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Letti per voi/"Lasciar fare" all'hi-tech


Domenico Siniscalco

Questo articolo è apparso su Il Sole 24 Ore (www.ilSole24Ore.it) del 23 gennaio

Il futuro, dopo molti anni, sta tornando positivo e ricco di opportunità. Sul piano macroeconomico, come ricorda Tommaso Padoa-Schioppa nella sua intervista di ieri al Sole-24 Ore, Eurolandia ha avviato una forte ripresa, e potrebbe addirittura arrivare a crescere a tassi vicini al 5 per cento. Per riuscirci, e schiodarsi da quel 2% che sembrava una condanna al declino, i Paesi europei dovranno accelerare la strada delle riforme verso maggior flessibilità e liberalizzazione, e verso una struttura fiscale che favorisca di più lavoro e investimento.

La ricetta è nota ed è stata ripetuta inutilmente per molti anni: a differenza del passato, tuttavia, non è più una "predica inutile" perché alcuni Paesi europei hanno già aperto la via e i ritardatari, a cominciare da una troppo timida Italia, saranno costretti a muoversi nella stessa direzione dalla concorrenza tra Stati e tra sistemi, in un mercato senza barriere con una moneta unica.

Le più grandi occasioni di sviluppo, tuttavia, nascono sul piano microeconomico e strutturale. La tecnologia informatica e delle comunicazioni sta continuando a migliorare in scala geometrica, consentendo risultati impensabili (ogni diciotto mesi la densità dei circuiti integrati raddoppia, e questa progressione andrà avanti per anni). E sfruttando la tecnologia, in Europa e anche in Italia sta finalmente decollando una nuova economia.

Il fenomeno non si vede ancora nelle statistiche nazionali, che tardano a cogliere questi fenomeni, essendo pensate per un mondo fordista fondato su quantità e prodotti standardizzati. Ma chi vive nelle buone Università, nelle facoltà di Economia e in quelle di Ingegneria, vede ogni giorno uno straordinario fermento di start-up e di nuove iniziative sulla rete, che assorbe la maggior parte degli studenti e dei laureati "svegli". Chi vive tra le aziende, anche nelle attività più tradizionali, inizia a vedere un movimento di "webbizzazione" della old economy, che farà crollare i costi di transazione e porterà le tecnologie alle porte della piccola impresa, anche se l'e-commerce, oggi, è ancora poco sfruttato. Questi sviluppi non sono affatto desideri, ma sono già realtà concrete in via di decollo, capaci di generare un'onda lunga di sviluppo. E quanto sta accadendo nei settori liberalizzati e ad alta tecnologia sta smentendo coloro che temevano un legame perverso tra tecnologia e disoccupazione, mostrando, al contrario, che l'innovazione, insieme alla liberalizzazione, sta generando occupazione nuova e di grande qualità.

Detto questo, l'ondata di innovazione e di sviluppo può essere facilmente danneggiata, a cominciare dall'Italia, dall'ottusità delle istituzioni, delle norme sociali e delle politiche pubbliche. E le riforme di cui parla Padoa Schioppa sono fondamentali anche per consentire la diffusione delle nuove tecnologie nell'economia. Perché l'innovazione si diffonda e dispieghi tutto il suo potenziale non servono sussidi, o politiche di intervento, come talvolta sembra emergere da provvedimenti di legge varati o invocati. Occorre piuttosto creare un clima economico, finanziario e soprattutto culturale favorevole all'innovazione.

Per creare questo clima occorrono ingredienti fisici, come le reti a banda larga, essenziali per migliorare i servizi; occorrono regolatori che favoriscano innanzitutto l'apertura e l'avanzamento tecnologico; occorre capitale umano, creato dalla scuola e dalla formazione a tutti i livelli; occorre più "ricerca&sviluppo" pubblica e privata; occorrono mercati liberi, poca burocrazia e tassazione leggera del lavoro e dell'investimento. Servono imprenditori, capitali mobili e capitalisti disposti a rischiare senza le tradizionali garanzie.

Occorre che nascano gli incubatori intorno alle migliori università, per incentivare e "covare" le nuove idee capaci di tradursi in prodotti e servizi di successo. Serve infine che tutto questo si combini su scala locale, ricreando distretti produttivi in campo tecnologico. In questo campo si vedono sintomi positivi. La liberalizzazione delle telecomunicazioni è molto avanzata. Stanno nascendo progetti di nuovi corsi e nuove università dedicati espressamente all'innovazione e innestati sulle esperienze di impresa. Stanno nascendo portali di Internet italiani, orizzontali o dedicati a servizi specifici. Si sta formando, soprattutto, una comunità digitale di persone attentissime alle nuove tecnologie, che va dagli editori, ai banchieri, ai venture capitalist, a migliaia di giovani.

Tutto questo, miracolosamente, sta già creando un flusso di rientro in Italia dei migliori cervelli, che hanno studiato e lavorato negli Usa nei grandi distretti tecnologici come Boston o la Silicon Valley. Questo brain drain all'incontrario, insieme ai fondi Usa che iniziano a investire in Europa, è un sintomo e un fattore formidabile di sviluppo.

Questo quadro può apparire esageratamente roseo, ma nasce da sintomi precisi e ben osservabili. Per questo motivo occorre che anche le politiche pubbliche si adeguino sin da ora e accelerino l'evoluzione del sistema nella direzione desiderata.

Il problema, come si diceva, non è quello di sussidiare o regalare i personal computer, perché a questo stanno già pensando gli operatori telefonici, le imprese Internet e persino i giornali. Si tratta piuttosto di creare il clima favorevole all'innovazione, riservando allo Stato poche aree di intervento nell'educazione, nella ricerca di base e possibilmente in campo fiscale, dove occorrono minori distorsioni sul lavoro e sull'investimento. Per il resto, meglio limitarsi a rimuovere barriere e lasciar fare, perché in un Paese molto avanzato come il nostro i cittadini e le imprese sanno meglio di chiunque cosa fare.

 

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