Caffe' Europa
 
Attualita'

Pagina , 1, 2, 3

Aspettando il Tribunale Internazionale (pagina 2)

Isabella Angius

 

Per tutti questi delitti esistono quindi le condizioni per una "giurisdizione universale": qualunque giudice di qualunque stato può, anzi deve, procedere contro autori di tali fatti. A proposito dei conflitti nell'ex Jugoslavia è necessario sottolineare che questioni strategico-militari si sono mischiate con quelle che inquadravano la lotta in contesti storici, etnici, religiosi, sempre più inestricabili e remoti. Con la risoluzione 827 del 25 maggio 1993, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dà vita al "Tribunale internazionale per il perseguimento delle persone responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nel territorio della ex Jugoslavia dal 1991". Fino dal 1992 la Commissione sui diritti umani delle Nazioni Unite ha raccolto informazioni, comunicazioni ufficiali avanzate da stati e denunce di organizzazioni nongovernative e singoli cittadini riguardanti atrocità commesse nel quadro dei conflitti in ex Jugoslavia.

Queste informazioni di varia provenienza facevano intendere che nei conflitti che si stavano svolgendo ormai in tutti i territori della ex Jugoslavia, venivano compiute atrocità che richiamavano da vicino gli orrori del nazismo: campi di concentramento, deportazioni sistematiche, "pulizia etnica", distruzione di luoghi religiosi, genocidi. Non era mai stata tentata la strada della istituzione di un tribunale come mezzo per contribuire alla pace. Sicuramente, una simile estensione dei poteri del Consiglio di Sicurezza non era originariamente prevista dagli estensori dello Statuto dell'ONU. Il sistema delle Nazioni Unite individuava nella Corte internazionale di giustizia (CIG) l'organo giurisdizionale per eccellenza, a cui ricorrere per risolvere le controversie tra gli stati. Pur senza occuparsi della repressione di crimini individuali, lo strumento della Cig costituirebbe effettivamente uno strumento formidabile per contrastare, con gli strumenti del diritto, l'azione criminale degli individui che sono anche organi di stati. In teoria, nulla impedisce che uno stato denunci presso la Cig un altro stato per gravi crimini internazionali quali aggressione, genocidio, crimini contro la pace, crimini di guerra, etc. Purtroppo, però, sono relativamente pochi gli stati che hanno accettato preventivamente la giurisdizione della Cig.

Insomma, proprio per i casi più delicati e controversi, che mettono in crisi la convivenza internazionale - le crisi che si accompagnano a gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona e dei popoli - gli strumenti giudiziari internazionali appaiono drammaticamente inadeguati.

Di qui, l'idea di superare d'un balzo le strettoie del diritto penale internazionale e "imporre" all'intera comunità internazionale due tribunali penali internazionali.

Nel momento dell'istituzione dei tribunali internazionali si è posto il problema di come regolamentare in modo equilibrato i rapporti con i giudici interni degli stati. La soluzione prescelta adotta il principio della "giurisdizione concorrente". Sia il tribunale internazionale sia quelli interni hanno giurisdizione rispetto ai crimini indicati dallo statuto dei tribunali, che in effetti sono previsti come reato in qualunque codice penale, di pace o di guerra; tuttavia, il tribunale internazionale gode di una primazia rispetto ai giudici interni: il tribunale può per qualsiasi procedimento, chiedere che il caso trattato da un giudice di uno stato sia deferito alla propria competenza.

I due tribunali ad hoc sono organi sussidiari del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; tuttavia essi non sono soggetti in nessun modo all'autorità o al controllo del Consiglio di sicurezza per tutto quanto riguarda l'esercizio delle loro funzioni giudiziarie. Gli statuti dei due tribunali prevedono come pena massima l'ergastolo. Non è prevista la pena di morte. Disposizioni speciali sono previste nelle regole di procedure per la protezione delle vittime dei crimini e per i testimoni, in particolari nei casi che riguardano stupro o violenza sessuale. I tribunali sono civili e non vi siede personale militare.

