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Romanzi gemelli


Francesco Roat


Vari aspetti mi sembra accomunino gli ultimi romanzi di Luca Doninelli (La nuova era - Garzanti) e Piero Meldini (Lune - Adelphi), entrambi all’insegna d’uno spaesamento tutto declinabile al maschile: vuoi nel rapporto con le donne, vuoi nell’incapacità di gestire le proprie conflittualità e ambivalenze nei confronti di quanto vissuto come destabilizzante (sia esso il "caos del mondo", ovvero la presenza del male - nel libro di Doninelli -, sia una serie di relazioni sessuali alquanto trasgressive - in quello di Meldini). Singolarmente analoghe paiono anche le caratteristiche dei protagonisti: entrambi uomini di mezza età messi in crisi dall’incontro/scontro con una donna che rappresenta l’inquietante alterità rispetto al loro tranquillo vivere borghese. Similari, pur nelle loro specificità, i distruttivi sensi di colpa provati da entrambi gli io narranti dopo le efferatezze da loro compiute in una sorta di ottundimento morale (l’assassinio di un cattivo soggetto in Doninelli, uno stupro pedofilo in Meldini), così come l’impossibile riscatto che nemmeno gli anni di carcere in un caso, nemmeno il drammatico intervento chirurgico ai testicoli a seguito di un cancro (vera e propria castrazione, a contrappasso della violenza sessuale) nell’altro consentono di ottenere.

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Ma veniamo ai singoli romanzi. La nuova era è la New Age nella quale crede la sprovveduta Chiara, allieva d’un docente universitario di letteratura nonché sua amante. Tuttavia, dietro la solare ingenuità di facciata della ragazza, l’uomo scoprirà l’aspetto più squallido e notturno: un crescendo di violenze e oltraggi subiti per amore di un sadico teppistello che il professore, incapace di tollerarne "la ferocia insensata e malata", provvederà ad eliminare, preso da un "desiderio folle di arrestare il caos". Anche l'atmosfera emozionale che fa da sfondo al romanzo di Meldini è segnata da "spossatezza", "disamore" e "desolazione". Qui il protagonista, l’avvocato Severi, non ha perso la madre - come quello di Doninelli - ma il suo matrimonio è agli sgoccioli, e sempre di una crisi causata dall'incapacità di gestire una perdita si tratta. E ancora: sarà la comparsa di una donna inquietante a irretirlo in un rapporto equivoco in cui saranno coinvolte le tre figlie di lei, cloni della madre. E se la Chiara del romanzo di Doninelli ha il corpo tatuato di oscenità, a stigmatizzare il suo ambiguo e un po' stereotipato ruolo di candida/corrotta, la femmina fatale di Meldini è in primo luogo una classica figura dell'immaginario maschile. Non a caso il lettore la coglie mentre esce/nasce dal mare: bella come Afrodite.

"Non c'era più niente in me che mi piacesse" confessa l'avvocato Severi di Lune. E parimenti il professore de La nuova era è deluso dalla "vanità" del suo lavoro ("Mai più letteratura, mai più"). Entrambi cadranno nell'alienazione perdendo se stessi, prima ancora che nell'agito delittuoso, in una melanconia saturnina l’uno, nel più delirante giustizialismo l’altro. "Sono un oscuro civilista" dice di sé l'avvocato con un aggettivo che svela la sua propensione umbratile. E il professore, riflettendo sul drammatico destino di Chiara, confessa: "Avevo soltanto fatto mia quella sua sfrenata corsa contro la morte". Nell'incapacità di attraversare la vita e la perdita, , come nel più o meno inconscio vagheggiamento di una dimensione esistenziale senza conflittualità, i due protagonisti maschili sono davvero gemelli.

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Ancora, in queste storie parallele non c'è vera sessualità né passione verso le donne, che semmai mettono in moto un'algida seduzione inducendo il professore e l'avvocato a un fatale sviamento da se stessi. E in questo ambito straniante sta forse la vera colpa di questi due personaggi, verso cui avvertiamo però un senso di profonda pietas, quasi una sofferta partecipazione empatica da parte dei loro autori.

Volendo indicare un tratto davvero divergente fra questi racconti (dei quali, faccio ammenda, avrei dovuto sottolineare maggiormente felicità di scrittura e maestria narrativa), direi che ne La nuova era si respira accanto al disincanto un anelito profondamente religioso - o la nostalgia di esso - rispetto al modo in cui guardare a sofferenza e negatività, mentre in Lune nemmeno per un istante lo scrittore o il protagonista s'illudono di poter contrastare il male, la strana creatura del caos, per dirla con Goethe.

 

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