Questo articolo è la terza parte di un
saggio basato su una lecture tenuta a Berlino presso
il Berlin Institute of Advanced Study, Wissenschaftskolleg,
il 26 marzo 2006 e apparirà nel libro in uscita
di Geert Lovink dal titolo “Zero Comments”
(Routledge).
Leggi la prima parte:
Veloci, leggeri e personali. I blog prendono il volo
Leggi la seconda parte:
Alla
scoperta della ragion cinica
Leggi la terza parte:
Cosa c’è di nichilista
nella blogosfera?
Leggi la quarta parte:
Annegare in un
arcipelago di link
I blog provocano declino. Si suppone che ogni nuovo
blog si aggiunga alla caduta del sistema dei media
che un tempo dominavano il ventesimo secolo. Questo
processo non è paragonabile a un’esplosione
improvvisa. L’erosione dei mass media non può
essere facilmente tracciata in base alle cifre delle
vendite stagnanti e del lettorato in declino dei giornali.
In molte parti del mondo, la televisione è
ancora in crescita. Quello che è in declino
è la “fede nel messaggio”. Questo
è il momento nichilista e i blog facilitano
questa cultura come nessun’altra piattaforma
ha fatto prima. Venduti dai positivisti come cronaca
fatta dai cittadini, i blog assistono gli utenti nel
loro passaggio dalla Verità al Niente. Il messaggio
stampato e teletrasmesso ha perso la propria aura.
Le notizie vengono consumate come un prodotto con
valore di intrattenimento. Anziché lamentarci
del colore ideologico delle notizie, come ha fatto
la generazione precedente, noi blogghiamo come segno
del riconquistato potere dello spirito. Come un atto
micro-eroico, nietzschiano, del popolo del pigiama,
i blog emergono da un nichilismo di forza, non dalla
debolezza del pessimismo. Invece di presentare le
entry dei blog come auto-promozione, dovremmo interpretarle
come artefatti decadenti che smantellano a distanza
il potere vigoroso e seducente dei media radio-televisivi.
I blogger sono nichilisti perché sono “buoni
a niente”. Postano nel Nirvana e hanno trasformato
la loro futilità in una forza produttiva. Sono
“nullisti” che celebrano la morte delle
strutture di significato centralizzate e ignorano
l’accusa secondo cui produrrebbero solo rumore.
Sono disingannatori la cui condotta e le cui opinioni
sono considerate inutili. Justin Clemens nota che
il termine nichilismo è stato rimpiazzato da
appellativi come “anti-democratico”, “terrorista”
e “fondamentalista”. Tuttavia, nel corso
degli anni si è assistito a una notevole rinascita
del termine, sebbene, in genere, non si tratti di
niente di più di osservazioni di passaggio.
Una teorizzazione significativa della “situazione”
venne compiuta a metà del ventesimo secolo,e
includeva la rielaborazione di fonti del diciannovesimo
secolo come Kierkegaard, Stirner e Nietzsche. L’esistenzialismo,
dopo le due Guerre Mondiali, teorizzava che i gulag,
Auschwitz e Hiroshima fossero manifestazioni del Male
Organizzato che avevano dato origine a una crisi generale
delle credenze esistenti. Per coloro che fossero ancora
interessati alla teoria, The Will to Technology
and The Culture of Nihilism (2004) di Arthur
Kroker è una lettura indispensabile che mette
Heidegger, Nietzsche e Marx in una prospettiva contemporanea,
tecno-nichilista.
Ci troviamo di fronte a un “nichilismo compiuto”
(Gianni Vattimo) per il fatto che i blogger hanno
capito che la realizzazione del nichilismo è
un fatto. Gianni Vattimo sostiene che il nichilismo
non è l’assenza di significato ma un
riconoscimento della pluralità dei significati;
non è la fine della civiltà ma l’inizio
di nuovi paradigmi sociali, tra cui quello dei blog.
Generalmente associato alla convinzione pessimistica
secondo cui tutta l’esistenza è priva
di significato, il nichilismo sarebbe una dottrina
etica in base alla quale non esistono più assoluti
morali o leggi naturali infallibili e la “verità”
è inevitabilmente soggettiva. In termini mediatici,
vediamo che questo atteggiamento si traduce in una
sfiducia crescente per la produzione di grandi organizzazioni
commerciali di news e per lo spin che i politici e
i loro consulenti generano. Mettere in dubbio il messaggio
non è più un atto sovversivo dei cittadini
impegnati ma l’atteggiamento a priori,
che precede anche l’accensione della tv o del
pc.
Il nichilismo designa l’impossibilità
di opposizione – uno stato di cose che, in maniera
per nulla sorprendente, genera una grande ansia. Il
nichilismo non è un sistema di credenze monolitico.
