Il cinema come critica letteraria
Paola Casella
I giovani di oggi non leggono più: preferiscono guardare la televisione
o al massimo trascinarsi fino al multisala più vicino per assistere
al film d'azione appena uscito sul grande schermo. E' un assunto un
po' generico, e forse senescente: ma se fosse anche solo parzialmente
vero, possiamo consolarci con la scoperta che molto cinema e molta
televisione riconducono i non-lettori alla letteratura, soprattutto
quella classica, anche se in modi non propriamente ortodossi.
Questo almeno suggerisce Alessandro Zaccuri nel suo bel saggio
Citazioni pericolose - Il
cinema come critica letteraria, appena uscito per Fazi Editore
(www.fazi.it ).
Attraverso quasi trecento pagine (che però si leggono in un lampo)
Zaccuri ci mostra decine di esempi di come le citazioni letterarie più
disparate si siano infiltrate nei film più insospettabili: thriller,
commedie, action movie. Zaccari concentra la sua attenzione sul cinema
dell'ultimo ventennio, ed evita di proposito gli adattamenti letterari
veri e propri, con l'unica vistosa eccezione di La
lettera scarlatta che, più che un adattamento, è una specie di
parodia del testo di Nathaniel Hawthorne. L'autore evita anche i film
ambientati nel mondo dei bibliofili e quelli nei quali il libro assume
"un ruolo salvifico" (vedi Le ali della libertà) assumendosi interamente la responsabilità
delle proprie scelte e
giustificando quelle che ai cinefili fra noi potrebbero sembrare
clamorose dimenticanze nella postafazione (che forse sarebbe stato
meglio trasformare in prefazione).
Citazioni pericolose viviseziona
una serie di film celebri e meno celebri e una manciata di serial
televisivi che contengono più riferimenti letterari di una di quelle
collezioni di frasi celebri che fanno fare bella figura nelle
occasioni mondane. Da Pulp Fiction a L'attimo
fuggente, da Seven a Titanic,
da X-Files e Twin Peaks,
Zaccari scandaglia la filmografia e buona parte della fiction
televisiva recenti per scoprire quale ruolo venga assegnato alla
letteratura dal piccolo e grande schermo. Le sue conclusioni sono
interessanti e provocatorie, e generalmente concordano che
l'introduzione della citazione letteraria nel contesto di un film o di
una serie televisiva non sia affatto un indice di familiarità degli
spettatori con la parola scritta, ma al contrario un'ammissione che la
grande letteratura è uscita dalle nostre vite quotidiane.

Cinema e televisione fanno leva proprio su questo senso di distanza
per creare intorno alla parola scritta un'aura di mistero e di magia.
"L'idea di letteratura", scrive Zaccari a proposito di Millennium (ma potrebbe riferirsi a cinema e televisione in
generale), "corrisponde, nel migliore dei casi, a un sapere
colllocato in una sfera lontana dalla normalità
dell'esistenza (...) la stessa poesia - intesa come espressione più
alta dell'intera tradizione letteraria - assume i connotati di un
sapere perduto e minaccioso, attraversato da misteri che possono
essere percepiti e decifrati soltanto dagli iniziati". La
conoscena letteraria, dunque, diventa una prerogativa da "società
segreta, nella quale si viene ammessi soltanto per cooptazione".
E' per questo che sempre più spesso le citazioni letterarie vengono
utilizzate nel contesto del thriller, con particolare predilizione per
il tipo che vede protagonista un serial killer.
Così l'Hannibal Lecter del Silenzio
degli innocenti (il cui stesso cognome è una interpretazione
perversa di lector, cioè lettore) usa la propria enciclopedica cultura
letteraria come un segno distintivo rispetto al resto del mondo
contemporaneo, e come un veicolo per comunicare terrore nei non adepti
(o nei parzialmente adepti, come Clarice Sterling).
Così il detective William Somerset (letterario anche nel
cognome) protagonista di Seven,
interpretato da Morgan Freeman, usa le citazioni letterarie per
risalire all'identità del serial killer, a differenza del suo giovane
aiutante (Brad Pitt), cresciuto a MTV e del tutto ignorante di
letteratura classica.
L'equazione, spiega Zaccari, sembra essere che "chi pratica il
male conosce i libri", e la letteratura assume una valenza
minacciosa: "la parola come prerogativa dell'assassino, la
scrittura come esercizio letale, la poesia come sapere di morte".
Zaccari fa anche notare che, in Basic
Instinct come in Sliver
e in molti altri thriller cinematografici recenti, lo scrittore è il killer. "Se
nel giallo classico (il colpevole) era sempre il maggiordomo, nel
thriller da esportazione degli anni Novanta di solito è lo
scrittore".
