E' giunta l'era del Windows opensource?
Piero Comandè
La Microsoft sarebbe intenzionata a
distribuire i codici sorgenti di Windows, con l’esclusione di
quelli coperti dal segreto militare. La notizia, emersa nel
dibattito al convegno “Best practice dell’Opensource nelle
Pubbliche Amministrazioni” gestito dall’Associazione OPENPA.IT
durante il Forum della Pubblica Amministrazione (Roma 7-11 maggio
2001) attesterebbe, se confermata, la rapida evoluzione delle
culture informatiche. Le partecipazioni a questo convegno del dott.
Giulio De Petra, direttore Ufficio per l’Informatizzazione e lo
Sviluppo per le Reti Telematiche della P.A. Dipartimento della
Funzione Pubblica, del prof. Salvatore Tucci, responsabile Sistemi
Informativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del dott.
Giancarlo Fornari (chairman), direttore Ufficio Relazioni Esterne
Agenzia delle Entrate del Ministero delle Finanze, della dott.ssa
Giovanna Sissa ed del prof. Marco Trebino dell’Osservatorio
Tecnologico del Ministero della Pubblica Istruzione segnalano un
interesse crescente per lo sviluppo cooperativo e aperto del
software, basato sulla disponibilità del programma “in chiaro”.
Di “software libero” e della sua cultura, delle sue prospettive
di impiego nella pubblica amministrazione abbiamo discusso con il
Prof. Raffaele Meo, docente di Reti di calcolatori II e Sistemi di
elaborazione dell’Informazione II al Politecnico di Torino, già
curatore di “Elementi di informatica” per RAI-NETTUNO e
promotore del progetto Edulinux per il recupero dei calcolatori
obsoleti nella scuola.
Prof. Meo, che cos’è il “software libero”?
Secondo la definizione data da Richard Stallman, iniziatore della
Free Software Foundation (1984), il software libero è tale se è
gratuito, disponibile a tutti e soprattutto “opensource”. “Opensource”
è un concetto centrale, vuol dire disponibile in formato sorgente,
cioè come l’ha scritto il programmatore non come sequenza di 1 e
0 che solo il calcolatore può interpretare. La disponibilità del
codice sorgente consente delle modifiche che possono adattarlo alle
specifiche esigenze dell’utilizzatore.
Ma è veramente gratuito?
L’assoluta gratuità del software libero è stata presto
abbandonata. Sin dalle origini Stallman con la licenza GPL (general
public licence) ha escogitato un diritto di “copia di sinistra”,
il “copyleft” che consente di vendere software, di farne quante
copie si vuole, purché la copia, arricchita eventualmente di
miglioramenti, sia venduta con lo stesso tipo di licenza, coperta
ancora una volta con il “copyleft”. In sostanza il “copyleft”
è qualcosa di virale che si propaga di copia in copia e garantisce
la trasparenza in tutta l’evoluzione del prodotto. E’ essenziale
che il software libero sia disponibile in formato sorgente, “opensource”,
perché deve poter essere modificato.
L’aggettivo “free”, libero, dunque può essere frainteso …
Stallman dice che il software libero è “free” come in “free
speech” e non come in “free beer”, è “parlare libero”,
non “birra gratuita”. In questa prospettiva la libertà per lui
è una questione etica non di prezzo. Tanto più che da quattro,
cinque anni, visto il notevole successo di questo software, i
grandi, parlo di IBM, Sun, Oracle, sono entrati in questo settore ed
hanno cominciato a fare delle commistioni, ad intermescolare “software
libero” e “software proprietario”. In effetti oggi il
significato vero del software libero diventa un po’ controverso:
dalla libertà assoluta di farne quello che si vuole a forme un
pochino meno libere da parte dei “prammatici” dell’ultima
generazione.
Può spiegarci come è sviluppato questo software?
L’originalità, ed in fondo lo spirito del software libero,
possono essere illustrati con una variante del “dilemma del
prigioniero” applicato alle telecomunicazioni. Supponiamo che 10
produttori mondiali decidano di entrare nella telefonia di V
generazione. Lo sviluppo della tecnologia relativa costa 1000
miliardi, però promette nell’arco di cinque anni un fatturato di
5.000 miliardi. L’alternativa che ha ognuno dei dieci è o di
vincere in esclusiva la battaglia e di vincere tutti i 5000
miliardi, investendo 1000 miliardi. Tuttavia se sono razionale e non
presuntuoso, e penso di avere più o meno le stesse probabilità
degli altri 10, posso considerare di avere una probabilità del 10%
di portare a casa tutto, cioè i 5000 miliardi, avendone investiti
1000. In termini di “teoria dei giochi” questo è un gioco non
equo. Non si investe per guadagnare cinque volte la posta con una
probabilità di successo che è solo del 10%! Se invece i 10
produttori mondiali decidono di mettersi insieme insieme agli altri
otto, investendo ciascuno 100 miliardi anziché mille in uno spirito
di collaborazione, non porteranno a casa 5.000 miliardi, ma solo
500. Tutti però sono sicuri del successo e guadagnano, anche se è
un successo meno importante del vincitore unico della competizione.
Intende dire che lo sviluppo del “software libero” si fonda
sulla collaborazione tra i programmatori?