Non “crediamo” più nel Nulla, come
nella Russia del diciannovesimo secolo o nella Parigi
del dopoguerra. Il nichilismo non è più
un pericolo o un problema, ma la condizione postmoderna
predefinita. È una caratteristica della vita
comune, persino banale, come scrive Karen Carr, che
non è più legata alla Questione Religiosa.
I blog non sono né religiosi né secolari.
Sono “post-virtù”. Oggi la temporalità
paradossale del nichilismo è quella del no-quasi-già-ora.
Sulla scia di Giorgio Agamben, Justin Clemens scrive
che “il nichilismo non è semplicemente
un’altra epoca in mezzo al succedersi delle
altre: è la forma finalmente compiuta di un
disastro che è accaduto molto tempo fa”.
Nel contesto mediatico questo sarebbe il momento in
cui i mass media perdono la loro rivendicazione della
Verità e non possono più operare come
autorità. Non datiamo questo evento nel tempo,
dato che un momento così significativo può
essere sia personale che storico-culturale. È
lo spostamento dal McLuhan festivo al Baudrillard
nichilista che ogni utente dei media sta attraversando,
e che si basa nell’infondatezza del discorso
in rete con cui gli utenti giocano.
Traslando l’intuizione di Karen Carr nella
situazione odierna, potremmo dire che il blogger è
un individuo “che vive nel confronto auto-cosciente
con un mondo privo di significato, rifiutando o di
negare il suo potere o di soccombervi.” Eppure
ciò non produce un gesto eroico. I blog non
nascono dalla noia, né da qualche vuoto esistenziale.
Carr sottolinea giustamente che “per molti postmodernisti,
la presenza del nichilismo evoca non il terrore ma
uno sbadiglio”. In confronto ai secoli precedenti,
la sua crisi di valori è diminuita. Se i blogger
sono classificati come nichilisti significa semplicemente
che hanno smesso di credere nei media.
“La conversazione pubblica globale, sempre
accesa, sempre collegata, sempre immediata”
accelera la frammentazione del panorama dei media.
Kline e Burnstein qui si trovano in disaccordo (non
sono affatto nichilisti). “Piuttosto che vedere
la proliferazione di blog specializzati come un indicatore
della frammentazione della nostra società,
dovremmo pensare che questa tendenza offre a esperti-cittadini
un modo per emergere e riunire gruppi globali in molti
campi disparati”. Dalla prospettiva della classe
politica, una selezione di blogger può essere
strumentalizzata come fossero “indicatori di
opinione”. Tuttavia, quegli stessi blogger possono
essere, altrettanto facilmente, liquidati il giorno
dopo come “giornalisti in pigiama” e finire
ignorati come “rumore”. Siccome ogni inganno
necessariamente deve crollare, l’ondata di pr
negative è pre-programmata. I blogger potrebbero
comunicare ai media su quali questioni le persone
dicono di voler riflettere. Ma una volta svanita la
foga, a chi importa? Il nichilismo inizia lì,
dopo la caduta dei blog, il laptop rubato, il server
fracassato, i file di back-up illegibili, il service
provider scomparso, i “comments (0)”.
È allora che possiamo veramente mettere in
risalto i nostri Pathos des Umsonst, l’atto
dell’Essere Invano.
Lo scrittore David Kline non può proprio fare
a meno di assumere il suo tono new age quando spiega
che nonostante tutto il nichilismo esistente, i blog
non sono invano. “La verità è
che non sono solo tediosi discorsi sconnessi di scritti
noiosi per annoiati. Sebbene perlopiù siano
scrittori non professionisti, i blogger sono spesso
eloquenti cosicché coloro che non sono consapevolmente
impeccabili risultano spesso grezzi, senza censure
e stimolati dal suono delle loro voci appena risvegliate.
Tenendo un diario quotidiano dei loro riti di passaggio,
i blogger spesso danno una forma e un significato
alle fasi e ai cicli delle loro vite che non verrebbero
altrimenti colti nella confusione dell’esistenza
moderna” (dal libro Blog!, Sperling & Kupfer).
Gli allievi di Foucault direbbero qualcosa di simile,
ovvero che i blog sono “tecnologie del Sé”.
Ma se il “Sé” avesse finito le
batterie? Potremmo dire con Dominic Pettman che bloggare
è una ricerca incessante nell’età
della spossatezza. I blog esplorano ciò che
accade una volta che si è distrutta l’illusione
che ci sia una “persona” dietro la valanga
di scelte di stili di vita e identità popolari
simili all’interno delle reti sociali online.
Non importa quanto si parli di “comunità”
o di “mob”, resta il fatto che
i blog sono usati principalmente come strumento
per auto-gestirsi. Con gestione mi riferisco qui tanto
alla necessità di strutturare la propria vita,
di rimettere in ordine, di dominare gli immensi flussi
di informazione, quanto alle pubbliche relazioni e
alla promozione delle Ich-AG, come vengono
dette nella Germania oppressa dalla crisi. I blog
sono parte di una cultura più ampia che fabbrica
celebrità a ogni livello possibile.