Anche al di fuori del contesto del thriller la letteratura, sembra
dire il cinema degli ultimi anni, può costare la vita, come succede a
uno dei giovani allievi del professor Keating (Robin Williams). Come un'arma a doppio taglio, un buon libro può
rappresentare una via d'uscita rispetto alle proprie circostanze,
"risorsa esistenziale, luogo di esperienza e occasione di
consapevolezza" (vedi Pensieri pericolosi, il film che ha ispirato il titolo di questo
saggio), ma anche uno strumento di perdizione, se non si riesce a
porre la necessaria distanza fra se stessi e la creazione letteraria.
In genere l'eroe cinematografico contemporaneo, soprattutto americano,
possiede una cultura autodidatta (per non dire raccogliticcia) che lo
porta a mettere sullo stesso piano Ezechiele e Peter O'Donnel, come fa
il Vincent Vega (John Travolta) di Pulp
Fiction, per cui tutto è, appunto, "pulp fiction", e
tutto diventa "pop culture". Ma un libro in mano al
protagonista di un film può identificarlo immediatamente: Zaccari ci
ricorda che Maryln Monroe ne leggeva uno per darsi un'aria da
intellettuale in Come
sposare un milionario (peccato che lo leggesse alla
rovescia) e che, dall'altro lato dello spettro, il colonnello Kurtz di
Apocalypse Now teneva sul
comodino non già T. S. Eliot, ma i testi che Eliot leggeva in
preparazione alla stesura del suo capolavoro, La
terra desolata: come dire che il viaggio a ritroso di Kurtz, così
ben descritto da Joseph Conrad in Cuore
di tenebra, si compie perfino a livello letterario. Un libro in
tasca rischia persino di schedare un individuo: come succede al serial
killer di Seven, cui il detective Somerset risale grazie alla traccia
lasciata dai libri presi in prestito in biblioteca.
Se si può fare un appunto a Zaccari, è quello di non essersi
programmaticamente limitato al cinema americano, non solo perché gli
esempi tratti dal cinema europeo (non mondiale) come Il
postino e La lettrice
sono troppo pochi per rappresentarlo, ma anche perché è proprio nel
cinema americano che la letteratura compare sempre più spesso e
sempre più a sproposito, come citazione invece che come sottotesto, o
come patrimonio culturale ben assorbito (prerogativa del Vecchio
Mondo, almeno finora). Si sarebbe potuto dunque ampliare il saggio
fino a renderlo una critica socio-culturale del Paese che domina il
mondo ma che impiega sempre meno energie nella formazione delle sue
generazioni giovani, di fatto delegando alla televisione il compito di
colmare lacune accademiche e carenze familiari.
Se nel cinema americano recente il testo più spesso citato rimane la
Bibbia, un ruolo di rilievo viene ricoperto anche da autori classici
della letteratura anglosassone come Yeats, Chaucer, Mills, Milton,
Blake, Eliot, Whitman, Thoreau e soprattutto William Shakespeare, cui
non a caso è stato recentemente dedicato un intero film, quel Shakeaspeare
in Love che più che un omaggio al grande bardo era un peana alla
scrittura in generale. Ma c'è spazio anche per Dovstojevski, Tommaso
D'Aquino e soprattutto Dante, la cui recente riscoperta negli Stati
Uniti è dovuta anche al gusto apocalittico delle sue visioni
letterarie.
Non si tratta di lezioni di letteratura, solo di citazioni fuori
contesto, che come scheggie impazzite rischiano anche di fare danno.
"E' come se la letteratura fosse ormai dimenticata e dispersa e
l'unico modo possibile contatto con quel che resta della civiltà
della parola fosse costituito dai frammenti nei quali - più o meno
casualmente - capita di imbattersi", scrive Zaccuri. Sta alla
buona fede e alla buona volontà degli spettatori prendere spunto da
quelle frasi per andare a ricercarne la fonte, invece che usarle
semplicemente come battute buone per apparire sofisticati a un
cocktail party, se non addirittura come slogan negativi.
Tuttavia Zaccari è ottimista. "Il cinema", conclude
infatti, "può rappresentare una prosecuzione della critica
letteraria con altri mezzi, meno ortodossi ma non per questo meno
efficaci rispetto a quelli che siamo abituati a considerare.
Di fatto, ogni volta che manipola una trama o riutilizza una
citazione, il cinema cambia la nostra percezione della letteratura.
Anche e specialmente quando si tratta di pellicole che con la
letteratura sembrano avere poco o nulla a che fare".
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