322 - 07.06.07


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Veloci, leggeri e personali.
I blog prendono il volo
Geert Lovink

I weblog o blog sono gli eredi della homepage personali degli anni ‘90 e creano una commistione tra privato (diario online) e pubblico (pubbliche relazioni di se stessi). Secondo le ultime stime approssimative del Blog Herald, nel mondo esistono 100 milioni di blog ed è quasi impossibile fare dichiarazioni universali sulla loro “natura” e suddividerli in generi propri. Nondimeno farò un tentativo in questo senso. È di strategica importanza sviluppare categorie critiche di una teoria del blogging che tengano conto dello specifico mix di tecnologia, design di interfaccia, architettura del software e networking sociale.
Anziché osservare semplicemente il potenziale emancipatorio dei blog o enfatizzarne il folkore contro-culturale, li considero parte di un processo aperto di “massificazione” di questo medium ancora nuovo. Quello che Internet ha perso dopo il 2000 è stata l’“illusione del cambiamento”. Questo vuoto ha dato spazio a conversazioni interconnesse, su ampia scala, attraverso un software automatico disponibile gratuitamente.

Un blog è generalmente definito come una pubblicazione frequente, cronologica, di pensieri personali e link, un mix di ciò che sta accadendo nella vita di una persona e di ciò che accade sul web e nel mondo esterno. Un blog permette facilmente di creare pagine nuove: testo e immagini vengono inseriti in un modulo online (in genere con il titolo, la categoria e il corpo dell’articolo) e quest’ultimo viene successivamente sottoscritto. I template automatici fanno sì che l’articolo venga aggiunto alla homepage creando la nuova pagina (detta permalink) e inserendola nell’ archivio appropriato per data o categoria. Attraverso i tag che l’autore mette su ogni post, i blog ci permettono di filtrare le informazioni per data, categoria, autore o in base ad altre caratteristiche. Generalmente permettono all’amministratore di invitare e inserire altri autori, il cui accesso è facilmente gestibile.

Il blogger della Microsoft, Robert Scoble, elenca cinque elementi che rendono i blog molto eccitanti. Il primo è la “facilità di pubblicazione”, il secondo è ciò che lui definisce “scopribilità”, il terzo sono le “conversazioni tra siti”, il quarto è il permalink (che fornisce all’entry una url unica e stabile) e l’ultimo è l’“associazionismo” (la replica dei contenuti altrove). Lyndon dal Flock Blog dà qualche informazione per scrivere blog e mostra come idee, sentimenti ed esperienze possano essere trasformate in un format di informazione e quanto PowerPoint sia diventato dominante: “Far conoscere la propria opinione, linkare come pazzi, scrivere meno, 250 parole sono sufficienti, fare titoli brillanti, scrivere con passione, inserire elenchi numerati, editare il proprio post, fare in modo che sia facilmente scorribile, avere uno stile coerente, riempirlo di parole chiave”. (Tratto da www.problogger.net/archives/2005/12/30/tens-tips-for-writing-a-blog-post/).
Se la cultura della mailing-list riecheggia la cultura postale di chi scriveva lettere e occasionalmente saggi, il post ideale si definisce attraverso brillanti tecniche di pubbliche relazioni.

Servizi web come quelli dei blog non possono essere separati dalla produzione che generano. La politica e l’estetica definite dai primi utenti caratterizzeranno il medium per decenni a venire. I blog sono apparsi negli ultimi anni Novanta, all’ombra della mania delle dot-com. La loro cultura non si è sviluppata abbastanza da essere dominata dal venture capital con la sua mentalità isterica del “demo-or-die-ora-o-mai”. I blog si presentavano inizialmente come conversazioni casuali che non potevano essere facilmente commercializzate. La costruzione di un mondo parallelo rilassato ne ha reso possibile la trasformazione in cristalli (un termine sviluppato da Elias Canetti) da cui sono cresciuti milioni di blog e che, attorno al 2003, hanno raggiunto una massa critica.

Nel periodo successivo all’11 Settembre, il blogging ha chiuso il divario tra Internet e la società. Laddove i dirigenti delle dot-com sognavano folle di clienti che invadevano i loro portali di e-commerce, i blog sono stati i reali catalizzatori che hanno compiuto la democratizzazione mondiale della rete. Se “democratizzazione” significa “cittadini impegnati”, essa implica anche la normalizzazione (ovvero la disposizione di leggi) e la banalizzazione. Non possiamo separare questi elementi e goderci soltanto i bit che ci interessano. Secondo Jean Baudrillard, viviamo nell’“universo della realtà integrale”. “Se nel passato c’era una trascendenza verso l’alto, oggi ce n’è una verso il basso. In un certo senso, questa è la seconda caduta dell’uomo di cui parla Heidegger: la caduta nella banalità, ma questa volta senza alcuna possibile redenzione”. Se non puoi sopportare alti livelli di irrilevanza, i blog non saranno la tua tazza di tè.

Il motore che spinge l’espansione della blogosfera è l’allontanamento dal codice verso il contenuto. Non c’è più alcuna necessità di un proto-design vuoto. I blog non sono un esperimento o una proposta. Esistono davvero. Da prestissimo, la cultura dei blog è stata la casa dei produttori di contenuti creativi e sociali. Esito a dire giornalisti e accademici perché, nonostante il fatto che molti di essi abbiano queste esperienze professionali, sarebbe sbagliato collocare i primi blogger all’interno di contesti istituzionali. Allo stesso tempo, non erano neppure anti-istituzionali. In maniera molto simile alla cybercultura degli anni ‘90, la prima generazione di blogger aveva biografie variegate. Tuttavia, non è riuscita a emergere una cultura dominante, come quella dei tecno-hippy californiani e, se esiste, è difficile da classificare. Bloggare si avvicina a quella che Adilkno descrisse una volta come “media vague”. La mancanza di direzione non è un fallimento ma il patrimonio centrale. I blog non sono emersi da un movimento o da un evento. Al più, si tratta di un effetto speciale del software, costituito, in particolare, dall’automazione dei link, una questione di design di interfaccia tecnica e non manifestamente complessa.

