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Solitudine, naufragio d’emozione


Paolo Crepet con Tina Cosmai


Tre storie, tre naufragi, tre personaggi che brancolano in situazioni estreme, indefinite, alla ricerca delle emozioni fondamentali per la propria esistenza. Nel suo ultimo libro "Naufragi" edito da Einaudi, Paolo Crepet traccia l’esistenza dolorosa di chi cerca l’affetto, la passione, la certezza delle proprie radici, come parte fondamentale dell’essere persona. Una ricerca che i personaggi dei suoi racconti non riescono a portare a termine e quindi finisco alla deriva, trasportati dalla loro incapacità di voler bene.

Una difesa intensa, attraverso la consapevolezza della morte, di ciò che stimola la vita: l’emozione, il terrore, la rabbia.

Per ogni racconto un simbolo della distanza, del naufragio dinanzi alle passioni: il vento, il muro e la nebbia, metafore dell’indifferenza, dell’imperturbabilità di un mondo che espone un distacco completo dalla vitalità emozionale del proprio io. La vita muore, appassionatamente, nella scoperta e nello sforzo patologico di ciò che profondamente la anima.

 

Lei ha sempre narrato storie di assenze: assenza di cibo, assenza di madre, assenza d’emozione. Perché?

Perché penso che ciò che manca, ciò che non c’è rispecchi in qualche modo le nostre aspettative. Ognuno di noi ha un’aspettativa per un amore nella vita. A volte questa aspettativa viene soddisfatta, spesso no.

 

L’assenza d’affetto, il naufragio delle emozioni è il tema del suo nuovo libro. Perché lo ha scelto e perché ha deciso di parlarne così liricamente?

L’ho deciso perché credo sia necessario combattere quest’assenza. Bisogna pure che qualcuno ne parli e si arrabbi, si indigni. Non si può rimanere passivi; non sono cresciuto per rimanere passivo. Mi dibatto tra i tanti infiniti tentativi di rimozione dell’indifferenza. Ma c’è un’indifferenza speciale, che è quella nei confronti di chi lotta contro l’indifferenza, che è tipica della quotidianità. Una veemente, sadica connotazione dell’indifferenza è quella di lasciare nell’indifferenza chi lotta contro di essa.

Quanto alla decisione di parlare dell'assenza di affetto in modo lirico, è stata per un’esigenza di crescita. Mi piacciono le sfide e credo che sia interessante provocare il mondo della critica letteraria. Per me è una sfida eccitante.

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Nei suoi racconti lei mette in relazione la solitudine interiore dei protagonisti con quella esteriore degli abitanti della città. Qual è il significato di questa similitudine?

E' una similitudine che ognuno di noi può riscontrare entrando in una vettura della metropolitana o andando a pranzo in un ristorante. C’è una sorta di enorme, infinita solitudine nella gente, prodotta dall’analfabetismo emozionale in cui siamo caduti.

 

Il suo libro è impregnato di quell’incapacità di abbandonarsi, come se l’abbandono contenesse un pericolo. Quale?

Il pericolo di perdere la propria identità. Io credo che le donne questa cosa la capiscano bene, perché si lamentano spesso degli uomini che non sanno amare. E’ anche in nome della loro giusta battaglia per avere almeno una volta nella vita un uomo vero che ho scritto questo libro.

 

Quindi le emozioni naufragano. Come potrebbero non naufragare?

Attraverso il coraggio, la stima di sé; attraverso la riscossa morale, etica di questo paese.

 

Il dolore di vivere la mancanza d’affetto è un dolore che si radica fino alla follia. Così è per Elda, uno dei personaggi del suo libro. Allora la follia è espressione estrema del dolore?

No, la follia è la sublime capacità di accorgersi del dolore. E’ una straordinaria sensibilità. Breton diceva che di questa geniale sensibilità sono piene le biblioteche e i manicomi. Credo che sia il destino dei grandi essere sensibili e quindi pagare per i tanti insensibili.

 

La follia è una difesa o è un decadimento rispetto alla sofferenza?

Non è né difesa né sconfitta. La follia è uno stato di straordinaria, enorme vicinanza con se stessi, che permette ad alcuni di esprimersi in un modo sconosciuto alla maggioranza di noi. La follia è anche grande capacità creativa e lo sappiamo dai tanti artisti che hanno pagato la loro straordinaria creatività con l’emarginazione, l’incomprensione, la discriminazione razziale.

 

Dunque lei crede che la letteratura sia espressione intensa della follia, in grado di rendere la follia facoltà creatrice…

Penso che esistano una letteratura mediocre e una letteratura esaltante e naturalmente quest’ultima è minore , come produzione, rispetto a quella mediocre. Esiste una letteratura d’intrattenimento, quella stupida, quella che si compra a Natale. Eppoi c’è la letteratura dell’inquietudine, che è quella che ci ha insegnato Calvino.

 

Esiste una particolare qualità che lei chiama "sentire". Cosa vuol dire esattamente "sentire"?

Vuol dire ricordarsi che abbiamo i sensi. Sentire è come guardare con le orecchie, ascoltare con gli occhi, scorgere con il tatto.

 

Crepet, cos’è veramente il dolore dell’anima?

La sua essenza, la sua tragicità.

 

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