Il caso Pinochet

Ancora oggi nonostante la discussione circa l'istituzione del Tribunale penale internazionale permanente ci si sorprende per la decisione evidentemente inaspettata presa dai giudici della Camera dei Lord: rifiutando l'immunità a Pinochet, e aprendo la strada a una sua eventuale estradizione in Spagna, i magistrati hanno compiuto un gesto inedito, quasi rivoluzionario. Hanno fatto capire che esiste ormai una giurisdizione sovranazionale, che ignora i confini degli Stati e che ha la competenza per giudicare un certo numero di delitti come il genocidio, il terrorismo, il crimine contro l'umanità, il crimine di guerra, di aggressione. I giudici ignorano i criteri della convenienza politica, della ragion di Stato. La loro funzione non ha nulla che vedere con la funzione del sovrano, i limiti geografici della loro competenza non coincidono con quelli abitualmente osservati da politici, da ambasciatori: sono competenze più vaste, che tendono a mondializzarsi allo stesso modo in cui già si è mondializzata l'economia. Quest'irruzione della giustizia nel campo protetto delle politiche estere è rivoluzionaria. Come l'internazionalizzazione del diritto, che anch'esso si globalizza. Anch'esso rompe gli argini dello Stato-nazione, e scopre in se stesso una doppia responsabilità: verso la società nazionale, e verso la società mondializzata. Nessun ex tiranno potrà essere completamente sicuro di restare intangibile all'estero, dopo il verdetto su Pinochet. Non potrà attivare le sue relazioni con i politici, non potrà contare sulla proverbiale indifferenza dei diplomatici alle violazioni dei diritti dell'uomo. Sempre sentirà su di sé lo sguardo di giudici che stanno estendendo spettacolarmente la propria autonomia, la propria indipendenza. Che non esitano a dare applicazione extraterritoriale alle leggi sui crimini contro l'umanità, che prendono sul serio le Convenzioni internazionali sul diritto umanitario.

Esiste il rischio di una giustizia che si mette a far politica estera. Esiste il rischio di un'anarchia diplomatica, difficilmente governabile. E il giorno in cui diverrà operativo il Tribunale penale internazionale, esisterà un rischio più pesante per i dittatori: nonostante i paragrafi che limitano gravemente le sue future competenze, la Corte rifiuterà l'immunità non solo agli ex despoti, ma anche ai despoti regnanti. Oggi perdono teoricamente l'immunità ex dittatori come Pinochet, Jaruzelski, i responsabili del massacro di Tienanmen. Domani saranno processabili capi in esercizio come Castro, o Kabila presidente del Congo.

Si è molto discusso di un pericolo ulteriore, nei giorni scorsi, sollevato spesso da chi guarda con scetticismo all'opportunità di portare i responsabili di crimini di guerra, e del bisogno di riconciliazione. L'esigenza di riconciliare gli ex nemici all'indomani di un conflitto troverebbe un ostacolo nella conduzione dei processi. Più funzionale alla riconciliazione sarebbero il perdono e le amnistie. Ma è anche vero che l’effetto essenziale della riconciliazione non si può ottenere nascondendo le atrocità commesse, né dimenticando le responsabilità. Questo non farebbe che ingenerare in coloro che cercano giustizia una volontà di vendetta per vie extra-giudiziarie e minare alle fondamenta la pace raggiunta. Mentre una giustizia amministrata in modo equo e imparziale costituisce di per sé una prevenzione di ulteriori conflitti. Anche per questo è stato fondamentale stabilire che la giurisdizione penale pone al centro la responsabilità personale. Solo punendo i singoli autori di crimini sarà possibile evitare di considerare colpevole un intero popolo, un’intera nazione, per il solo fatto di essere stata "parte avversa" in un conflitto. Transizioni simili sono avvenute in Spagna, in Polonia, in quasi tutti i Paesi comunisti, parzialmente in Italia dopo il fascismo e la guerra: sono transizioni fondate sull'oblio, sull'amnistia, sulla complicità clandestina con il tiranno che si congeda evitando processi.

Il patto può generare una società dell'indifferenza, della non partecipazione. Può dar vita a forme più sottili, intime, di conflitto civile. Lo si vede in questi giorni in Cile: piano piano, nonostante l'orgoglio nazionale ferito, la memoria si rimette in moto, i cittadini osano riprendere la parola. La televisione parla di Pinochet come di un ex dittatore, per la prima volta. I socialisti al governo con i democristiani negano che l'arresto sia destabilizzante, e auspicano un processo contro Pinochet in Cile.

Pagina , 1, 2, 3
 


homearchivio sezionearchivio
Copyright Caffe' Europa 1998

Home |Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo