La via italiana al futuro tecnologico
Leonardo Chiariglione con Andrea Begnini
Non siamo a Silicon Valley, in uno dei tanti laboratori high-tech
californiani. La ex campagna macchiata di capannoni industriali, stesa
contro le Alpi piemontesi, non concede possibilità di errore: Torino,
appena fuori dal centro città. Non è il Mit di Boston né la sede di
Microsoft, eppure il futuro tecnologico legato soprattutto alla
multimedialità passa anche di qui, per le basse costruzioni dello
Cselt, Centro studi e laboratori telecomunicazioni del gruppo Telecom
Italia.
Nato nel 1964 come costola dell’allora Sip, lo Cselt conta oggi circa
1200 tra ricercatori e altri dipendenti e la sua storia si allunga dai
primi studi sulle centrali telefoniche completamente elettroniche alle
fibre ottiche, dalla rete cellulare Gsm agli inizi degli anni Ottanta
alle reti ad alta velocità e alla televisione digitale.
In questo istituto d’eccezione lavora un piemontese di Villar Dora,
Leonardo Chiariglione, specializzazione a Tokio nel 1973 in elettronica
e allo Cselt dal 1988 come responsabile per il settore tecnologie e
servizi multimediali. E’ dal suo lavoro che sono stati condotti lo
sviluppo e la standardizzazione del formato Mp3, il sistema di
compressione dei file musicali che è alla base della possibilità di
trasmettere e copiare contenuti digitali via Internet.
Dal 1988 Chiariglione è conosciuto nella comunità scientifica
internazionale come fondatore e presidente del gruppo di lavoro Mpeg (Motion
picture experts group), lo standard universale per la trattazione in
formato digitale di suoni e immagini in movimento.
Mpeg, nei suoi vari formati, è alla base della più recente produzione
di Cd rom e videogiochi, viene impiegato abitualmente nei filmati della
televisione digitale e si definisce come uno standard aperto: “Nella
tecnologia aperta” - spiega Chiariglione nella stanza delle
dimostrazioni dello Cselt - “tutti possono controllare il business.
Mentre ad esempio l’elettronica di consumo è sempre stata un mondo di
standard proprietari anche se disponibili a chiunque, in campo
informatico chi controlla la tecnologia si arroga il diritto di cederne
o meno lo sfruttamento”
Per comprendere l’importanza di uno standard aperto basta pensare al
telefono: alzando la cornetta si arriva dove si vuole. Nella tecnologia
televisiva invece, ci si accorge subito che comprando una videocassetta
negli Stati Uniti o in Francia non la si potrà vedere a casa propria
perché è registrata con un diverso standard: “Questo -prosegue
Chiariglione - nelle tecnologie aperte non può accadere ed è il motivo
per cui lavoro in Mpeg: non esiste un padrone”.
“Quello che stiamo facendo in Sdmi” - continua- “è sviluppare una
tecnologia water marking, qualcosa in grado di segnalare se la musica è
stata piratata o ascoltata secondo le regole. Riuscire a fermare la
napsterizzazione, il fenomeno che si è prodotto proprio in seguito alla
diffusione dell’Mp3 di Chiariglione, non è una questione da poco, se
si considera che il solo mercato delle musica in Rete già nel 2005
dovrebbe fatturare qualcosa come 7mila miliardi di lire. L’urgenza del
lavoro che l’Sdmi sta portando avanti è proprio questa: sviluppare
una tecnologia grazie alla quale il file Mp3 viene inserito in un
involucro che consente a chi lo scarica da un sito di ascoltarlo magari
una volta gratuitamente, ma successivamente di acquistarlo, anche per un
uso limitato di cinque o dieci volte, oppure a tempo indeterminato”.
Si tratta in sostanza di una specie di guscio, un segnale non udibile,
ma la cui assenza viene subito segnalata al dispositivo di controllo:
“In Sdmi siamo partiti circa un anno fa da dodici proposte che sono
presto andate riducendosi a cinque. Alla riunione di Bruxelles all’inizio
di settembre abbiamo chiesto agli hacker di tutto il mondo di provare a
togliere la nostra tecnologia dai cinque progetti”.
