La battuta migliore e'
quella di Jim Nail, analista alla Forrester Research: "Il piu' efficace meccanismo
per bloccare la pubblicita' e' quello che abbiamo tutti, tra un'orecchio e l'altro".
Basta usare la testa, secondo lui, per neutralizzarne il fastidio. Eppure, nonostante la
dotazione di default, si e' assistito di recente a un florilegio di prodotti che
dovrebbero fare proprio questo: impedire lo scaricamento dei banner, alleggerendo cosi' le
pagine Web e aumentando di conseguenza la velocita' della navigazione. Ma riflettete due
volte prima di un eventuale brindisi. Se da una parte infatti il sistema potrebbe
alleviare una delle piu' grosse piaghe dell'Internet odierna, l'estenuante lentezza che ha
suggerito l'epiteto "World Wide Wait", dall'altra si candida a minarne il
principale canale di sussistenza.

E cosi' quando RealNetworks - la societa' che produce RealAudio e
RealVideo - ha deciso di distribuire a 14 dollari e 95 AtGuard, un software realizzato
dalla Wrq di Seattle che esclude dalla visualizzazione i banner e le altre finestre
pubblicitarie che nei siti generalmente si incontrano, rendendo la navigazione "fino
a sei volte piu' spedita", molti editori elettronici si sono imbufaliti. Al punto che
i boicottaggi e le contromisure minacciate hanno fatto capitolare l'azienda che ha infine
ritirato il suo appoggio al prodotto contestato. "Il pubblico ha accettato da tempo
di pagare il pedaggio alla pubblicita' nei media tradizionali - ha dichiarato uno dei piu'
accaniti critici, il direttore di ItvWorld.com Scott Mathias - e dovra' essere tollerante
anche online". O si accetta la pubblicita' (e si usano i servizi gratis o quasi), o
la si rifiuta ma allora qualcuno dovra' metter mano al portafoglio: tertium non datur.
Dal canto suo la tedesca Siemens ha introdotto sul mercato, a partire
da gennaio scorso, WebWasher: scaricabile gratuitamente dalla rete, il plug-in funziona di
concerto con un qualsiasi browser (solo in ambiente Windows, per il momento) e mira allo
stesso risultato di AtGuard. Le reazioni non si sono fatte attendere. L'incongruenza
denunciata da piu' parti e' la medesima: "State sparando su chi ci/vi da' da
vivere". E non si tratta di cifre trascurabili. Se durante il '98 sono stati spesi
quasi 2 miliardi di dollari in pubblicita' online, la stima di Jupiter per l'anno prossimo
e' nell'ordine di 4,4 miliardi solo per quanto riguarda i banner. A patto, naturalmente,
che gli "ad-blocker" non scombussolino i piani.

Dopo i primi sei mesi dal suo lancio Siemens ritiene che circa un
milione di persone nel mondo stia usando il suo prodotto. Internet Mute, una compagnia di
Cambridge, Massachusetts, che produce un'applicazione analoga - Intermute - si dice molto
soddisfatta delle vendite realizzate in un periodo analogo. Ma c'e' qualcosa che non
quadra. Questo tipo di antidoti ai banner sono nati insieme a loro, nell'ormai lontano
1994. Sino a ieri si potevano trovare, sotto forma di shareware (software gratuito) in
rete, ma non hanno mai sfondato. Ci sono da mettere in conto pigrizia e diffidenza nei
confronti di qualsiasi nuovo programmino da installare e configurare sul proprio pc.
"Tanto piu' nel nostro mercato - conferma Marco Locatelli, direttore commerciale di
DoubleClick Italia - dove se e' vero che le connessioni domestiche sono particolarmente
lente e' ancor piu' vero che l'utenza, in forte crescita, non e' ancora particolarmente
evoluta. Solo una minoranza di navigatori esperti puo' prendere in considerazione una
contromisura del genere". "L'utente nostrano di Internet e' molto vicino
all'utente tv - rinforza Fausto Gimondi, direttore generale di Virgilio - si collega e non
ne vuol sapere di stare a impazzire su un apparecchio che gli disabilita i cookie o su un
altro che bypassa i banner. Oltre alla semplicita' l'altra singola cosa che gli sta piu' a
cuore e' la gratuita', ma per garantirla c'e' bisogno del sostegno pubblicitario (la
stragrande maggioranza dei nostri visitatori ha risposto - salvo qualche lamentela sui
recenti messaggi elettorali - di non esserne infastidita)".

C'e' inoltre da considerare che certe pubblicita' sono apprezzate da
chi naviga. "La regola della nostra casa madre - spiega Alessandro Pegoraro,
direttore generale di Yahoo! Italia - e' che ormai un banner va sull'home page solo se
contiene dei benefici tangibili per l'utente, come sconti o altre promozioni. Mentre nelle
altre sezioni i messaggi degli inserzionisti sono "targettizzati", e quindi chi
li vede li accoglie bene, ci clicca volentieri. Storicamente il nostro servizio e' nato
per andare incontro alle esigenze dell'utente. La leggerezza delle nostre pagine e'
esemplare e applichiamo regole rigorosissime per ridurre al minimo il peso dei banner. In
un paio di occasioni questa severita' ci ha fatto perdere anche dei clienti, ma cosi'
facendo non abbiamo deluso i nostri visitatori". D'altronde un sistema rozzo ma
efficace per velocizzare la navigazione e' incorporato da sempre in ogni browser, e si
tratta dell'opzione di disabilitare la visualizzazione delle immagini (banner inclusi).
Quasi nessuno lo usa. Niente di nuovo, dunque, sul fronte d'Internet.