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Penso, dunque mangio


Alessandro Lanni

 

Di Platone si sa che amava olive e fichi secchi. Kant pare aggiungesse la senape ad ogni alimento e andasse matto per il baccalà. Ludwig Wittgenstein invece al cibo non s'interessava affatto, l'importante era che in tavola trovasse sempre lo stesso piatto. Questo è quanto sappiamo del menu dei filosofi. In effetti - e forse anche a ragione - non si conoscono le abitudini alimentari di molti dei protagonisti della storia del pensiero umano. E non sarà, diciamolo subito, l'ultimo saggio di Francesca Rigotti, "La filosofia in cucina. Piccola critica della ragion culinaria" (il Mulino), a levare, a chi le avesse, queste curiosità.

Si tratta di un libro singolare, però. Se ne legge il titolo, si da una scorsa all'indice, qualche pagina e si potrebbe concludere che si ha tra le mani un semplice divertissement, una breve indagine erudita destinata a far fare bella figura in qualche salotto buono. Non è così però. Con "La filosofia in cucina. Piccola critica della ragion culinaria", più che sedersi a tavola, l'autrice spizzica qua e là nella storia del pensiero, assaggiando un po' di tutto, dai protagonisti della Bibbia agli Stoici, da Locke a Sartre. Si tratta di breve itinerario, scritto con stile piano e accattivante, all'interno delle analogie esistenti tra le espressioni e l'universo concettuale dell'arte culinaria e del sapere filosofico. L'autrice mette a tema l'affinità, mai considerata fino in fondo, tra l'elaborazione del cibo e dei pensieri che , illuminando - con una passione esplicita per entrambe le arti in questione - le sotterranee, implicite relazioni che le collegano.

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Su quali basi la Rigotti dice che "la parola è cibo, la conoscenza è alimentazione, il sapere è sapore, la scrittura è cucina"? Ecco una risposta possibile: "nella bocca si confondono la parola e i baci, da un lato, e, dall'altro, il mangiare, il bere e lo sputare". Una frase di Hegel, lo stesso Hegel dell'Enciclopedia. L'arte della preparazione del cibo e l'arte del pensiero s'incontrano in punta di lingua, tra i denti. La bocca è il punto di contatto tra il dentro e il fuori, 'orifizio dal quale i concetti e i pensieri escono allo scoperto e incontrano il mondo facendosi voce. Al tempo stesso è il primo transito dei corpi, che ingurgitati e masticati si trasformano in spirito. La bocca, sembra dire la Rigotti, è il punto di passaggio tra io e mondo (altro che la ghiandola pineale di Cartesio!), tra alto e basso.

La bocca è per antica definizione veicolo del logos, è lo strumento con il quale l'uomo si affranca dalla bestialità. Tuttavia c'è sempre il pericolo che possa divenire anche il luogo nel quale si celebrano la vanità e il piacere: il piacere della parola o quello del mangiare. Allora la bocca diviene teatro di colpa e di peccato (di gola).

 

Affamati sì, ma di conoscenze, assetati certo, ma di sapere, ingordi ovviamente, ma di ragionamenti. Così debbono rimanere i filosofi. A dieta. Su questo c'è un accordo quasi unanime. E ai pochi che hanno provato a teorizzare i piaceri del corpo e della tavola, mal ne incolse. Si pensi al caso di Epicuro, per esempio - un "escluso" nella storia della filosofia - del quale ci è stata tramandata un'immagine che lo rappresenta come un ingordo, ai limiti della bulimia, eternamente votato a soddisfare gli istinti più bassi.

Alla dieta filosofica la Rigotti dedica il viaggio conclusivo, belle pagine nelle quali s'incontrano Kierkegaard e la Bibbia, la Nausea di Sartre e i precetti kantiani. Tutti, o quasi, impongono al filosofo a tavola misura, una misura specchio di una vita equilibrata e condizione di possibilità per il pensiero e la logica di realizzarsi (con lo stomaco ingolfato pare non si ragioni troppo bene). Bandire gli eccessi dalla propria esistenza per il filosofo non significa l'ascesi: non deve infatti digiunare, eccesso opposto e controproducente quanto l'ingordigia, ma osservare una certa temperanza alimentare, una "dieta etica" - così la definisce l'autrice - che lo mantenga in forma. E in linea. Per continuare la sua millenaria condotta morale irreprensibile.

 

 

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