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Tra guardo raggiunto


Paola Casella

 

Nel paragrafo dedicato ai ringraziamenti - scarno come tutto il libro lo che segue - Francesco Roat accenna a una "terapeuta dell'anima", riconoscendole il merito di averlo aiutato a raggiungere un traguardo importante, e a portare a termine Tra guardo (Argo edizioni, www.argo.anet.it), che è contemporaneamente racconto, monologo interiore e viaggio alla ricerca di sè. Ma anche senza questo indizio ci saremmo accorti che Tra guardo è anche il risultato di un percorso analitico, perché è ricco di archetipi che appartengono all'inconscio: il Mare come "grande acqua che dà consolazione ma non risposte", la Maschera, il Padre assente, il Vuoto dentro, un orrido del quale non vediamo il fondo, ma che attira inesorabilmente il nostro sguardo.

I dilemmi con i quali il protagonista di Tra guardi si confronta sono ancestrali: essere o non essere, amare o sottrarsi alla più grande delle sfide umane. Non sorprende che il percorso di ricerca finisca (culmini?) in un convento-sanatorio, dove il confine fra introspezione e follia è indistinto, e dove l'isolamento, condizione primaria del protagonista (e forse dell'uomo in generale), diventa realtà oggettivizzata.

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Quello di Tra guardo è il tentativo coraggioso e lucido di connettersi - per usare un termine internettiano - con l'essenza della natura umana. Con sincerità quasi spietata Roat, critico letterario di Caffè Europa fin dalla nascita del settimanale, (si) racconta attraverso parole e frasi che sono "ossi di seppia" privati interamente del superfluo, eppure dotati di un ritmo poetico che in certi momenti sembra musica, anzi, cantilena: "Essendo venerdì, faranno pesce. Speriamo che sia al forno, non bollito".

I brani "stream of consciousness" sono meno lavorati, e non a caso: se il resto della narrazione non si concede sprechi, i monologhi diventano digressioni senza freni, sbrodolamenti autocompiaciuti che funzionano proprio perchè contrapposti al rigore espressivo del protagonista. Emblematica, a questo proposito, la volgarità di uno degli altri personaggi, a ricordarci che non tutte le voci sono uguali, e non tutte le disperazioni si trasformano in poesia.

Tra guardo invece è riuscito proprio in questa metamorfosi: dal dolore è nato un canto, dalla confusione esistenziale una traccia, dalla "voglia di sapere cosa mi manca ad essere me stesso" una lezione di vita condivisa, in tempo quasi reale, con chi legge. Ecco il passo più commovente del racconto:

"Quando è secca, la terra sembra farina di mattoni. Ma con l'acqua ritorna morbida e buona per le cipolle, i porri, le carote. Qui cresce bene la verdura che germoglia sotto, al buio, dove c'è più pace. 'Vorrei andare anch'io là sotto' mi dice sempre Roberto e non riesce più a innaffiare. Così lo aiuto io che ho ancor meno voglia di lui, ma mi pare una cosa sacrosanta, ecco, una cosa morale. Mi sembra che la moralità sia tutta qui: dare quando un altro non può".

 

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