità belliche ma in tempo di pace.

E' solo a partire dal periodo a cavallo tra 1800 e 1900 che i progetti di istituzione di tribunali penali internazionali per crimini di guerra prendono corpo. La prima Commissione internazionale di inchiesta viene invece istituita immediatamente dopo la Prima Guerra Mondiale, venne istituita dalle potenze vincitrici del conflitto nel corso della Conferenza di Pace di Parigi nel 1919 con il compito di svolgere attività investigative e di accertamento circa i crimini di guerra e i crimini contro l'umanità commessi dai militari tedeschi e turchi nel corso del conflitto.

Le inaudite atrocità commesse durante la Seconda Guerra Mondiale spinsero le potenze vincitrici ad istituire due tribunali militari speciali che giudicassero dei crimini di guerra, contro la pace e contro l'umanità perpetrati dai nazisti e dai loro alleati: il Tribunale Internazionale Militare di Norimberga, stabilito nell'ambito dell'accordo di pace di Londra dell’ 8 agosto 1945, e il Tribunale Internazionale Militare per l'Estremo Oriente (tribunale di Tokyo), istituito il 19 gennaio 1946.

I Tribunali di Norimberga e di Tokyo, hanno rappresentato una pietra miliare nell'affermazione di alcuni fondamentali principi di giustizia penale internazionale. Innanzi tutto, il principio di responsabilità penale individuale per le più gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, anche quando il comportamento in questione non fosse vietato dalla normativa nazionale, o anche nel caso in cui si fosse agito per dar corso ad ordini superiori. Hanno trovato attuazione inoltre alcuni principi essenziali in materia processuale: il diritto ad un processo equo fondato sul contraddittorio e il diritto alla difesa. Questi importanti elementi non escludono tuttavia la parzialità "intrinseca" dei due Tribunali: si trattava infatti di Tribunali imposti dagli Alleati alle due nazioni sconfitte, operanti sotto la spinta di un pesante condizionamento politico, quello esercitato dai vincitori sui vinti. I due organismi erano solo limitatamente internazionali, in quanto rappresentativi di una parte minoritaria, anche se politicamente predominante, della comunità internazionale. L'iniziativa di riproporre l'istituzione di una Corte Penale Internazionale venne presa da Mikhail Gorbachev nel 1987 e da A.N.R. Robinson, Primo ministro dello Stato di Trinidad e Tobago, nel 1989. L'obiettivo immediato delle due iniziative era quello di perseguire in particolare, il terrorismo e il traffico di droga internazionale.

Bisognerà comunque attendere la fine della Guerra Fredda e si dovrà assistere ai tragici avvenimenti che hanno caratterizzato la dissoluzione della Ex Jugoslavia e agli stermini perpetrati in Ruanda, perché le difficoltà e le resistenze politiche venissero superate e si ritornasse a prendere in considerazione il progetto di istituzione della Corte Penale Internazionale.

I tribunali internazionali istituiti per l'ex Jugoslavia e per il Ruanda hanno il compito preciso di processare, secondo i criteri di un giudizio penale le persone responsabili di gravi violazioni del diritto umanitario attualmente vigente. Il significato pieno di quest'innovazione nel panorama del diritto internazionale si coglie solo se collochiamo l'istituzione dei tribunali nel quadro del processo di allargamento e rafforzamento delle procedure internazionali di rispetto e di attuazione dei diritti umani.

La comunità internazionale si era dotata, a partire dal 1948 - esattamente cinquant'anni fa, con la Dichiarazione universale dei diritti umani dell'ONU di una serie innumerevole di convenzioni internazionali, dichiarazioni, risoluzioni in materia di tutela dei diritti umani. Queste procedure, pur importantissime, perché hanno consentito di superare, nella materia dei diritti umani, l'antico principio che impediva ogni intromissione dall'esterno nelle politiche interne degli stati - sono servite ad accertare violazioni dei diritti umani commesse da istituzioni di governo. Ma non hanno permesso di spingersi fino ad individuare e sanzionare gli individui responsabili degli atti che avevano prodotto quelle violazioni. Non erano previste, insomma, procedure e sanzioni penali - ossia rivolte a far valere la responsabilità personale degli autori di atti considerati criminali. In virtù di tali principi quando un organismo internazionale di controllo ha accertato che le autorità di uno stato non hanno provveduto in un caso particolare a dare attuazione al diritto internazionale dei diritti umani, emette la propria sentenza o la propria decisione nei confronti dello stato, fissando talvolta i termini per un risarcimento al cittadino vittima di quell'inadempienza ma lascia, quindi, allo stato stesso il compito di punire i responsabili dei comportamenti censurati.

