I weblog o blog sono gli eredi della homepage personali
degli anni ‘90 e creano una commistione tra
privato (diario online) e pubblico (pubbliche relazioni
di se stessi). Secondo le ultime stime approssimative
del Blog Herald, nel mondo esistono 100 milioni
di blog ed è quasi impossibile fare dichiarazioni
universali sulla loro “natura” e suddividerli
in generi propri. Nondimeno farò un tentativo
in questo senso. È di strategica importanza
sviluppare categorie critiche di una teoria del blogging
che tengano conto dello specifico mix di tecnologia,
design di interfaccia, architettura del software e
networking sociale.
Anziché osservare semplicemente il potenziale
emancipatorio dei blog o enfatizzarne il folkore contro-culturale,
li considero parte di un processo aperto di “massificazione”
di questo medium ancora nuovo. Quello che Internet
ha perso dopo il 2000 è stata l’“illusione
del cambiamento”. Questo vuoto ha dato spazio
a conversazioni interconnesse, su ampia scala, attraverso
un software automatico disponibile gratuitamente.
Un blog è generalmente definito come una pubblicazione
frequente, cronologica, di pensieri personali e link,
un mix di ciò che sta accadendo nella vita
di una persona e di ciò che accade sul web
e nel mondo esterno. Un blog permette facilmente di
creare pagine nuove: testo e immagini vengono inseriti
in un modulo online (in genere con il titolo, la categoria
e il corpo dell’articolo) e quest’ultimo
viene successivamente sottoscritto. I template
automatici fanno sì che l’articolo venga
aggiunto alla homepage creando la nuova pagina (detta
permalink) e inserendola nell’ archivio
appropriato per data o categoria. Attraverso i tag
che l’autore mette su ogni post, i blog ci permettono
di filtrare le informazioni per data, categoria, autore
o in base ad altre caratteristiche. Generalmente permettono
all’amministratore di invitare e inserire altri
autori, il cui accesso è facilmente gestibile.
Il blogger della Microsoft, Robert Scoble, elenca
cinque elementi che rendono i blog molto eccitanti.
Il primo è la “facilità di pubblicazione”,
il secondo è ciò che lui definisce “scopribilità”,
il terzo sono le “conversazioni tra siti”,
il quarto è il permalink (che fornisce all’entry
una url unica e stabile) e l’ultimo è
l’“associazionismo” (la replica
dei contenuti altrove). Lyndon dal Flock Blog
dà qualche informazione per scrivere blog e
mostra come idee, sentimenti ed esperienze possano
essere trasformate in un format di informazione e
quanto PowerPoint sia diventato dominante: “Far
conoscere la propria opinione, linkare come pazzi,
scrivere meno, 250 parole sono sufficienti, fare titoli
brillanti, scrivere con passione, inserire elenchi
numerati, editare il proprio post, fare in modo che
sia facilmente scorribile, avere uno stile coerente,
riempirlo di parole chiave”. (Tratto da www.problogger.net/archives/2005/12/30/tens-tips-for-writing-a-blog-post/).
Se la cultura della mailing-list riecheggia la cultura
postale di chi scriveva lettere e occasionalmente
saggi, il post ideale si definisce attraverso brillanti
tecniche di pubbliche relazioni.
Servizi web come quelli dei blog non possono essere
separati dalla produzione che generano. La politica
e l’estetica definite dai primi utenti caratterizzeranno
il medium per decenni a venire. I blog sono apparsi
negli ultimi anni Novanta, all’ombra della mania
delle dot-com. La loro cultura non si è sviluppata
abbastanza da essere dominata dal venture capital
con la sua mentalità isterica del “demo-or-die-ora-o-mai”.
I blog si presentavano inizialmente come conversazioni
casuali che non potevano essere facilmente commercializzate.
La costruzione di un mondo parallelo rilassato ne
ha reso possibile la trasformazione in cristalli (un
termine sviluppato da Elias Canetti) da cui sono cresciuti
milioni di blog e che, attorno al 2003, hanno raggiunto
una massa critica.