Alcuni lamentano il fatto che i blog sono troppo
personali, persino egocentrici, mentre la maggior
parte dei lettori dei blog si lasciano andare a penetrazioni
esibizioniste e non riescono ad averne abbastanza.
Claire E. Write avverte gli scrittori di blog di non
dare la possibilità di lasciare commenti. “Pochi
blogger sostengono che i blog che non permettono commenti
da parte dei lettori non siano ‘veri’
blog. La maggior parte dei blogger non segue questa
linea di pensiero e ritiene che i commenti dei lettori
trasformino un blog in una bacheca. L’essenza
di un blog non è l’interattività
del mezzo: è la condivisione dei pensieri e
delle opinioni del blogger. Inserire i commenti nel
proprio blog solleva una serie di problemi: si trascorrerà
molto tempo a controllare i post, a eliminare spam
e trolls e a rispondere alle infinite domande tecniche
poste da coloro che si registrano”. Questo consiglio
ovviamente va contro i valori essenziali della cosiddetta
A-list dei blogger. Non è interessante che
i servizi di blogging offrano la possibilità
di eliminare i commenti dopotutto? Per esempio, David
Weinberger, guru del Cluetrain Manifesto,
afferma che “i blog non sono una nuova forma
di giornalismo e neppure sono costituiti principalmente
da adolescenti che si lamentano dei loro insegnanti.
I blog non sono neppure principalmente una forma di
espressione individuale. Si definiscono meglio come
conversazioni.”
I blogger sono persone che corrono rischi? Ovviamente
la cultura dei blog è diversa dal culto del
rischio imprenditoriale incarnato da guru del management
come Tom Peters. In maniera molto simile alla definizione
di rischio data da Ulrich Beck, i blogger affrontano
rischi e insicurezze indotti dalle continue ondate
di modernizzazione. Ciò che è bloggato
è l’incessante incertezza del quotidiano.
Mentre gli imprenditori colonizzano il futuro, stimolati
da allucinazioni collettive, i blogger espongono il
presente in cui si trovano presi.
Bloggare è la risposta all’“individualizzazione
della diseguaglianza”. Una risposta che si muove
non tanto con l’azione collettiva, ma con il
collegamento massiccio iper-individuale. Questo è
il nuovo paradosso della rete: allo stesso tempo,
ci sono a portata di mano costruzione e distruzione
del sociale. La timida internazionalizzazione finisce
e si trasforma in rivelazione radicale. Nessun sito
web anticipa questa pratica meglio di quello della
Fucked Company, un precursore della cultura dei blog
in cui gli impiegati delle aziende della New Economy
postano in forma anonima voci e lamentele, e cosa
ancora più interessante, le circolari interne.
I blogger disturbano coloro che disturbano. Essi
prevalgono sulla discussione costante sul “cambiamento”.
È assai facile attaccare la grande azienda
post-moderna, dato che essa dipende esclusivamente
da un’immagine pubblica vuota, sviluppata da
consulenti terzi. I diari online, le offese e i commenti
sconfiggono molto facilmente l’armonia artefatta
a cui l’ingegneria di comunità aspira.
In Democracy Matters di Cornel West (2004)
c’è un capitolo intitolato “Nichilismo
in America”. L’Occidente distingue tra
il nichilismo evangelico dei neo-conservatori che
ruotano attorno a Bush e una versione paternalistica
praticata da democratici come John Kerry e Hillary
Clinton. Una terza forma, il cosiddetto “nichilismo
sentimentale” preferisce rimanere sulla superficie
dei problemi piuttosto che ricercare la loro profondità
sostanziale. Esso dà un’adesione puramente
formale alle questioni anziché ritrarne la
complessità. Questa tendenza a restare in superficie,
toccare un argomento, additare un articolo senza neppure
dare un’opinione adeguata a riguardo - aldilà
della citazione -, è una pratica diffusa e
fondativa del blogging. Quanti post, possiamo chiederci
con Cornel West, sono domande socratiche? Perché
la blogosfera è così ossessionata dal
misurare, dal contare e dal feeding, e così
poco dalla retorica, dall’estetica e dall’etica?
Non dovremmo terminare con questioni morali. La speranza
di superare il nichilismo rimanda a Nietzsche ed è
rilevante anche nel contesto dei blog. La sfida posta
dai milioni che bloggano è come superare la
mancanza di significato senza ricadere nelle strutture
di significato centralizzate.
Traduzione dall’inglese di Martina Toti
L'intero saggio è stato pubblicato per
la prima volta in tedesco su Lettre Internationale
73. La versione inglese è stata fornita da
Eurozine
© Geert Lovink, Eurozine
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