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La cultura crea ricchezza, ma non è solo business

Intervista a Robert Reich

 

Quello che segue è il resoconto dell'intervento in forma di intervista a Robert Reich, ministro del Lavoro dell'amministrazione Clinton, alla Conferenza internazionale sul lavoro culturale nella società di informazione che si è tenuta a Roma il 22 e 23 ottobre

l. Oggi le tre principali questioni a cui il lavoro culturale deve far fronte sono la globalizzazione della cultura, la convergenza fra le industrie e le istituzioni culturali e lo sviluppo sostenibile, cioè lo sviluppo che mantiene vivi i valori e le identità culturali. Lei aderisce a questo tipo di analisi?

Sì, io credo che la grande questione che affrontano gli Stati Uniti, e molte altre nazioni sviluppate, abbia a che vedere con l'integrazione delle culture, delle culture di ogni singola nazione, alla luce della globalizzazione e della omogeneizzazione delle culture nazionali. Questa è una questione molto delicata.

Noi negli Stati Uniti tendiamo a sentire, qualche volta in modo consapevole, che la nostra cultura del divertimento sta travolgendo il mondo, che Hollywood sta diventando il mondo. E io penso che sotto alcuni aspetti dovremmo essere turbati da tutto ciò. Ma nello stesso tempo amiamo conoscere e divertirci con la cultura italiana o francese o di qualsiasi altro posto del mondo: non solo di nazioni sviluppate, ma anche di nazioni che si stanno sviluppando.

L'eterogeneità arricchisce le nostre vite, così qualche tensione fra quello che voi potreste chiamare imperialismo culturale e l'apprezzamento delle diversità ci riguarda. Più le altre culture possono ottenere ricchezza con la propria integrità, più noi potremo trarre beneficio da queste culture, e loro da noi.

Dobbiamo essere molto attenti che la globalizzazione, in altre parole, non inghiotta noi tutti e non ci omogeneizzi in modo tale che in qualsiasi parte del mondo ci dovessimo trovare, non noteremmo differenze nel comportamento della gente, nell'arte, nella scrittura e nel disegno. Questa sarebbe una grave perdita.

 

2. La cultura è un campo che partecipa e allo stesso tempo resiste alla globalizzazione. Lei concorda con l'analisi che ritiene che i prodotti e i servizi culturali sono differenti da qualsiasi altro tipo di prodotto e servizio?

I prodotti e i servizi culturali sono diversi dalla maggior parte degli altri prodotti e servizi per il fatto che essi solamente fanno appello e ricavano il proprio potere dalle tradizioni, dalle norme e dai valori in un particolare posto del mondo. Ma nello stesso tempo influenzano queste norme, tradizioni e punti di vista, in modo particolare se ci riferiamo alla cultura del divertimento. La cultura del divertimento indubbiamente modifica la cultura locale.

Ora, la scrittura è un qualcosa di leggermente differente, l'arte è qualcosa di completamente diverso, non è completamente popolare o almeno la sua portata non è così diretta, non si trasmette via satellite. La scrittura deve essere tradotta, l'arte sono certi aspetti deve inevitabilmente riflettere il modo in cui gente diversa, in posti diversi, con differenti tradizioni, vede il mondo.

Ma la cultura del divertimento è molto più simile a molti altri prodotti, ha l'etichetta con il prezzo. E questa etichetta riflette la domanda e l'offerta che il mercato globale sta dando alla cultura del divertimento: una particolare serie televisiva sta per girare tutto il mondo, essendo disponibile attraverso il satellite, e ci sarà una specifica etichetta con il prezzo attaccata a questa serie.

Hollywood e la cultura del divertimento rappresentano una delle principali fonti di esportazione per gli Stati Uniti, hanno un effetto diretto e indiscutibile sulla nostra bilancia dei pagamenti e sulla nostra bilancia commerciale, come il grano, le macchine e tutto il resto.

 

3. L'Ocse ha dedicato un'attenzione crescente all'industria del contenuto. L'Unione Europea ha indicato le industrie culturali come una delle aree più rapide nello sviluppo e nella creazione di lavoro. Quali sono le tendenze attuali negli Stati Uniti?

Negli Stati Uniti abbiamo la cultura del divertimento. E con questo intendo i film, la musica, la musica popolare, varie forma di commercio digitale e di divertimento, anche le riviste, le pubblicazioni.

Tutto ciò coinvolge sempre più persone, ha una influenza sempre più grande sull'economia e c'è da aspettarsi proprio questo, perché in una economia ricca la maggior parte dei bisogni di sussistenza vengono soddisfatti (mi riferisco al cibo, al vestiario e alla casa), per cui la gente mira a bisogni non primari. Le persone spendono la maggior parte del proprio denaro per stimolarsi intellettualmente, per divertirsi, per la cultura e per l'arte – arte di basso grado e non. E così non sorprende che in tutti i paesi sviluppati si possa vedere una porzione sempre più grande di prodotto interno lordo andare verso ciò che potrebbe essere interpretato come generi culturali.

Ma io credo che il design meriti una discussione separata, perché ogni prodotto e quasi ogni servizio, in ciascun paese, in ogni società, ha un suo design. E per il fatto che il design incorpora l'arte o la cultura, è già in se stesso un servizio culturale. E anch'esso si sta evolvendo molto velocemente, anche tra le marche di computer adesso c'è competizione per tipo di design.

Il design concerne ovviamente la moda, gli articoli per la casa, ma anche i giornali, le pubblicazioni e le pagine web. Se si ritiene che il design sia un prodotto culturale, e io credo che lo sia, allora il suo universo diventa più ampio. Molte persone si stanno impegnando nel design, perché è una delle aree di crescita più rapide di ogni economia.

