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Il Presidente sulla graticola di scrittori ed accademici americani (pagina 2)

a cura di Clementina Casula

 


Rogers M. Smith

Ancora più negativo il bilancio di Rogers M. Smith , Professore di Scienze Politiche alla Yale University, sull'operato del Presidente. Bisogna giudicare Clinton, dice Smith, in rapporto a come ha fronteggiato le maggiori sfide poste dalla sua era, ossia i problemi di classe, razza, e genere. E il giudizio, dice Smith, è decisamente negativo. Anche se complessivamente il comportamento di Clinton ha creato una pausa dopo l'andamento in crescita progressiva delle ineguaglianze economiche nel periodo Reagan/Bush, le disparità tra bianchi e neri sono rimaste le stesse e le condizioni per neri e latino-americani sono peggiorate.

Inoltre, se si esclude il tentativo subito abortito di proteggere gli omosessuali nell'esercito, Clinton non si è mai assunto alcun rischio per questioni che riguardano i diritti civili. Insomma, Clinton desidera essere progressista, ma alla fine abbraccia la causa del popolare. Forse non nelle sue aspirazioni, dice Smith, ma certo nella pratica, egli è il Presidente Democratico più conservatore dai tempi di Grover Cleveland.

Sean Wilentz

Lo stesso accostamento di Presidenti è fatto da Sean Wilentz , Professore di Storia all'Università di Princeton, ma in senso diverso: Clinton passerà alla storia come una forza moderata durante la seconda età dorata della nazione, come il più abile Presidente dell'ultimo terzo del ventesimo secolo così come Grover Cleveland lo fu dell'ultimo terzo del diciannovesimo secolo. Il primo mandato di Clinton, dice Wilentz, è stato un misto di promesse disattese (prima fra tutte quella sulla riforma del servizio sanitario) e compiti abilmente portati a termine (restaurazione del centrismo politico americano, riduzione del livello di disoccupazione, eliminazione del deficit pubblico).

Non che nel suo secondo mandato non vi siano state delusioni e successi, ma l'attenzione del pubblico si è rivolta esclusivamente al caso Lewinski. La vera colpa di Clinton ( a prescindere da quello che sarà il verdetto finale sull'affare Lewinski) è quindi stata quella di non fornire al suo elettorato e alla nazione una spiegazione decisa e convincente da subito, e di trascinare invece questa storia per sette mesi, sprecando così tempo e capitale politico prezioso per realizzare i suoi compiti e le sue promesse.

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