Giustizia penale, prerogativa nazionale

La giurisdizione penale è, infatti, una delle prerogative che gli stati nazionali rivendicano con più accanimento. La comunità degli stati può ammettere che un organismo internazionale controlli la correttezza, definita su parametri legali internazionali, del complessivo modo di operare del sistema giudiziario di uno stato in un determinato caso - e questo è il tipo di controllo introdotto, per esempio dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo e le libertà fondamentali del 1950 - ;ma che un organismo internazionale si sostituisca sistematicamente e automaticamente ai giudici nazionali per processare un sospettato in materia penale, questa è una "limitazione di sovranità" ben più dura da accettare. In tale situazione, l'impunità degli autori di crimini contro l'umanità appare molto probabile, specialmente se i reati vengono commessi da alti esponenti politici o militari, contro i quali generalmente gli stessi governi stranieri non hanno interesse ad agire - per evitare che emergano propri coinvolgimenti, o semplicemente per eccesso di prudenza diplomatica. Per questo la comunità internazionale ha storicamente battuto due strade: da un lato ci si è sforzati di identificare un nucleo di regole di protezione della persona che tutti gli stati fossero disposti ad accettare - un "pacchetto" di crimini di diritto internazionale. Dall'altro, si sono studiati meccanismi per facilitare l'iniziativa di un giudice di qualunque stato intenzionato a procedere contro autori di crimini internazionali. Sulla prima direzione, quella della individuazione di crimini di diritto internazionale, le esigenze del diritto internazionale dei diritti umani si sono incontrate con uno dei più antichi e nobili settori del diritto internazionale: le norme del diritto umanitario.

Il diritto internazionale umanitario è costituito dal complesso di norme che regolano il comportamento delle parti nei conflitti armati interni e internazionali, questo si distingue tradizionalmente in due blocchi: il "diritto di Ginevra", composto dalle quattro convenzioni adottate a Ginevra nel 1949 e dai due protocolli addizionali aggiunti nel 1977; e il "diritto della Aja", che codifica le leggi e i costumi di guerra, nonché varie altre convenzioni internazionali che proibiscono l'uso di certi tipi di arma.

Si possono applicare norme simili anche in tempo di pace? Per regolare quale tipo di conflitti armati sono state introdotte le norme di diritto umanitario?

La risposta non è affatto scontata infatti è spesso su questioni quali la mancanza di giurisdizione per materia (ossia che il fatto contestato non rientra tra quelli su cui il giudice può giudicare) che si è imperniata la difesa dei grandi e piccoli criminali di guerra. Il diritto umanitario ha a che fare essenzialmente con le violazioni dei diritti umani più elementari (uccisioni, tortura, esecuzioni sommarie…) che si producono nel corso di un conflitto armato internazionale, ma il tribunale di Norimberga ha introdotto altre due categorie di crimini, quello contro la pace e quello contro l'umanità.

Un’altro crimine riconosciuto che può comportare responsabilità personale di individui, è il genocidio, che per altro può essere commesso anche al di fuori del contesto bellico; non sono contemplate però alcune forme di genocidio che sono da poco entrate nella diffusa consapevolezza dell'opinione pubblica, quali il genocidio politico cioè di oppositori politici, spesso mascherato da scontro religioso come sta avvenendo in Algeria; oppure il genocidio culturale o ancora quello sociale o di classe come quello operato da Pol Pot in Cambogia nel corso degli ultimi quindici anni.

Mentre, circa l'individuazione di meccanismi che garantissero in qualche modo la celebrazione dei processi e la punizione dei colpevoli, si sono sperimentate più vie, i codici e le leggi penali di tutti gli stati prevedono che la giurisdizione nazionale si applichi in presenza di alcune particolari circostanze:

- Quando il fatto che costituisce reato si è svolto nel territorio nazionale;

- Quando pur essendosi verificato all'estero, produce i suoi principali effetti sul territorio nazionale;

- Oppure ancora nella circostanza in cui l'autore del fatto, o la vittima, sia un cittadino dello stato;

- Quando sono colpiti all'estero, e da cittadini stranieri, importanti interessi nazionali.

Applicare questi principi non è sempre facile: si creano interferenze con la giurisdizione d'altri paesi, e si devono negoziare accordi di cooperazione giudiziaria.

Verso un tribunale internazionale

La strada più ovvia per superare questi ostacoli sarebbe stata la creazione di un tribunale penale internazionale che potesse intervenire in sostituzione dei giudici nazionali inerti o inefficaci, soprattutto su fatti delittuosi particolarmente gravi o a rischio di impunità.

La convenzione del 1948 sul delitto di genocidio prevedeva, e anzi dava per scontata, l'istituzione in tempi rapidi di un tribunale internazionale, il quale avrebbe avuto competenza esclusiva, per gli stati che ne accettavano la giurisdizione, nel processare gli accusati. Solo per gli stati che non accettavano la giurisdizione dell’istituendo tribunale internazionale, l'art.VII della convenzione faceva implicito riferimento alla regola "processare o estradare". Secondo tale regola lo Stato che entra in contatto con una persona sospettata di genocidio deve giudicarlo, se la legge lo consente o trasferirlo verso un altro paese disposto a processarlo; gli stati si impegnavano a non considerare in alcun modo il genocidio "reato politico" e a rendere pertanto sempre possibile l'estradizione. La stessa convenzione del 1948 prevedeva anche la possibilità degli stati di portare il caso di genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia dell'Aja: la circostanza non si è mai presentata fino al 1993, quando la Bosnia-Erzegovina ha accusato di genocidio la Federazione Jugoslavia (Serbia e Montenegro).

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