 

4. Nel suo libro "Il lavoro delle nazioni" lei definisce gli analisti simbolici come identificatori e solutori di problemi e agenti strategici. Chi sono gli analisti simbolici in ambito culturale?

In ambito culturale gli analisti simbolici sono, innanzi tutto, tutte le persone nelle industrie dell'arte, del divertimento, dell'editoria e del design che valutano che cosa vuole il mercato. E io credo che qui vada fatta una distinzione fra cultura popolare e cultura alta.

L'alta cultura riguarda quel genere di cose che gli artisti fanno senza curarsi che siano popolari. Forse queste opere non vogliono essere per forza apprezzate, forse non ci saranno mai etichette del prezzo su di esse, forse qualcuna di queste diventerà molto famosa e allo stesso tempo classica nel futuro, ma non avranno lo stesso tipo di puntello analitico come quella parte di cultura che è direttamente sul mercato: la cultura popolare.

Nell'elaborazione dell'intrattenimento di massa si utilizzano molte energie per analizzare il mercato, studiando che tipo di genere richiede, che prodotti di design, che prodotti artistici, che film, che musica, che tipo di scrittura nelle riviste e nelle altre pubblicazioni. Questi sforzi analitici sono molto importanti.

Inoltre devo aggiungere che c'è un incremento delle analisi che sta arrivando a calcolare il buon design; l'architetto, l'ingegnere, l'ingegnere del design, l'artista commerciale, tutti loro sono immersi in analisi, analizzano molto spesso parecchi dati per poter determinare qual è il miglior design in certe circostanze. Non sono solamente dati del mercato, sono anche dati che hanno a che fare con i materiali che loro stanno usando, il mezzo attraverso il quale stanno esprimendo se stessi. Tutti questi dati possono essere analizzati.

 

5. Come Ministro del Lavoro, quale è stata la politica che lei ha attuato per lo sviluppo nel settore culturale? Quale considera essere il suo più grande risultato e quali sono invece i suoi pentimenti?

Noi provammo, e in grande misura riuscimmo, a sviluppare qualche programma di formazione: programmi scuola-lavoro, che davano ai giovani l'opportunità di diventare designers, la possibilità di verificare se avevano le inclinazioni culturali e le qualità necessarie per competere sul mercato.

Io non voglio dire che noi abbiamo scoraggiato le persone giovani dal diventare disegnatori o artisti o scrittori non commerciali. Ma solo dire che se un giovane vuole seguire i propri istinti, le proprie aspirazioni e i propri desideri di realizzarsi, ci sembra molto importante fornirgli l'opportunità di fare tutto ciò.

Questo è il motivo per il quale organizzavamo parecchi programmi di formazione (e ne facciamo ancora), parecchie opportunità educative di scuola post elementare e secondaria, programmi tecnologici per formare le persone nel lato analitico del lavoro culturale.

Noi abbiamo provato con un certo successo ad aprire i mercati alle esportazioni culturali. Io capisco pienamente la sensibilità su questo punto. Particolarmente a riguardo dei prodotti culturali americani, i prodotti di Hollywood, molte culture potrebbero sentirsi minacciate. Ma tuttavia c'è un valore nel mercato aperto alle idee e alle visioni: esso permette alle culture di testimoniarsi l'una all'altra e di osservarsi l'una con l'altra. Per questo noi abbiamo fatto un lavoro con gli altri paesi per provare ad aprire i loro mercati ai nostri prodotti culturali e anche il nostro mercato ai loro prodotti culturali.

 

6. Il principale obiettivo del Consiglio d'Europa, come emerge dal disegno di raccomandazione sul lavoro culturale nella società dell'informazione, è quello di invitare i governi europei a formare una forza lavoro adatta allo svi1uppo delle industrie e delle istituzioni culturali. Lei crede che vi sia lo stesso livello di consapevolezza nell'amministrazione degli Stati Uniti?

Io credo che la cultura riceva parecchie attenzioni, ma spesso non è chiamata cultura. Il problema è che negli Stati Uniti non c'è lo stesso grado di autoconsapevolezza su che cosa è un prodotto culturale. Noi spesso li consideriamo come scontati, francamente.

Guardiamo all'industria del divertimento e notiamo quanto velocemente si stia evolvendo, quanto i film di Hollywood, i cd, la musica, la scrittura, l'editoria a New York stiano crescendo. Osserviamo tutto questo, ma in realtà noi non lo pensiamo come una produzione culturale. Io credo che ciò possa dipendere dal nostro background piuttosto mercenario: per noi sono tutti prodotti, equivalenti a ogni altro prodotto.

Lo stesso avviene per il design; il design è un input per molti prodotti, ha un valore particolare. Noi stiamo lavorando per valorizzare gli ingegneri del design, per fornire loro l'educazione e la formazione di cui hanno bisogno. Ma esso non viene categorizzato come un prodotto culturale.

Gli Stati Uniti non pensano la cultura come una categoria separata, forse perché non abbiamo un profondo senso storico di noi stessi, che riesca a farci considerare come una cultura. La maggior parte di noi sono immigrati, la maggior parte di noi proviene da altre culture, che abbiamo portato negli Usa. Gli Stati Uniti sono una sorta di calderone di culture. Perciò, e forse anche perché siamo la potenza dominante nel mondo, noi non pensiamo alla cultura come ad un aspetto unico e distinto dell'economia americana.

Sarà giusto? Sarà sbagliato? Non sono sicuro della risposta. Credo che se fossi un europeo presterei più attenzione a questo. E negli anni a venire forse accadrà la stessa cosa negli Stati Uniti.

 

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