Era necessaria una piazza, una festività
pubblica, una folla di persone intente a guardare e ascoltare, perché Francesco potesse
iniziare la sua giullarata. Proprio così: giullarata, questo il termine di valore con cui
Dario Fo, nellopera edita da Einaudi " Lu Santo Jullàre Francesco", a
cura di Franca Rame, definisce lattività fabulatoria del Santo di Assisi. Nel
ritrovare loriginalità del termine giullare, Fo cita Rossellini come maestro del
Neorealismo e il suo bellissimo film " Francesco giullare di Dio", rievocando la
scena dei frati che sguazzano e rotolano contenti nella terra umida, sollevando le grosse
gonne per ripararsi da un forte temporale estivo.
Fo dipinge la figura di Francesco viva e trepidante di realtà, all'interno di
unatmosfera gioiosa e semplice. Un santo staccato dal contesto divino e dotato
invece di un grande senso dellumorismo e di unintensa vena satirica, che lo
avvicina alla folla proprio come giullare. Questo termine assume in Francesco due valenze:
luna rafforzativa, riferita alla sua identità e laltra dispregiativa, insita
nella figura stessa del giullare, da sempre odiata e perseguitata dai potenti. Francesco,
secondo Fo, si autodefinì giullare e il suo fu un atto provocatorio, perché la satira
non era gradita ad alcun tipo di potere.
La figura di Francesco viene delineata da Fo come caratterizzata da unintensa
vocazione per il teatro. Una natura da istrione la sua, una forte capacità
despressione e di comunicazione che tutto il suo corpo palesava, simbiosi di gesto e
parola, coinvolgimento totale della sua persona. Non cera soltanto la forza della
satira, dice Fo, ma anche lintensità espositiva delle sue orazioni. Francesco era
un personaggio teatrale, carismatico nella sua semplicità e determinazione a svelare le
verità celate dallipocrisia. Un Francesco dunque che sbeffeggiava la menzogna, che
era scurrile con il demonio, provocatorio con i potenti.
Tutto ciò discorda con limmagine mistica, contemplativa del giovane di Assisi
che ci è stata tramandata dallopera censoria di Bonaventura da Bagnoregio, datata
fine del Duecento, quando costui prese la direzione dei Frati Minori. Fo afferma che tutta
la produzione artistica su Francesco, come i dipinti, da Giotto e Simone Martini fino
allepoca barocca, fu vincolata a quel divieto: "Bonaventura, con
unabilissima operazione di taglia e cuci, unì le tre biografie di Tommaso da Celano
( scritte nei tre anni immediatamente successivi alla morte del Santo) creando un altro
Francesco".

Dario Fo racconta invece il vero Francesco, una figura di Santo che ci è stata
tramandata da una narrativa popolare ricca di favole sulla sua vita, favole che
lautore ha raccolto in Umbria, in particolare nella zona di Casa del diavolo,
Civitella e Santa Cristina di Gubbio. Una vera e propria tradizione orale che Fo ha messo
in scena, rifacendosi, come è nel suo stile, ai metodi di produzione e di addestramento
della Commedia dellArte, con quellespressione zannesca di teatro che, nelle
sue mani professionali e giocose, riesce a combinare tecniche surrealiste e una mordente
satira politica, sociale e anticlericale, per il piacere di immensi pubblici popolari.
Francesco è stato per Fo un vero anticipatore di questo stile teatrale; e il Fo autore
ha raccolto testimonianze notevoli di alcuni contemporanei del santo come Salimbene De
Adams e Tommaso da Celano che esprimono loriginale attività fabulatoria del
"giullare di Dio". Nella sua opera, Fo riporta e mette in scena eventi storici
ai quali Francesco prese parte, mettendo in risalto la personalità giocosa, satirica e
spregiudicata del poverello di Assisi, usando le lingue popolari e volgari del tempo in
unespressione storico letteraria intensa che vede impiegato, nella rappresentazione
della "Concione di Francesco a Bologna", il dialetto napoletano, in alternativa
alla parlata giullaresca del Due-Trecento lombardo, con laggiunta del Veneto
primitivo, delle altre rappresentazioni.
Fo mette in scena alcuni episodi salienti della vita di Francesco, che a soli
diciassette anni si ritrovò in piazza con i rivoltosi per partecipare
allabbattimento delle torri di Assisi, simbolo del potere dei nobili e dei Maggiori:
Francesco, quindi, traditore della propria classe sociale, una scelta che condizionò
tutta la sua vita. Lepisodio del Lupo di Gubbio è esempio di come la violenza e la
distruttività abbiano un senso e possano essere trasformate in valenze vitali. L'episodio
in cui il Santo si recò dal Papa per far bollare la sua Regola testimonia laffronto
al potere da parte di Francesco, la sua derisione della pigrizia, dellopulenza,
della dissimulazione. Infine la narrazione della morte del santo in povertà, la gioia di
fronte alla morte corporale, considerata morte sorella, le lodi al Signore come
ringraziamento in vista del trapasso.
Il teatro di Fo, nellidentificazione della vita di Francesco, è una dimensione
libera, è desiderio di usare linguaggi, gestualità, oggetti e metterli in scena per
rendere pubblica la comunicazione, per interagire in maniera viva con chi guarda e
ascolta. Una dedizione al recupero e alla valorizzazione di tradizioni e forme
appartenenti a una società non ufficiale oppressa dal potere. Una visione della vita
estremamente creativa e satirica nellesporre i contenuti più vivi e profondi. Fo
come Moliere, che nelle sue commedie metteva in ridicolo ogni condotta e comportamento
biasimevole: lipocrisia, la boria, la pretenzione. Un teatro come grande passione
per la vita, una passione che, dice Fo, accompagnò Francesco per tutto larco della
sua esistenza, considerata come dono e premio da esporre, da mostrare, da mettere
continuamente in scena per difenderne il valore.