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Il sentiero della speranza 



Dominique Manotti con Paola Casella




Dominique Manotti, Il sentiero della speranza, traduzione di Francesco Bruno, Marco Tropea Editore, pagg. 316, Euro 12,00

Dominique Manotti è una scrittrice sui generis - come ogni autore originale. Militante sindacale nella Confedération Française Democratique du Travail e docente di storia economica del XIX secolo all'Università di Parigi, scrive romanzi polizieschi carichi di riferimenti alla situazione politica e socioeconomica del nostro tempo, che vedono protagonista un commissario gay giocatore di rugby, ambiguo e violento quanto basta a fare di lui un antieroe, ma anche incaricato dalla società di punire il crimine e ristabilire l'ordine.

Peccato che l'ordine, secondo la Manotti, non si addica alla natura umana (o al carattere dei parigini), che invece tende al caos e alla contraddizione. Cosi personaggi della Manotti sono un po' puri e un po' perversi, un po' buoni e tanto cattivi. E questo vale per tutti, compreso il commissario Daquin, protagonista di una trilogia che comincia con il romanzo appena uscito in Italia per Marco Tropea, Il sentiero della speranza, che in Francia ha vinto il premio dell'Associazione francese degli scrittori del giallo, e che ha già incontrato il successo in Inghilterra.

Abbiamo incontrato Dominique Manotti durante il suo breve tour promozionale a Roma, che comprendeva anche un'apparizione a Giallo Estate. Stupisce un po', dopo aver letto Il sentiero della speranza - un romanzo crudo, esplicito e, come dire... testosteronico? - trovarsi faccia a faccia con una tranquilla signora francese di mezza età, con gli occhi celesti e un sorriso da Nonna Papera. Ma basta cogliere il guizzo metallico che compare nel suo sguardo ogniqualvolta l'autrice vede sminuita la complessità del suo commissario, per accorgersi che Nonna Papera è più adatta a sfornare noir alla James Ellroy che torte di mele.

Come è nato il personaggio del commissario?

Le mie storie nascono dai quartieri nei quali sono ambientate. E Daquin è emerso da quello che descrivevo ne Il sentiero della speranza, cioè il Sentier, che è l'area di Parigi ad alta densità di immigrazione turca dove ha sede l'industria tessile. Il Sentier è interamente clandestino, dunque tutto lì si svolge al di fuori della legalità, ma non è una giungla: semplicemente funziona secondo le proprie regole. Ad esempio se un laboratorio tessile chiude, la preoccupazione principale è quella di sapere in anticipo chi ruberà i macchinari del laboratorio, perché quei macchinari saranno immediatamente rivenduti all'angolo della strada e il ricavato rappresenterà l'equivalente della cassa integrazione: una forma di salario differito.

I miei personaggi funzionano allo stesso modo: seguono delle regole, ma non sono quelle della legge. Sono regole individuali, e ognuno ha le sue. Poiché nel Sentier c'è violenza ma anche molto calore umano, i personaggi del romanzo ambientato in quel quartiere, e cioé il commissario Daquin e il suo amante, il giovane sindacalista turco Soleiman, sono violenti ma anche ricchi di umanità, e hanno fra loro una relazione molto passionale.

Dei due, quello puro è tuttavia Soleiman, che è un assassino e un ex ragazzo di vita. Il commissario Daquin, invece, pur essendo il tutore della legge, conduce una vita dissoluta. Secondo lei, è un eroe o un antieroe?

Ho scelto di rendere ambigui tutti i miei personaggi, compreso il commissario, perché personalmente non credo a una divisione netta fra il bene e il male. Quando scrivo un poliziesco non mi interessa ristabilire l'ordine, ed è fondamentale che il poliziotto non rappresenti il cavaliere senza macchia e senza paura. Non cerco di ottenere l'identificazione del lettore in alcun personaggio, né io mi identifico con loro. E' vero che in questo senso rompo con la tradizione classica del noir, che chiede ai lettori si immedesimarsi nel protagonista - sia egli eroe o antieroe - ma esiste anche una tradizione di non-identificazione con i personaggi all'interno del genere, alla quale mi riallaccio.