La logica degli operatori dell’opensource è quella di mettere a
disposizione tutto giocando sulla collaborazione. Ogni programmatore
porta alla comunità il suo lavoro, sapendo che gli altri gli
daranno molto di più perché sono tanti e che tutti insieme
riusciranno fare tante cose. E’ una logica che sta penetrando
anche nelle aziende, la Motorola ha deciso di fare proprio questo,
liberalizzando il software che farà funzionare i telefoni cellulari
multimediali della prossima generazione, gli iDEN, che saranno
mandati in esercizio da sono due compagnie negli Stati Uniti ed in
Canada alla fine dell’anno. Ha messo a disposizione sul portale www.collab.net
gli ambienti di sviluppo per aprire la propria tecnologia ai “softweristi”
che sono interessati a collaborare.
Dunque l’”opensource” è una cultura tecnologica originale?
E’ una risposta scientifica naturale. Il software si fa meglio in
tanti ed in collettività. Come dimostra l’esperienza di Internet.
Sino al 1996 Internet è stato tutto libero. Tutto ciò che conta in
Internet: i server, i client, i programmi e gli algoritmi di
instradamento, in Domain Net Server (DNS) cioè la traduzione degli
indirizzi è tutto software libero. Adesso ci si sono buttate, come
in un assalto della diligenza, le multinazionali, ricopiando il
software e poi aggiungendo qualcosina in modo tale che si perda la
compatibilità. Ci sono siti che ti accettano solo se usi il browser
di un certo produttore. Prima che venissero introdotte queste
complicazioni artificiose, ciò non succedeva.
Ma questo sviluppo informale non rischia di mettere in
difficoltà chi usa il software?
Non credo. La manutenzione può essere fatta più facilmente
perché i programmi sono disponibili in formato sorgente, la
qualità - si è dimostrato- è molto alta. Tuttavia il software
libero è ancora un software che copre la fascia alta del mercato,
quella più professionale: dei server, dei client. Anche Linux - il
sistema operativo “opernsource” per eccellenza - presuppone
ancora interfacce di tipo testuale, benché oggi cominci ad avere
delle interfacce grafiche che ne rendono più facile l’uso.
Chi corregge i “bug”, gli errori?
E’ da tener presente che se da una parte ci sono le aziende
proprietarie che buttano in campo migliaia di programmatori, dall’altra,
il software libero benché caotico e disordinato, butta in campo
molte decine di migliaia di programmatori. E’ una competizione
quasi iniqua. Questa è la novità importante: è ciò che Polanyi
chiama la repubblica della scienza, cioè la struttura mondiale dei
gruppi di ricerca accademici. Questa comunità ha una forza d’urto
importante e pesante. E questa forza d’urto pesante diventa sempre
più importante man mano che si assiste a quel processo di
smaterializzazione delle conoscenze che è una novità assoluta.
Può stimare la diffusione del “software libero” nel mondo?
E’ una diffusione relativamente recente, però gli
sviluppatori e gli utilizzatori sono ormai centinaia di migliaia. La
Cina ha deciso di dotarsi di 2.000.000 di programmatori “opensource”
entro due anni. In Europa la Francia ha una proposta di legge, così
come ce l’hanno la Germania e la Danimarca per rendere
obbligatorio il software libero nella pubblica amministrazione.
Quali vantaggi offre il “software libero” alle pubbliche
amministrazioni?
Una volta che c’è un programma libero, quello è disponibile
per tutte le pubbliche amministrazioni. Può essere oggetto di
miglioramenti da parte di programmatori liberi, di aziende che
possono farlo crescere. Una pubblica amministrazione che usi del
software che non sa che cosa fa commette un atto illegale. Sono
certo che non c’è nulla, ma le pubblica amministrazioni hanno il
dovere di verificarlo.
L’”opensourse” è accusato da alcune aziende di software di
prestarsi ad operazioni commerciali poco trasparenti …
Può darsi che il pericolo esista, non lo nego. Vi sono aziende
che definiscono, impropriamente, il proprio modello di sviluppo “opensource”.
Tuttavia liberalizzano solo alcuni strati del software, solo quelli
che a loro conviene. Noi però non possiamo fermarci, solo perché c’è
il pericolo di essere strumentalizzati da qualcuno. Io sono per un
mondo pluralista, quindi mi sta bene che domani vi sia il software
libero insieme al software proprietario. Solo non vorrei che i
prepotenti delle multinazionali facessero quello che stanno facendo
in tutto il mondo e quello che hanno fatto anche nel nostro paese,
si pensi alla legge del 18 agosto 2000 che è una autentica vergogna
nazionale …
Di che cosa si tratta?
Questa legge prevede pene per “chiunque abusivamente, per
trarne profitto detiene a scopo commerciale o imprenditoriale,
programmi per elaboratore contenuti su supporti non contrassegnati
dalla Società Italiana degli Autori ed Editori è soggetto alla
pena di reclusione da sei mesi a tre anni ed alla multa da L.
5.000.000 a 30.000.000”. Ciò può anche essere legittimo, non
voglio assolutamente difendere chi copia il software. Tuttavia si
rende conto anche lei che 3 anni di reclusione per aver copiato un
programma software è eccessivo. E’ un chiaro segno di inciviltà.
Tutte le norme accessorie sono costruite in modo tale da frenare lo
sviluppo dell’innovazione: il possesso di un masterizzatore
potrebbe essere un reato! A mio parere questa legge non è stata
scritta da nessun giurista, né credo che sia stata letta con
attenzione da molti deputati. Tuttavia riguarda anche noi che,
lavorando per le aziende, abbiamo centinaia di programmi sui nostri
calcolatori, di cui alcuni fatti dagli amici, alcuni fatti in
proprio, alcuni tirati giù dalla rete. Secondo l’interpretazione
che ne dà la SIAE, dovremmo andare nei loro uffici e farci dare un
bollino per ciascuno di questi programmi. Anche per i programmi che
scarichiamo dalla rete … Chiaramente si è esagerato!
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