| Hacker o cracker? 
 
 
 Piero Comandè
 
 
 
 Pekka Himanem, L'etica hacker e lo spirito dell'età dell’informazione
            (con un
 "prologo" di Linus Torvalds ed un "Epilogo" di
            Manuel Castells), Feltrinelli 2001, pp.176, Euro 12,91
 
 Per mesi la “Hi-Tech Hate Crew”, una banda di adolescenti
            italiani, autodidatti dell'informatica, ha scorrazzato in Internet
            violando siti d'ogni genere e “peso”: da quello del Pentagono a
            quello del Parlamento italiano, dal sito del governo cinese a quello
            del Barhain, non trascurando regioni, società e partiti politici.
            Sono stati arrestati e ora rischiano una condanna fino a tre anni di
            carcere. Il senso comune li chiama hacker, smanettoni pericolosi che
            demoliscono i siti Web, infischiandosene dei danni che producono. E'
            una semplificazione che confonde “hacker” con “cracker”,
            protestano gli appassionati dell'“hacking” (la passione per la
            programmazione aperta) che occulta uno dei fenomeni sociali più
            interessanti emersi nella transizione dalla società industriale in
            network society.
 
 Chi ricorda che alcune tra le società
            informatiche più importanti - Sun-Stanford University Network
            microsystems, Cisco, Lotus, Apple - sono state fondate da hacker?
            Pekka Himanem - docente dell'Università di Helsinki e di Berkley -
            fa suo questo punto di vista e nel libro che, parafrasando un
            celebre studio di Max Weber, ha intitolato L'etica hacker e lo
            spirito dell'età dell’informazione, Feltrinelli 2001, ci dà un’interpretazione
            originale della loro soggettività.
 Colpisce - nota l'autore - l' importanza che questi programmatori
            attribuiscono alle questioni etiche: libertà, responsabilità,
            socialità, condivisione. Quest'attitudine, si diffonde anche in
            campi estranei all'informatica (ad esempio nello studio della
            letteratura), affonda le mani nella contraddizione capitalista di un
            sistema di ricerca chiuso, la cui instostenibilità sarebbe evidente
            se cessasse la ricerca libera e condivisa. La loro cultura dunque
            non manca di originalità e di concretezza, anche perché sono stati
            loro a creare le basi tecnologiche di Internet, che ha poi
            consentito lo sviluppo di grandi progetti cooperativi in campo
            scientifico e umanistico.
 
 L'etica scientifica degli hacker, secondo lo studioso finlandese,
            rovescia il dominio del tempo sulla mansione, del lavoro e del
            denaro sul tempo propugnata dall'etica protestante secolarizzata.
            “Voglio costruire un orologio che batta il tempo una volta
            all'anno - dice Danny Hillis della Long Now Foundation- la lancetta
            dei secoli avanzi una volta ogni cento anni, e il cucù salti quando
            scocca il millennio. Voglio che il cucù esca fuori ogni millennio
            per i prossimi centomila anni”.
 
 Il paradosso di un non-orologio diventa il simbolo etico della
            necessità di avere tempo. Senza tempo -pensano gli hacker- non c'è
            etica possibile e non c'è neanche creatività, ma solo
            sopravvivenza. E secondo la “Legge di Linus” (Torvalds) -
            spiegata nel prologo a cura del creatore del kernel di Linux, con il
            suo solito tono umile e dimesso - gli hacker accettano di lavorare
            per la “sopravvivenza”, ma solo a condizione che la maggior
            parte delle loro risorse possa essere investita nella “vita
            sociale” e nel “divertimento” (o “passione”) e che le
            diverse dimensioni della vita attiva non restino separate. Per molti
            di loro la motivazione trainante è soprattutto il riconoscimento
            della loro bravura da parte della comunità virtuale (e reale).
 
 I luoghi simbolici di questa cultura non sono modellati sul
            monastero - Himanem mostra come si somiglino la regola benedettina e
            l'etica protestante del lavoro - ma sull'Accademia (platonica), dove
            le persone libere hanno skhole, tempo libero ed autoderterminato,
            dove è praticata la synousia, il dialogo critico, che è diventato
            il modo di funzionare della comunità scientifica moderna. E' ciò
            che Eric Raymond chiama irrispettosamente “bazar”,
            contrapponendolo alla “cattedrale”: un luogo di sviluppo del
            software in spazi aperti dove si può parlare e dire la nostra, al
            quale è estraneo - anche perché inefficace - il principio di
            autorità.
 
 Il modello di impresa opensource fa degli hacker dei capitalisti
            speciali che competono su un livello superiore a quello della
            sottrazione e della segretezza delle informazioni. Forse nei loro
            percorsi di vita, in ciò che hanno fatto e fanno, si possono
            leggere nuove forme di organizzazione sociale di tipo generale,
            centrate sull'irriducibile libertà dell'individuo e sulla
            necessità che abbiamo di definirci “esseri umani” e non
            computer in Rete. Un punto di partenza anche per distinguere,
            direbbe Himanem, tra intenti e pratiche polemiche ma costruttive e
            comportamenti indeterminati e autodistruttivi.
 
 
 
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