Non mi sono ispirata a nessuno, invece, nel fare del commissario protagonista un omosessuale, anche se di precedenti illustri ce ne sono: penso ad esempio a Joseph Hansen, un autore americano gay che ha scritto una serie di romanzi con protagonista un detective privato omosessuale. Ma nei suoi romanzi, al contrario dei miei, è molto forte l'identificazione con il protagonista.

Come scrittrice, a quale tradizione ritiene di appartenere?

Per quanto riguarda lo stile letterario e narrativo l'influenza più forte che ho ricevuto è quella degli americani, e in particolare di quella linea diretta che va da Dos Passos ad Hammett a Ellroy. Ma la mia ambizione è quella di raccontare la società francese. Non mi piacciono affatto quelle storie francesi che cercano di imitare ambienti e personaggi americani. Le trovo improbabili.

Secondo lei, esiste un'identità europea contemporanea per quanto riguarda la letteratura?

Non ancora, ma mi piacerebbe molto contribuirvi. Ho viaggiato tanto in Europa - Italia, Inghilterra, Spagna, Germania - e mi ha colpito il fatto che nelle librerie di questi paesi sono presenti quasi esclusivamente gli autori locali e gli americani. C'è molto poco di europeo, a parte i classici, nelle librerie d'Europa, molto poco scambio.

Leggendo Il sentiero della speranza, è difficile credere che sia stato scritto da una donna. Tra l'altro, i personaggi femminili sono descritti in modo abbastanza ingeneroso, quasi con una sorta di sciovinismo.

E' la seconda volta qui a Roma che un giornalista mi accusa di misoginia, quindi un problema ci dev'essere. (Ride). Ed è assolutamente vero che ho grande difficoltà a raccontare i personaggi femminili, probabilmente perché faccio più fatica a mantenere da loro la distanza. Quanto al personaggio di Daquin, non credo affatto che sia un misogino, anche se certamente è un uomo che non ama le donne. O meglio: ama sedurre le donne, ma non può innamorarsene veramente. Però le rispetta, almeno quelle forti, tant'è vero che a un certo punto accusa i suoi colleghi di commettere tanti errori perché sottovalutano troppo le donne.

Esiste una differenza fra scrittura maschile e scrittura femminile?

Per me no, a livello di scrittura. Esiste, almeno in Francia, un pubblico femminile, che ha gusti e richieste specifici, che cerca l'identificazione, e non ritengo di corrispondere alle aspettative di quel pubblico, anche se so di essere letta da molte donne - mi hanno scritto, tra l'altro, di essere affascinate da Daquin, mentre io se incontrassi un uomo come lui non ne sarei affatto attratta.

Il suo romanzo sembra quasi la sceneggiatura di un film. Ha già pensato a una possibile trasposizione cinematografica?

Mi piacerebbe molto che facessero un film da Il sentiero della speranza, ma non c'è niente in cantiere. I diritti sono già stati comprati due volte, ma non sono ancora riusciti a trarne una sceneggiatura. Il romanzo è denso, quindi bisognerebbe tagliare moltissimo. D'altronde per trarre una sceneggiatura da LA Confidential di James Ellroy ci sono voluti vent'anni.

Chi sceglierebbe come regista, e chi come attore protagonista?

Posso sognare? Come regista, vorrei Martin Scorsese! In generale, preferirei un anglosassone, ma non credo che sia possibile perché la storia è prettamente francese. Per il ruolo del protagonista, sceglierei Gerard Depardieu - com'era vent'anni fa. Ci sono attori che mi piacciono molto, come Gerard Lanvin e Jean Hugues Anglade, ma non hanno la corporatura giusta. Depardieu aveva veramente il peso, come costituzione ma anche come attore, adatto al ruolo, nella tradizione di Jean Gabin e Lino Ventura.
Per interpretare il mio commissario ci vuole davvero il fisico: Daquin è un giocatore di rugby, e il rugby è uno sport molto particolare, ogni ruolo richiede una conformazione fisica specifica. Daquin è una terza linea: numero 6, 7 o 8.

 

 

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