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Solo una dea


Francesco Roat

 

Mitologie del femminile nel Novecento. Così recita il sottotitolo del saggio di Fulvio Salza "Solo una dea" (Bollati Boringhieri), volto non tanto a tracciare una storia delle donne rispetto a utopie e mutamenti socioculturali che - soprattutto in Occidente - hanno interessato l’altra metà del cielo durante il XX secolo, quanto piuttosto a svolgere un’indagine sull’"elaborazione fantastica" da parte degli uomini intorno al processo storico-evolutivo che ha investito il mondo femminile dalla fine dell'Ottocento ai giorni nostri. Detto in parole povere, Salza ha cercato di evidenziare i più eclatanti miti (e/o stereotipi) che l’immaginario maschile ha creato rispetto al genere femminile.

La riflessione parte da lontano. E’ infatti datata 1861 la pubblicazione de "Il matriarcato" di Bachofen, il primo studioso che, rivolgendosi al mondo arcaico, cerca di esplorare la Mutterland, la terra materna teatro della supposta primitiva "forma di diritto presso i popoli antichi", basata sul matriarcato, appunto, di cui Salza mette in risalto la radice mitologica insita nella credenza in un’epoca aurorale beata, propria di quegli stati ginecocratici che sarebbero stati famosi - sostiene Bachofen - "per essere stati immuni da lotte intestine e per la loro avversione contro ogni perturbazione della pace". Quantunque, secondo lo storico svizzero, il successivo ordine patriarcale rappresenterebbe un più sviluppato stadio evolutivo: un progresso, quindi.

Resta, rimarca Salza, come uno dei motivi salienti e ossessivi della mitologia del femminile lungo tutto il Novecento sia caratterizzato dall’apprensione o dalla speranza in un ritorno del matriarcato. Valga a mo’ d’esempio l’atteggiamento alla fin fine specularmene banale da parte di certa popolazione maschile incline a un rifiuto aprioristico o a un’esaltazione acritica del femminismo.

Non a caso il secondo autore preso in esame nel saggio è Caraco, strenuo sostenitore del fallimento storico da parte dell’uomo moderno e dell’ineluttabilità di un ritorno al predominio femminile: "non senza che prima un crollo catastrofico della nostra civiltà apra a ciò la strada". In antitesi a Caraco è sin troppo facile, a distanza di vari decenni, scorgere nella sbrigativa misoginia di Weininger una sorta di timor panico nei confronti dell’altro da sé ("L’uomo vive cosciente, la donna no" - "la donna non può essere geniale" - "la donna non è che sessualità"); d’una lei inquietante, costretta riduttivisticamente al ruolo di madre o di prostituta da una visuale maschilistica che più becera non si può ma che, purtroppo, dobbiamo ammettere perdura sia pure marginalmente in ambiti di marcata deprivazione culturale.

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Ma è forse in Groddeck - emblematica figura di apocalittico antimoderno, sorta di femminista nietzschiano ma al contempo segnato da una non del tutto consapevole misoginia - che il mito femminile creato dalle proiezioni maschili presenta tutta la sua ambivalente carica attrattivo-repulsiva, tutto il non risolto nodo di amore-odio nei confronti di una donna destinata fatalmente ad emanciparsi da padri e mariti: dagli uomini, insomma. Il futuro è della donna, che "non conosce limiti al pensiero, non si adatta a nessun sistema" proclama Groddeck senza mezzi termini, finendo tuttavia per suggerire quale futuribile realizzazione al femminile il ruolo tradizionale della maternità.

E i nodi si ingarbugliano anche nella teorizzazione psicoanalitica. Ci pensa Freud ad inventare quell’assurdo costituito dall’invidia del pene che a suo dire proverebbero tutte le bambine e su cui non val la pena spendere altre parole. Né va meglio con Jung e col suo misticheggiante archetipo del femminile, ossia l’Anima: "nonsenso pieno di significato"; nonostante si possa concordare con Salza sul fatto che Jung abbia contribuito non poco a fare riconoscere all’uomo sia il carattere proiettivo sia quello mitologico di tutto quanto è stato proclamato da parte sua sulla donna. Detto questo - sottolineando infine con rammarico come l’analisi di Salza non prenda in esame autori o studi degli ultimi anni -, a quando da parte maschile l’ammissione che ciò che donne o uomini sono è il prodotto di condizionamenti storico/culturali e che le differenze di genere non sono innate o a priori?

 

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