Nel periodo successivo all’11 Settembre, il
blogging ha chiuso il divario tra Internet e la società.
Laddove i dirigenti delle dot-com sognavano folle
di clienti che invadevano i loro portali di e-commerce,
i blog sono stati i reali catalizzatori che hanno
compiuto la democratizzazione mondiale della rete.
Se “democratizzazione” significa “cittadini
impegnati”, essa implica anche la normalizzazione
(ovvero la disposizione di leggi) e la banalizzazione.
Non possiamo separare questi elementi e goderci soltanto
i bit che ci interessano. Secondo Jean Baudrillard,
viviamo nell’“universo della realtà
integrale”. “Se nel passato c’era
una trascendenza verso l’alto, oggi ce n’è
una verso il basso. In un certo senso, questa è
la seconda caduta dell’uomo di cui parla Heidegger:
la caduta nella banalità, ma questa volta senza
alcuna possibile redenzione”. Se non puoi sopportare
alti livelli di irrilevanza, i blog non saranno la
tua tazza di tè.
Il motore che spinge l’espansione della blogosfera
è l’allontanamento dal codice verso il
contenuto. Non c’è più alcuna
necessità di un proto-design vuoto. I blog
non sono un esperimento o una proposta. Esistono davvero.
Da prestissimo, la cultura dei blog è stata
la casa dei produttori di contenuti creativi e sociali.
Esito a dire giornalisti e accademici perché,
nonostante il fatto che molti di essi abbiano queste
esperienze professionali, sarebbe sbagliato collocare
i primi blogger all’interno di contesti istituzionali.
Allo stesso tempo, non erano neppure anti-istituzionali.
In maniera molto simile alla cybercultura degli anni
‘90, la prima generazione di blogger aveva biografie
variegate. Tuttavia, non è riuscita a emergere
una cultura dominante, come quella dei tecno-hippy
californiani e, se esiste, è difficile
da classificare. Bloggare si avvicina a quella che
Adilkno descrisse una volta come “media vague”.
La mancanza di direzione non è un fallimento
ma il patrimonio centrale. I blog non sono emersi
da un movimento o da un evento. Al più, si
tratta di un effetto speciale del software, costituito,
in particolare, dall’automazione dei link, una
questione di design di interfaccia tecnica e non manifestamente
complessa.
Si presume che i blog abbiano un rapporto simbiotico
con l’industria delle notizie. Questa tesi non
passa incontestata. Gli studiosi di ipertesti riportano
le origini dei blog alle ipercard degli anni ‘80
e all’ondata di letteratura online degli anni
‘90 in cui la principale attività del
lettore era cliccare da un documento al successivo.
Per qualche ragione, l’elemento ipertestuale
è scomparso e quello che resta è un’equazione
quasi auto-evidente tra i blog e l’industria
delle notizie .
Non è facile rispondere alla domanda se i
blog operino all’interno o all’esterno
dell’industria mediatica. Posizionare il medium
del blog al suo interno potrebbe essere considerato
opportunista, mentre altri la ritengono una mossa
astuta. C’è anche un aspetto “tattico”.
Il blogger-uguale-giornalista potrebbe ottenere protezione
grazie a questa definizione in caso di censura o repressione.
Nonostante innumerevoli tentativi di caratterizzare
i blog come alternativi ai media tradizionali, essi
sono spesso descritti in maniera più precisa
come “canali di feedback”. L’atto
di esercirtare il “gatewatching” (Alex
Bruns) [neologismo dal gatekeeping giornalistico,
ndt.] sugli sbocchi dei media tradizionali non
produce necessariamente delle osservazioni ragionevoli
di cui si terrà conto. Nella categoria “insensibile”,
abbiamo un’ampia gamma che va dal divertente
al pazzo, dal triste e al malato. Quello che la Cnn,
i giornali e le stazioni radio in tutto il mondo non
sono riuscite a fare – vale a dire integrare
messaggi interattivi e aperti provenienti dai loro
gruppi – lo fanno i blog.
