L'Africa di Ryszard Kapuscinski
Ingrid Fuchs
L'incontro che il reporter e scrittore polacco Ryszard Kapuscinski ha tenuto a Roma nei
giorni passati per la presentazione del suo ultimo libro Ebano (Feltrinelli) - una
raccolta di articoli e reportage, nella quale racconta i suoi quarant'anni di
esperienza come inviato nei paesi africani - ha offerto l'occasione per riconsiderare la
professione del giornalista oggi, nel momento in cui le nuove tecnologie ne ristabiliscono
la fisionomia e le funzioni.
"Servendosi dei rudimenti del giornalismo, usando gli strumenti artigianali del
mestiere - sottolinea Ezio Mauro, direttore de la Repubblica, che ha introdotto il
dibattito - Kapuscinski offre ai lettori un'immagine diversa dell'Africa, più attenta a
quei particolari che solo l'occhio esperto, di chi ha vissuto quelle stesse esperienze,
può cogliere. Partecipando alla vita dei popoli più poveri del mondo, condividendone la
mancanza oggettiva di tutto, il giornalista restituisce attraverso i suoi pezzi il senso
reale delle cose, come né Internet, né la televisione possono fare".
La condivisione, la partecipazione umana, rappresentano l'aspetto centrale del modo di
Kapuscinski di essere cronista della storia: "Non c'è comprensione senza
condivisione", continua Mauro, riassumendo alcuni brani del testo:"Ed ecco
dunque che Ryszard si ritrova a viaggiare su una corriera affollatissima, che non parte
'finché non sono arrivati tutti'. Si accorge così che c'è un modo diverso di
considerare il tempo: per gli africani non è un'entità astratta, che scorre per conto
suo e con la quale l'uomo si deve misurare, bensì è scandito dalle azioni di ogni uomo,
è qualcosa di cui l'uomo stesso è misura".

Vivendo gomito a gomito con la gente del posto, e rischiando spesso la propria vita,
Kapuscinski scopre ciò che dell'Africa quasi nessuno conosce, che nessuna cronaca
riporta. Si accorge che il "Continente Nero" è una creazione dei paesi
avanzati, e ne percepisce la provvisorietà: gli africani sono un popolo nomade costretto
ad un eterno viaggio alla ricerca di qualcosa (l'acqua, l'ombra, il proprio clan, il cibo)
e in fuga da qualcosa (le guerre, le carestie, la siccità).
"Gli africani - spiega l'autore - sono come l'ebano, albero forte e maestoso, da cui
si ricava legno resistente, ma anche estremamente malleabile, facile da scolpire e da
lavorare. L'ebano è il simbolo che racchiude la forza di questa gente, la quale sa
adeguarsi alle situazioni più diverse, pur rimanendo profondamente radicata alle proprie
tradizioni, alla propria storia millenaria". Attraverso l'esperienza personale
Kapuscinski riesce a cogliere l'essenza della vita degli africani, e la offre al lettore,
senza voler scimmiottare la letteratura: "L'informazione - sostiene - è come il
cielo sereno o come l'atmosfera in un mercato: deve trasmettere sensazioni".
Ma la cronaca degli eventi non dovrebbe distaccarsi completamente dalla partecipazione
personale, dai sentimenti di chi scrive? Ebbene no: secondo Kapuscinski la condivisione è
l'unico modo per capire veramente realtà sconosciute, solo "condividendo le stesse
esperienze degli altri diviene possibile capirli". Durante le sue lunghe permanenze
come reporter in Africa egli ha perciò preferito uscire dal territorio protetto delle
agenzie di stampa e di vivere in mezzo alla gente del posto. Ha potuto così afferrare
veramente le diversità tra europei e africani, le diseguaglianze tra chi appartiene ad
una società avanzata e ha tutto, e chi, invece, vive in una società in via di sviluppo e
perciò non possiede nulla.
"Solo la conoscenza - afferma - può aiutare a superare le diversità. Gli uomini
sono uguali in ogni parte del mondo vivano. Ciò che li fa apparire differenti è
l'ignoranza, la paura dell'ignoto, che crea barriere e divide". "I potenti del
Mondo - continua - possono decidere del destino di milioni di persone, ma non sanno
assolutamente come vivano i poveri. Non esiste più il senso del sociale, il mondo è
governato secondo le ferree leggi dell'economia, tutto è dominato dalla logica del
profitto".
"All'epoca della Guerra Fredda - sostiene l'autore - il mondo era diviso in due
blocchi: l'Est e l'Ovest, la dittatura e la democrazia; la spaccatura corrispondeva
a due diverse ideologie. Oggi quella spaccatura non esiste più, ma il mondo è ancora
scisso in due parti: Nord e Sud, paesi ricchi e paesi poveri. La differenza tra queste due
parti non è dunque ideologica, ma economica". La maggioranza della gente che abita
questo pianeta vive ai limiti della sopravvivenza, deve lottare giorno dopo giorno per
vivere. Esiste poi una minoranza, una moderna aristocrazia, che si arricchisce
sempre più e vive nell'opulenza e nel superfluo. "I ricchi - fa notare
Kapuscinski - rappresentano un'eccezione, non certo la regola": questi, afferma, sono
i paradossi dello sviluppo. "Eppure - continua lo scrittore - è possibile un
incontro tra società con gradi di sviluppo diversi, e le tecnologie possono sicuramente
facilitare quest'impresa: la conoscenza, la condivisione, la partecipazione, sono le armi
per sconfiggere il divario crescente tra Nord e Sud".
Il ruolo del giornalista può dunque diventare una missione per superare le ingiustizie e
le iniquità della società moderna? Certo, se il giornalista stesso, con il suo lavoro,
diviene tramite, dimostrazione vivente, dei fatti di cui è spettatore; se gli strumenti
di cui dispone vengono usati per portare alla luce quella conoscenza che permette di
superare la diffidenza; se riesce a esprimere l'essenza delle cose, superando le semplici
apparenze.
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