Si presume che i blog abbiano un rapporto simbiotico con l’industria delle notizie. Questa tesi non passa incontestata. Gli studiosi di ipertesti riportano le origini dei blog alle ipercard degli anni ‘80 e all’ondata di letteratura online degli anni ‘90 in cui la principale attività del lettore era cliccare da un documento al successivo. Per qualche ragione, l’elemento ipertestuale è scomparso e quello che resta è un’equazione quasi auto-evidente tra i blog e l’industria delle notizie .

Non è facile rispondere alla domanda se i blog operino all’interno o all’esterno dell’industria mediatica. Posizionare il medium del blog al suo interno potrebbe essere considerato opportunista, mentre altri la ritengono una mossa astuta. C’è anche un aspetto “tattico”. Il blogger-uguale-giornalista potrebbe ottenere protezione grazie a questa definizione in caso di censura o repressione. Nonostante innumerevoli tentativi di caratterizzare i blog come alternativi ai media tradizionali, essi sono spesso descritti in maniera più precisa come “canali di feedback”. L’atto di esercirtare il “gatewatching” (Alex Bruns) [neologismo dal gatekeeping giornalistico, ndt.] sugli sbocchi dei media tradizionali non produce necessariamente delle osservazioni ragionevoli di cui si terrà conto. Nella categoria “insensibile”, abbiamo un’ampia gamma che va dal divertente al pazzo, dal triste e al malato. Quello che la Cnn, i giornali e le stazioni radio in tutto il mondo non sono riuscite a fare – vale a dire integrare messaggi interattivi e aperti provenienti dai loro gruppi – lo fanno i blog.

“Bloggare” una notizia non significa che il blogger si siede e analizza in profondità il discorso e le circostanze, e lasciamo perdere il fatto di verificare i fatti in questione. Bloggare significa semplicemente puntare velocemente al fatto-news attraverso un link e poche frasi che spiegano perché il blogger abbia trovato questo o quel “fattoide” interessante o notevole, o perché è in disaccordo con l’opinione espressa nella pagina segnalata.

I messaggi dei blog sono riflessioni personali spesso scritte in fretta, scolpite attorno a un link o a un evento. Nella maggior parte dei casi, i blogger semplicemente non hanno il tempo, le abilità o gli strumenti finanziari per una ricerca adeguata. Ci sono blog collettivi di ricerca che lavorano su temi specifici, ma sono rari. Quello che i blog normali creano è un nube densa di “impressioni” su un argomento. I blog testano. Ti permettono di vedere se il tuo audience è ancora sveglio e ricettivo. In questo senso, potremmo anche dire che i blog sono i test-bed esternalizzati, promossi in outsourcing, privatizzati, o piuttosto delle test unit dei grandi media. [Test bed e unit testing sono due procedure utilizzate nell’ambito della programmazione al computer; esse servono per verificare il funzionamento di determinate applicazioni di software o sistemi informatici, ndt.]

I confini tra la mediasfera e la blogosfera sono fluidi. Un’analisi sociale dettagliata scoprirebbe, con grande probabilità, un’area grigia di operatori mediatici freelance che si muovono avanti e indietro. Da subito, i giornalisti che lavorano per “i vecchi media” gestiscono dei blog. Allora come si rapportano i blog al giornalismo investigativo indipendente? A una prima occhiata, sembrano pratiche opposte o potenzialmente complementari. Mentre il giornalista investigativo lavora per mesi, se non per anni, per scoprire una storia, i blogger sembrano più un esercito di formiche che contribuisce al grande alveare chiamato “opinione pubblica”. I blogger aggiungono raramente nuovi dati a una storia. Essi trovano bachi nei prodotti e negli articoli ma raramente “smascherano” lo spin, figuriamoci se vengono fuori con servizi ben ricercati.

Cecile Landman, una giornalista investigativa olandese che ha sostenuto i blogger iracheni con la campagna Streamtime, conosce entrambi i mondi. “I giornalisti devono guadagnarsi da vivere. Non possono pensare solo a mettere qualsiasi cosa online. Ai blogger la cosa non sembra interessare, e questo crea un conflitto”. Secondo la Landman, i blog stanno cambiando i modelli esistenti dell’informazione. “Le persone si stanno annoiando dei modelli dati, non colgono più la notizia, la quale non resta più impressa nella loro memoria cervicale. È come una canzone sentita troppo spesso o una pubblicità commerciale; la ascolti, ne canti persino le parole, ma sono prive di significato. I media tradizionali stanno iniziando a capirlo. Devono ricercare nuovi formati in modo da attrarre lettori (leggi: inserzionisti pubblicitari)” – e i blog non sono altro che un piccolo capitolo di questa trasformazione.

Questo articolo è la prima parte di un saggio basato su una lecture tenuta a Berlino presso il Berlin Institute of Advanced Study, Wissenschaftskolleg, il 26 marzo 2006 e apparirà nel libro in uscita di Geert Lovink dal titolo “Zero Comments” (Routledge).

L'intero saggio è stato pubblicato per la prima volta in tedesco su Lettre Internationale 73. La versione inglese è stata fornita da Eurozine
© Geert Lovink, Eurozine

Traduzione dall’inglese di Martina Toti

Leggi la seconda parte:
Alla scoperta della ragion cinica

Leggi la terza parte:
Cosa c’è di nichilista nella blogosfera?

Leggi la quarta parte:
Annegare in un arcipelago di link



 

 

 

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