“Bloggare” una notizia non significa
che il blogger si siede e analizza in profondità
il discorso e le circostanze, e lasciamo perdere il
fatto di verificare i fatti in questione. Bloggare
significa semplicemente puntare velocemente al fatto-news
attraverso un link e poche frasi che spiegano perché
il blogger abbia trovato questo o quel “fattoide”
interessante o notevole, o perché è
in disaccordo con l’opinione espressa nella
pagina segnalata.
I messaggi dei blog sono riflessioni personali spesso
scritte in fretta, scolpite attorno a un link o a
un evento. Nella maggior parte dei casi, i blogger
semplicemente non hanno il tempo, le abilità
o gli strumenti finanziari per una ricerca adeguata.
Ci sono blog collettivi di ricerca che lavorano su
temi specifici, ma sono rari. Quello che i blog normali
creano è un nube densa di “impressioni”
su un argomento. I blog testano. Ti permettono di
vedere se il tuo audience è ancora sveglio
e ricettivo. In questo senso, potremmo anche dire
che i blog sono i test-bed esternalizzati,
promossi in outsourcing, privatizzati, o piuttosto
delle test unit dei grandi media. [Test bed e
unit testing sono due procedure utilizzate nell’ambito
della programmazione al computer; esse servono per
verificare il funzionamento di determinate applicazioni
di software o sistemi informatici, ndt.]
I confini tra la mediasfera e la blogosfera sono
fluidi. Un’analisi sociale dettagliata scoprirebbe,
con grande probabilità, un’area grigia
di operatori mediatici freelance che si muovono avanti
e indietro. Da subito, i giornalisti che lavorano
per “i vecchi media” gestiscono dei blog.
Allora come si rapportano i blog al giornalismo investigativo
indipendente? A una prima occhiata, sembrano pratiche
opposte o potenzialmente complementari. Mentre il
giornalista investigativo lavora per mesi, se non
per anni, per scoprire una storia, i blogger sembrano
più un esercito di formiche che contribuisce
al grande alveare chiamato “opinione pubblica”.
I blogger aggiungono raramente nuovi dati a una storia.
Essi trovano bachi nei prodotti e negli articoli ma
raramente “smascherano” lo spin, figuriamoci
se vengono fuori con servizi ben ricercati.
Cecile Landman, una giornalista investigativa olandese
che ha sostenuto i blogger iracheni con la campagna
Streamtime, conosce entrambi i mondi. “I giornalisti
devono guadagnarsi da vivere. Non possono pensare
solo a mettere qualsiasi cosa online. Ai blogger la
cosa non sembra interessare, e questo crea un conflitto”.
Secondo la Landman, i blog stanno cambiando i modelli
esistenti dell’informazione. “Le persone
si stanno annoiando dei modelli dati, non colgono
più la notizia, la quale non resta più
impressa nella loro memoria cervicale. È come
una canzone sentita troppo spesso o una pubblicità
commerciale; la ascolti, ne canti persino le parole,
ma sono prive di significato. I media tradizionali
stanno iniziando a capirlo. Devono ricercare nuovi
formati in modo da attrarre lettori (leggi: inserzionisti
pubblicitari)” – e i blog non sono altro
che un piccolo capitolo di questa trasformazione.
Questo articolo è la prima parte di un
saggio basato su una lecture tenuta a Berlino presso
il Berlin Institute of Advanced Study, Wissenschaftskolleg,
il 26 marzo 2006 e apparirà nel libro in uscita
di Geert Lovink dal titolo “Zero Comments”
(Routledge).
L'intero saggio è stato pubblicato per
la prima volta in tedesco su Lettre Internationale
73. La versione inglese è stata fornita da
Eurozine
© Geert Lovink, Eurozine
Traduzione dall’inglese di Martina Toti
Leggi la seconda parte:
Alla
scoperta della ragion cinica
Leggi la terza parte:
Cosa c’è di nichilista
nella blogosfera?
Leggi la quarta parte:
Annegare in un
arcipelago di link
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