E gli hacker, come era prevedibile, si sono dati da fare: in poche
settimane sono state 447 le segnalazioni di alterazioni della tecnologia
provenienti da tutto il mondo per i cinque progetti Sdmi; dopo il
controllo d’obbligo si è scoperto che tre non sono stati attaccati
mentre nel quarto caso la tecnologia è stata rimossa anche se l’autore
non è riuscito a riprodurre sotto richiesta la rimozione.
Una sola è stata la tecnologia superata, in gergo hacker craccata, e la
musica è rimasta di qualità accettabile. Ora le ipotesi che rimangono
in gioco sono solo tre, un hacker americano e uno finlandese hanno
semplificato il lavoro di Sdmi ricevendo 5 mila dollari a testa, ed
entro la prossima primavera verrà ufficializzata la soluzione
definitiva.
Lo Cselt di Torino la via italiana alla ricerca tecnologica non è nuova
a risultati prestigiosi: il gruppo di Chiariglione per esempio lavora da
anni alla digitalizzazione di suoni e immagini. Risale infatti al 1989 l’Mpeg1,
il primo standard ancora oggi alla base delle immagini compresse nei Cd
rom, ed è di pochi anni successivo l’Mpeg2 utilizzato sia dalle
televisioni satellitari che dai canali via cavo di tutto il mondo.
Il successo di queste standardizzazioni si deve a un approccio molto
pratico: “Prima di portare la fibra ottica in tutte le case si fa una
cosa diversa: cerchiamo di tirare il collo al cavo di rame del telefono.
Attraverso i nuovi modem asimmetrici e con un’adeguata compressione si
ottengono filmati di qualità superba, superiore a quella Vhs delle
videocassette. Se costa troppo bucare la terra io provo a fare qualcosa
di significativo con i mezzi a disposizione portando del video di
qualità senza cambiare l’infrastruttura di trasmissione”.
Questa ad esempio la filosofia alla base di Mpeg4, un formato, operativo
dall’ottobre 1997, che consente di mescolare riprese cinematografiche
con oggetti virtuali, scegliendo cosa guardare e modificando all’occorrenza
il filmato. Proviamo ad immaginare: siamo di fronte allo schermo e
guardiamo una scena con un cane e un gatto. Se il filmato è in Mpeg4
potremo decidere di seguire solo quello che fa il cane cliccando sulla
sua immagine, oppure condurlo virtualmente in giro per il prato,
trasformarlo in un altro animale, aprire un documento di testo che ci
spieghi tutto sulla razza del cane, fare tutto questo anche per il
gatto, oppure semplicemente guardare la scena passivamente come facciamo
ora con la Tv tradizionale.
Ma le suggestioni di Chiariglione non sono ancora terminate perché
presto, sembra a partire dalla prossima estate, si potranno compiere
delle ricerche su Internet di file audio e video digitali grazie a
Mpeg7: ogni immagine potrà essere classificata con una sorta di codice
a barre di riconoscimento che le consentirà di venire “estratta”
dall’utente: “Sarà quindi più facile” -spiega Chiariglione - “cercare
nel mare d’informazioni uditive e visive che ci circonda grazie ad
agenti intelligenti incaricati proprio di sbrigare la ricerca che ci
interessa”.
Si tratta in pratica di un vero e proprio motore, come Altavista o
Virgilio, ma che opera su file in formato digitale, consentendo una
ricerca per autore, parola o soltanto canticchiando un ritornello se il
file è sonoro, descrivendo un’immagine se è visivo.
Di qui il salto verso l’apertura al commercio in Rete dei file Mp3 è
breve, ma a questo punto il discorso si sposterà su Mpeg21, la
piattaforma Cselt progettata proprio a questo scopo e che unisce il
motore di ricerca digitale al sistema di pagamento sicuro che uscirà
dai lavori Sdmi.
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