Il cimitero delle dot.com.
Valentina Furlanetto
Macabro forse, ma realistico. E probabilmente anche utile. Come accade
alle persone, anche le aziende muoiono. E visto che quest’anno di
aziende legate al mondo di Internet, le cosiddette dot.com, ne sono
morte molte, perché non commemorarle online? Qualcuno c’ha subito
pensato, vuoi per scherzo, vuoi per curiosità, vuoi per costruire un
affare su un affare andato male. Da qualche mese, dunque, sono spuntati
in Rete alcuni siti specifici per commemorare, elencare, commentare i
casi di fallimento online.
Che sono stati non pochi, in realtà. Le aziende del Web fallite nel
2000 sono state negli Stati Uniti più di 200, come ha rilevato il
gruppo di ricerca con sede a San Francisco Webmergers.com.
Per il 60 per cento di questi fallimenti c’è stato proprio negli
ultimi mesi dell’anno, quando molte dot.com hanno dovuto arrendersi
all’evidenza di conti in rosso e finanziatori non più disposti a
immettere nuovo denaro in attività che non presentano ancora degli
utili.

In questo periodo l’anno scorso l’entusiasmo per le dot.com era
palpabile. Bastava aggiungere un “punto-com” alla propria attività
per attirare finanziamenti e interesse. Quest’anno è tutto uno
sbatter di porte. Quelle virtuali delle aziende del Web che, una dopo l’altra,
stanno chiudendo. E quelle reali degli investitori, i famosi Capital
Venture, che, davanti ai conti in rosso dei siti di commercio
elettronico, sbattono loro le porte in faccia rifiutandosi di annaffiare
le attività con nuovo contante che chissà mai quando frutterà.
Secondo Webmergers.com si trattava, nella maggior parte dei casi, di
siti di e-commerce. Dei 210 siti falliti stimati da Webmergers, infatti,
bel 109 si occupavano di vendite online, 30 di contenuti editoriali e 70
di infrastrutture e altri servizi online. Nell’elenco di
Webmergers.com ci sono anche alcuni “fallimenti eccellenti”, come
quelli dei siti Pets.com, Bizbuyer.com e Desktop.com, dot.com coccolate
fino a pochi mesi fa e precocemente scomparse.

Ma da business nasce business, appunto. Almeno negli Usa. Così a
qualcuno è venuto in mente l’idea di creare degli spazi in Rete
dedicati alla “scomparsa” di queste attività fallimentari. Se ne
occupa espressamente, ad esempio, il sito Dot.comfailures
. Per ogni dot.com che scompare in questo sito si accende una candelina
nella “dead list”, un elenco aggiornato costantemente che contiene l’elenco
delle aziende scomparse. Ma il servizio vuole anche essere d’aiuto per
chi ha un sito che si trova in difficoltà: infatti offre indicazioni su
come fare a vendere il dominio del sito, dove trovare nuovi
finanziamenti per rilanciare l’attività, e offre anche l’opportunità
a chi è stato licenziato di pubblicare il proprio curriculum per
cercare un'altra occupazione.
Più macabra l’iniziativa di UpsideToday
. All’interno del sito, infatti si trova una sezione dedicata alla
morte delle aziende online che si chiama Graveyard,
letteralmente “cimitero” . Per ogni dot.com fallita c’è una
lapide, con la data della “nascita e della morte” del sito in
questione, oltre a una frase commemorativa o celebre per quel sito.
Anche il giornale online Industrial Standard ha una sezione
dedicata ai fallimenti online. La lista nera delle dot.com fallite
-anche in questo caso con tanto di date anagrafiche dell’esercizio- si
allunga di giorno in giorno. Il giornale si preoccupa di aggiornarla
costantemente indicando chi è ancora in piedi e chi no.

Ci sono poi anche i siti che si occupano di “sostenere” chi ha
subìto di recente il fallimento della sua startup ed è il caso di Startupfailures.
Com . Ma c’è anche chi la prende a ridere. E’ il caso di Satire
Wire , che dedica un’intera sezione del sito alle barzellette
sulla fine delle dot.com. Stesso tenore, e forse in termini più
pesanti, per Fuckedcompany.com
, che si occupa delle imprese “silurate”.
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