| Le avventure di Robinson    
         
        Francesco Roat  
         
         
        Come molti ricorderanno, il polacco Kazimierz Brandys - uno dei più insigni romanzieri
        contemporanei dellEst europeo, padre di capolavori come "Rondò" e
        "Variazioni postali" - è morto qualche mese fa, e la recente traduzione in
        italiano di Przygody Robinsona ("Le avventure di Robinson" - Edizioni e/o),
        testo autobiografico intorno allultima parte della sua vita, acquista un particolare
        valore aggiunto per gli amanti di una scrittura in grado di creare originali universi
        fabulistici a partire dai banali intrecci della vita ordinaria; di trasfigurare il
        quotidiano in romanzo, di testimoniare il passato e lattualità con una maestria
        evocativa davvero coinvolgente.  
         
        Non a caso le avventure di questo insolito Robinson postmoderno sono assai poco
        movimentate pur riuscendo ad avvincere il lettore. E il novello naufrago nel mare
        burrascoso dellesistenza è costretto allinterno di unisola alquanto
        metaforica: la malattia, appunto, che Brandys tuttavia riesce a gestire fino
        allultimo (fino allultima pagina del libro, quantomeno) in modo impeccabile,
        con una dignità e una consapevolezza esemplari. Fedele ancora una volta alla propria
        vocazione stilistico-esistenziale di saper cogliere tra le pieghe (o forse meglio: tra le
        righe) della dimensione un po scontata dun ricovero presso una casa di cura la
        presenza di eventi altri: luminosamente allusivi, sia pure nella loro ordinarietà.  
          
         
         
        Lospedale è unistituzione particolare, osserva Brandys, sottolineando come il
        soggiorno al suo interno venga vissuto dal malato come un peso ma al contempo come un
        sollievo, costituendo insieme un "luogo di umiliazioni e di liberazione dagli
        obblighi". Ambito liminare e limbico, soglia fra patologia e salute, morte e vita,
        pubblico e privato lospedale, infatti, favorisce la disamina interiore da parte
        dellio narrante, la riflessione intorno al senso o al non senso della propria e
        altrui esistenza e, in primis, induce alla elaborazione fantastica, alla fabula e al sogno
        ("per parecchio tempo non sono stato in grado di distinguere le mie fantasie notturne
        dalla veglia").  
         
        Così la degenza, il percorrere col ricordo - intervallando a più riprese, segnate dagli
        spazi bianchi di fine paragrafo - i giorni sofferti di ricoveri e operazioni è
        loccasione per ripensare in parallelo al passato e alle scelte fatte; come quella
        daver lasciato nel 1981 la Polonia per la Francia, non certo "unicamente sulla
        base di considerazioni politiche" ma in quanto - confessa Brandys - "non godevo
        della simpatia collettiva" e "mi sentivo solo come su unisola
        deserta". Torna dunque limmagine dellisola e della solitudine come cifra
        emblematica della condizione esistenziale dello scrittore e delluomo in generale.  
         
        Ma qui va subito precisata una cosa. Non si pensi alle "Avventure di Robinson"
        come a un racconto di compiacimento autocommiseratorio. Tuttaltro, il testo - come
        sempre in Brandys - narra ben oltre le sue dis-avventure personali tante altre vicende;
        anzi innumerevoli trame: alcune accennate, alcune esplorate con pazienza, rintracciandole
        nei meandri della memoria, da dove escono scampoli di Varsavia, di Parigi e mille volti,
        profili o accadimenti storici grandi e piccoli; come la storia dellebreo Witold
        Klecki, che nella Polonia occupata dai nazisti "non portava la fascia con la
        stella" e finì "assassinato dai tedeschi".  
         
        Ancora, belle sono le pagine in cui lautore ci narra del suo calvario di malato, mai
        enfatizzandolo però ma consegnandoci attraverso il testimone della parola la propria
        sofferenza, resa con un realismo disarmante nella sua essenzialità e direi quasi
        pudicizia. Sì, è unumiltà pacata ma eloquente quella che ha raggiunto la
        scrittura di Kazimierz Brandys, capace di tener desta lattenzione dei lettori
        intorno alla descrizione di un quotidiano fatto di bisogni essenziali da soddisfare (come
        radersi, nutrirsi) e di tutti i problemi legati alla non autosufficienza nel microcosmo
        alieno duna clinica.  
         
        "Mi premeva uscire dalla finzione letteraria" osserva in chiusa di volume
        lautore, quasi chiedendo scusa della propria straordinaria inventiva.
        Paradossalmente, egli è riuscito nellintento dilatando la sua autobiografia a
        commedia umana dove è assai arduo distinguere tra immaginario e realtà. Ma non è questo
        il traguardo più ambizioso di un fabulatore? 
         
         
         
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