La principessa incompleta
Gustavo Martín Garzo con Chiara Lico
No, non sa dire di preciso quando ha conosciuto la letteratura. Se dovesse rispondere di
getto, direbbe "da adolescente", grazie a Capitan Tormenta. Salgari è stato il
primo ed è stato importante: gli ha insegnato che mai la verità è quella che una storia
racconta. Che piuttosto è nascosta sotto, tra le righe, nelle fessure lasciate aperte tra
le parole. Di una cosa è certo, però: dopo aver imparato, non ha più smesso di leggere.
Anche se la letteratura ha significato sofferenza, per lui, e forse per questo ha sempre
preferito tenerla distante dal suo lavoro vero, "perché era lunico modo di
trovare un rifugio, lunica alternativa alla pazzia".
A pochi giorni dallesordio di "La principessa incompleta", il suo ultimo
romanzo in uscita per Frassinelli, Gustavo Martín Garzo, nato a Valladolid 52 anni fa,
racconta la scrittura come "una necessità, sì, ma anche come una via di fuga per
ricercare e trovare altrove una verità che la realtà da sola non ce la fa a
restituire".. Anche se il più delle volte significa sofferenza "come quella che
ho provato di fronte ai troppi rifiuti iniziali da parte delle case editrici che hanno
letteralmente gettato alle ortiche i miei lavori", racconta lo scrittore, che
aggiunge di non essersi mai arreso: "a un certo punto ero rimasto il solo a
crederci". Fino a quando, finalmente, il suo romanzo non ha visto la luce
"grazie a una casa editrice piccolissima che ha avuto il coraggio di rischiare".
E ironia della sorte, le pagine troppo a lungo rifiutate de "La voce delle
sorgenti" hanno vinto, nel 94, il Premio Nacional de Literatura per la
narrativa.

Giornalista e condirettore delle riviste Un ángel más e El signo del gorrión, Martín
è prima di tutto psichiatra infantile e studioso dellinconscio junghiano. Passato,
il suo, che trapela anche da questultimo lavoro, dove latmosfera fatata di una
storia allegorica e trattata con semplicità tradisce verità più profonde, lasciate
intuire da un intreccio tessuto a incastri progressivi e ricco di suggestioni
psicanalitiche. Una favola, apparentemente. Che è poi il genere narrativo che
lautore riconosce come prioritario tra tutti, perché raccontare storie significa
"voler mettere a tacere la realtà, almeno per un po".
Parte da qui, dallaffermazione della letteratura come alternativa al mondo, la
considerazione della fiaba come racconto per eccellenza, come essenza stessa dello
scrivere" spiega Martín, che prosegue: "la favola è levasione dal
quotidiano e ne hanno bisogno sia i bambini che gli adulti". Non solo. Per lo
scrittore spagnolo è anche "un alimento" e "lunico modo per centrare
in pieno il senso della vita", perché è vero che si tratta di una storia
fantastica, che niente ha a che fare col reale, ma ciò "non comporta che quel che
viene raccontato non possa accadere"..
Particolarmente critico nei confronti degli scrittori spagnoli contemporanei, "ad
eccezione di Juan Marsé", per il loro essere eccessivamente indulgenti verso una
visione realistica ("quasi naturalistica") del narrare, Martín sente invece
profondamente importante linsegnamento dei sudamericani, ai quali riconosce il
grande dono dellaffabulazione. "Il Sud America ha saputo mantenere saldo il
senso del magico, ben sapendo che dal suo smarrimento nasce la maturità. La quale non va
mai celebrata, perché equivale alla perdita dei capelli o dei denti: alla vecchiaia,
insomma. Semmai, va sofferta". Ecco perché "diventare grande è uno dei dolori
più forti del bambino: perché significa scoprire di non possedere più la magia",
afferma Martin facendo sua unaffermazione di Benjamin.
Ma se scrivere significa evadere, è altrettanto vero che rappresenta il compimento di
unesperienza che il più delle volte coincide con "il desiderio di
esplorare". E regala lesempio della favola di Barbablù e della sua sposa
("personaggio fondante della letteratura"): "se non ci fosse stata la
proibizione di aprire la porta, non ci sarebbe stato il racconto". Sorride, perché
quella favola gliene ha fatta venire in mente unaltra e poi unaltra ancora.
Rimarrebbe tutto il tempo a parlare, ad esempio, di Psiche "che non si accontenta
più degli incontri segreti con Eros: lo vuole al suo fianco nella vita pratica, vuol fare
colazione con lui la mattina". E alla fine sono personaggi come loro che danno le
lezioni più alte. Perché? Perché "importante è il loro atteggiamento, non il
finale della favola: ancora oggi ci dicono che non si può smettere di sapere, di chiedere
il meglio. A noi stessi e agli altri". Ed ecco, allora, che la scrittura - così come
la letteratura - diviene allontanamento da una condizione prestabilita, anche se questo
può significare dolore "perché si è obbligati a tornare. E a riflettere",
spiega Martín che non può fare a meno di rivolgere il pensiero alla Sirenetta di
Andersen per dire che "decidere di andare avanti significa rischiare di perdere,
significa dover sapere il peso della verità".
E conclude, dicendo che non potrebbe essere altrimenti: la letteratura è "uno sforzo
estremo" per guardare fuori e dentro di noi. E' un viaggio, insomma ma è un viaggio
"al mondo del vero" perché voler conoscere lignoto significa dover
riportare al mondo attuale, quindi pratico e quotidiano, tutte le esperienze
caratterizzanti raccolte per via.
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