Nel paragrafo dedicato ai ringraziamenti -
scarno come tutto il libro lo che segue - Francesco Roat accenna a una "terapeuta
dell'anima", riconoscendole il merito di averlo aiutato a raggiungere un traguardo
importante, e a portare a termine Tra guardo (Argo edizioni, www.argo.anet.it), che è
contemporaneamente racconto, monologo interiore e viaggio alla ricerca di sè. Ma anche
senza questo indizio ci saremmo accorti che Tra guardo è anche il risultato di un
percorso analitico, perché è ricco di archetipi che appartengono all'inconscio: il Mare
come "grande acqua che dà consolazione ma non risposte", la Maschera, il Padre
assente, il Vuoto dentro, un orrido del quale non vediamo il fondo, ma che attira
inesorabilmente il nostro sguardo.
I dilemmi con i quali il protagonista di Tra guardi si confronta sono ancestrali:
essere o non essere, amare o sottrarsi alla più grande delle sfide umane. Non sorprende
che il percorso di ricerca finisca (culmini?) in un convento-sanatorio, dove il confine
fra introspezione e follia è indistinto, e dove l'isolamento, condizione primaria del
protagonista (e forse dell'uomo in generale), diventa realtà oggettivizzata.

Quello di Tra guardo è il tentativo coraggioso e lucido di connettersi - per usare un
termine internettiano - con l'essenza della natura umana. Con sincerità quasi spietata
Roat, critico letterario di Caffè Europa fin dalla nascita del settimanale, (si) racconta
attraverso parole e frasi che sono "ossi di seppia" privati interamente del
superfluo, eppure dotati di un ritmo poetico che in certi momenti sembra musica, anzi,
cantilena: "Essendo venerdì, faranno pesce. Speriamo che sia al forno, non
bollito".
I brani "stream of consciousness" sono meno lavorati, e non a caso: se il
resto della narrazione non si concede sprechi, i monologhi diventano digressioni senza
freni, sbrodolamenti autocompiaciuti che funzionano proprio perchè contrapposti al rigore
espressivo del protagonista. Emblematica, a questo proposito, la volgarità di uno degli
altri personaggi, a ricordarci che non tutte le voci sono uguali, e non tutte le
disperazioni si trasformano in poesia.
Tra guardo invece è riuscito proprio in questa metamorfosi: dal dolore è nato un
canto, dalla confusione esistenziale una traccia, dalla "voglia di sapere cosa mi
manca ad essere me stesso" una lezione di vita condivisa, in tempo quasi reale, con
chi legge. Ecco il passo più commovente del racconto:
"Quando è secca, la terra sembra farina di mattoni. Ma con l'acqua ritorna
morbida e buona per le cipolle, i porri, le carote. Qui cresce bene la verdura che
germoglia sotto, al buio, dove c'è più pace. 'Vorrei andare anch'io là sotto' mi dice
sempre Roberto e non riesce più a innaffiare. Così lo aiuto io che ho ancor meno voglia
di lui, ma mi pare una cosa sacrosanta, ecco, una cosa morale. Mi sembra che la moralità
sia tutta qui: dare quando un altro non può".