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"Salvate il soldato Ryan" (pagina 3)

Paolo Mereghetti

Man mano che continua il racconto del film, cresce l'ammirazione per chi ha vissuto quelle esperienze, senza molte distinzioni tra eroi e fifoni, cinici o partecipi. L'abilità di Spielberg sta nel non dividere in maniera manichea i buoni e i cattivi: il gruppetto di soldati che parte alla ricerca di Ryan nella Normandia ancora occupata dai tedeschi a volte si comporta con coraggio esemplare, a volte si lascia andare a manifestazioni di cinismo offensivo (come nella scena in cui cercano con troppa disinvoltura il nome di Ryan tra le centinaia di piastrine di soldati morti) ma allora saranno altri soldati americani, quelli che passano lì vicino e guardano con occhi ben più partecipi l'operazione, a "spiegare" allo spettatore da che parte sta il comportamento giusto. Ma che poi tutti sappiano riscattarsi e comportarsi da veri soldati, e che certi cedimenti siano spiegabili con la tensione della guerra, Spielberg lo sottolinea nella scena della sepoltura dei morti dopo l'attacco al ponte, quando un sapiente controluce riduce tutti i soldati, eroi o codardi, pacifisti o guerrafondai, a siluette nere che fanno solo il loro dovere.

Ecco il senso ultimo del film di Spielberg; la guerra è una cosa terribile, ma non potevamo fare a meno di combatterla. E gli americani l'hanno fatta nel migliore, e più eroico, modo possibile. Come finisce per convincersi anche il titubante caporale Uphman (Jeremy Davies), che trova il coraggio di usare il fucile non per aiutare un compagno in pericolo di morte ma per "castigare" un nemico a cui aveva fatto risparmiare la vita quando era prigioniero ma che poi scopre tornato a combattere contro di loro nonostante le promesse fatte. Alla faccia del pacifismo.

Ecco, come sempre (a Hollywood?) è "tutta colpa del nemico" se scoppiano le guerre e se gli uomini finiscono per essere crudeli. Preoccupato di raccontare a chi non c'era stato cosa fosse davvero la guerra, Spielberg finisce dopo 163 minuti di spettacolo a volte intenso a volte solo melodrammatico per chiudere il film sulla bandiera americana che sventola (un po' stinta, per la verità) al vento. Dal suo punto di vista lo scopo che si era proposto di dimostrare l'ha sicuramente raggiunto. Per una generazione abituata ai soldatini giocattolo o alle guerre dei videogame, certe scene di Salvate il soldato Ryan resteranno certamente scolpite nella memoria. E i padri che hanno combattuto davvero la seconda guerra mondiale potranno commuoversi a giusto titolo (come sembra abbiano fatto).

Ma il problema non sono i padri, sono i figli: cosa capiranno della seconda guerra mondiale, gli spettatori che sembrano condannati a conoscere la storia solo attraverso il mondo dello spettacolo? Come faranno a spiegarsi cosa è successo e possibilmente fare in modo che succeda più? Forse gli toccherà tornare a sperare in qualche extraterrestre abbandonato per caso da un'astronave, che venga a spiegarci come l'amicizia e l'amore contano di più delle armi e dei doveri.

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