L’infinita
purezza del peccato
Tina Cosmai
“L’amore guasta il mondo”, il secondo romanzo dello scrittore
Furio Monicelli,
uscito nel 1961 dopo il successo de “Il gesuita perfetto”,
è tornato in libreria, edito da Mondadori. Un’opera complessa nella
sua purezza di stile e di contenuto; drammatica nei suoi aspetti più
significativi; vera nel suo desiderio di trasgressione mescolato a una
volontà di giustizia profonda.
Il romanzo narra la storia di tre amori che traggono forza e
ribellione dalla figura di Sergio, omosessuale votato al suicidio, che
difende in maniera carismatica la propria identità sessuale.
La prima storia d'amore vede protagonista un prete, Don Antonio,
confessore di Sergio e sua guida spirituale; un uomo semplice nella
sua religiosità fatta di dogmi non sterili, ma emozionalmente
acquisiti, che percorre attraverso il dramma del giovane la sua crisi
personale, impregnata dal dubbio della penitenza. Il vigore di Sergio
sta infatti nel suo non pentirsi dei propri desideri peccaminosi, che
egli espone con convinzione e con ribellione. Il suo amore
“diverso” è assoluto, totalizzante e per questo puro, scevro da
ogni mistificazione, da ogni forma di dissimulazione che lo renderebbe
mendace fin nei suoi strati più inconsci.

Don Antonio è consapevole della verità di Sergio, una verità fatta
di odio, di dolore, di apatia, di desiderio della morte.
L’affermazione drammatica, da parte di Sergio, dell'omosessualità,
del suo amore per un uomo, Franco, che non lo accetta per la sua
emozionalità diafana e ribelle, induce il prete a lottare in favore
di questo amore che la chiesa condanna, per questa purezza al di là
dell’ordinario. Don Antonio non tenta di ammaestrare Sergio, non
desidera che egli si penta del suo peccato. Sergio diviene il suo
alter ego e il giorno in cui il giovane si suiciderà, il prete
rinnegherà il sentimento della penitenza, proprio perché Sergio non
si è mai pentito, di nulla. Quello di Don Antonio è un desiderio di
onnipotenza celato dalla ribellione, giustificato dalla ammissione dei
delitti, delle mancanze, giustificato dalla verità.
Il secondo amore è quello di Anna, che incontrando Sergio, viene in
contatto con il suo profondo desiderio di libertà. Anna si innamora
di Sergio perché il giovane incarna il suo stesso istinto di fuga da
un mondo falso e recriminatorio, che nel caso di lei è quello del
convento in cui vive. La consapevolezza dell’impossibilità di
questo amore la rende forte nel suo cammino di indipendenza personale,
cammino che si protrae fino all’assoluta decisione di scegliere per
sé, senza alcun limite: il peccato puro e infinito di non riconoscere
i propri confini umani, neppure di fronte a Dio. L’identità, quella
di Sergio, quella di Anna, diviene talmente illimitata nella sua
autoaffermazione da risultare drammatica, tanto che Sergio si suiciderà
e Anna fuggirà verso spazi ignoti.
Il terzo amore, quello di Elvira Clerici, madre di Sergio, che la
morte del figlio ha gettato in una profonda disperazione, è un amore
intessuto di desideri incestuosi, di vera e propria adorazione. Elvira
accetta con sollievo l’amore omosessuale del figlio, così che
Sergio non appartenga a nessuna donna che avrebbe potuto dargli più
di quanto lei gli abbia dato: “Oggi una madre poteva innamorarsi del
proprio figlio e goderselo con gli occhi, con l’anima e i sensi,
come un marito tornato giovane e diverso”.
Sergio rappresenta per Elvira la liberazione da una realtà familiare
ordinaria, a tratti ostile nella sua consuetudine. Di qui il suo non
amore per la figlia, per il marito,
l’ostentazione di una moralità peccaminosa che reclama il suo
diritto d’essere, senza porre limiti a quell'amore che “guasta il
mondo” perché non dà spazio alla dialettica polare
dell’esistenza, quella della libertà e del legame, e riesce a
evitare il
conflitto soltanto nell’esaltazione dolorosa e drammatica del
peccato d’amare senza confini. Condizione in cui le emozioni
straripano, senza argine alcuno che possa contenerle.
Elvira morirà nel dramma della non sopportazione del dolore,
nell’incapacità di elaborare un lutto perverso, basato su un
desiderio carnale. Il corpo e l’anima dei quattro personaggi del
romanzo non reggono l’oltre del loro amore, intriso di passioni
deliranti e distruttive, di invidia, di insofferenza, di ribellione a
oltranza. Un amore che non sa addomesticare, che non sa proteggere, ma
che rinvia a una emozionalità estrema che inevitabilmente andrà
incontro alla morte.
Nessuno dei personaggi di questo romanzo accetta il sentimento
dell'umiltà, del proprio limite umano, in una sfida continua che non
può reggere, perché ciò che costituisce la vera realtà umana, è
la coscienza del limite, l'accettazione di essere contenuti. E il
desiderio di onnipotenza che pervade i personaggi del romanzo finisce
col distruggere la loro vita in profondità.
Ma è quella stessa passionalità incontenibile ad elevare
"L'amore guasta il mondo" e a rendere umanamente
comprensibili anche le più complesse dinamiche fra i personaggi.
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