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Limiti e palindromi



Sergio Garufi




Come molti sanno, il 2002 è un anno palindromo, il che vuol dire che si può leggere dall’inizio alla fine o viceversa e la cifra rimane comunque invariata. I relativisti incalliti cercheranno di convincervi che non significa nulla, che il 2002 è una data come un'altra, una mera convenzione che non riguarda neppure tutto il pianeta; e invece è un segno importante, un fatto epocale. Qualcosa come il passaggio della cometa di Halley, cioè un evento che, in genere, capita una sola volta nella vita. Gli anni palindromi, infatti, si verificano una volta ogni secolo (1881, 1991), tranne allo scadere del millennio (2002, 3003 ecc.).

E così a noi è capitato il privilegio - come al longevo Ernst Junger, che assistette due volte al passaggio della cometa di Halley -, di vivere due anni palindromi. Il prossimo arriverà nel 2112, fra più di un secolo, perciò è molto improbabile che ci sarà concessa una terza occasione, così com’è facile che chi nascerà fra pochi anni non ne vedrà neppure uno.

Il primo giorno del 2002 mi trovavo a Firenze. In via della Spada, a due passi dall'arcigno Palazzo Strozzi, c’è un remainder di libri d'arte fornitissimo. Tutto quello che normalmente non trovi in altre librerie lì c'è, e a prezzi dimezzati.

Se desideri il libro dei conti del Guercino, che ha tirato meno copie dei parenti del curatore, oppure delle monografie su Marc Rothko o Vittorio Tavernari, che nelle altre librerie d'arte nemmeno sanno chi siano, lì li puoi trovare. Insomma, per gli amanti dei libri d'arte, una sorta di paradiso. Si entra lì e si vorrebbe possedere tutti quei libri, ben sapendo che, oltre ai soldi necessari per acquistarli, ne servirebbero molti di più per comprare una casa nuova grande abbastanza per contenerli, così come occorrerebbe molto più tempo libero a disposizione per poterli leggere tutti.

Quanti libri si possono leggere in una vita? Me lo chiedevo una sera a Roma, mentre ammiravo la più grande biblioteca privata che avessi mai visto. Era quella di Pietro Citati, di 50.000 volumi circa.

Non c’è niente di meglio che curiosare nelle librerie altrui per conoscere a fondo la personalità dei loro proprietari. Alberto Asor Rosa (l’unico critico letterario dal cognome palindromo) sosteneva a ragione che una libreria non è una confusa, informe, ridondante accozzaglia di volumi più o meno intonsi, più o meno vissuti, come si è normalmente portati a credere; bensì il ritratto rapsodico, zigzagante, a volte contraddittorio di una personalità; una sorta di autobiografia in progress in cui gli anni, le svolte, i cambiamenti sono scanditi dall'acquisto di questo o quel libro, dalla scoperta o dall'abiura di questo o quell'autore.

La biblioteca, insomma, come imago di un uomo che legge, come la splendida tela dell’Arcimboldi che sta a Stoccolma, Il bibliofilo, in cui volumi, dorsi, copertine e segnalibri delineano il profilo di una persona non di carne e ossa, ma di carta e cuoio.

E Pietro Citati è indubbiamente uno degli ultimi bibliofili. La sua erudizione enciclopedica dà l’impressione all’interlocutore di trovarsi di fronte ad una persona fatta di carta e inchiostro, i cui ricordi, incontri, amori e dissapori sono tutti indissolubilmente legati alla lettura di qualche volume della sua sterminata biblioteca.

Eppure, facendo mentalmente due conti, parrebbe impossibile riuscire a leggere tutti quei libri. Difatti, un libro al giorno per un anno, moltiplicato per un secolo, fa 36.500 libri. In pratica, ammettendo di vivere così a lungo e di leggere un libro ogni giorno (che è un bel leggere) da quando si è in fasce a quando si schiatta, oltre quel numero non si va. Ergo Citati non poteva aver letto tutti i suoi libri, ergo è impossibile leggere tutti quelli della Libreria della Spada.

L’argentino Jorge Luìs Borges, in alcuni versi incantevoli della poesia Limites (tratta dalla raccolta El Otro el mismo, del '64), accennava proprio a quel libro che non riusciremo mai a leggere, a quel limite insormontabile e, spesso, inconsapevole:

“Se per tutto c’è termine e punto fermo
e ultima volta e mai più e oblio,
chi ci dirà a chi, in questa casa,
senza saperlo abbiamo detto addio?
Fa grigio il vetro la notte morente
e della pila di libri che una tronca
ombra allunga sul tavolo impreciso
qualcuno ci sarà che non leggeremo mai [...]"

Ecco: quel libro riposto sullo scaffale, intonso, che non riusciremo mai a leggere, incombe su di noi come qualcosa che sta a misurare la durata delle nostre vite. Forse, nel desiderio di leggere quanto più possibile, c'è anche l'illusione di fermare il tempo che scorre inesorabilmente, la volontà di allontanare da sé la morte, la finzione di procrastinare l'irreparabile, di ignorare la nostra scadenza.

Perché tutto ha una scadenza e un limite, e vale anche per noi quel che sentii dire in un documentario televisivo sugli animali, quando lo speaker spiegò che gli elefanti e le farfalle, pur vivendo esistenze dalle durate molto diverse (i primi parecchi anni, le seconde pochi giorni), hanno in realtà una vita scandita dallo stesso numero di battiti cardiaci. Per cui, anche se fingiamo di non saperlo, anche se ci illudiamo che non esista, la scadenza è già fissata nel DNA, l'orologio biologico è lì, indifferente a tutto, preciso e implacabile come un metronomo.

In un appunto dei suoi Quaderni (pubblicati postumi da Adelphi), Cioran racconta che diversi mesi prima aveva accettato malvolentieri da un editore l'incarico di scrivere un breve saggio. Lo aveva fatto solo perché gli pareva che la scadenza fosse lontanissima, come qualcosa che non lo riguardasse. Poi quel giorno è arrivato, prima di quanto si aspettasse, e commentava che con la morte deve succedere qualcosa di simile.

Pensi che quel giorno remotissimo non giungerà mai, che quella scadenza non ti riguardi, e poi quando arriva ti coglie sempre impreparato, e allora si vorrebbe avere qualche scusa buona, una giustificazione adatta a rimandarlo un altro po'; perché abbiamo ancora un sacco di cose da fare e impegni da portare a termine; e invece non ce n'è per nessuno, come direbbe il teschio anamorfico ai ricchi ambasciatori ritratti da Holbein.

Emil Cioran era un grande lettore ma possedeva solo pochi libri. Gli spazi esigui della sua mansardina e le misere finanze a disposizione non gli permettevano di acquistarne altri. Così, per soddisfare la sua insaziabile curiosità, si recava spesso alla biblioteca pubblica di Parigi per prenderli in prestito.

Se lo chiedeva ogni tanto anche lui, negli appunti del suo diario, se fosse sensato leggere così tanto (e magari rischiare la follia per questo, come il Don Chisciotte), o se non fosse più opportuno spendere il proprio tempo in modo diverso. Lo “studio matto e disperatissimo” arricchisce la nostra vita, o le sottrae tempo prezioso? Chi ha ragione e chi sbaglia fra quelli che, coscienti dei propri limiti, se la godono finché dura, e coloro che, in base alla medesima consapevolezza, preferiscono dedicare la vita allo studio e alla riflessione?

Come c’insegnano i palindromi, ogni cosa si può leggere in modi completamente diversi ma ugualmente legittimi, eppure la sua sostanza, in fondo, non cambia.E la sostanza, in ogni caso, resta l’eterno, severo precetto del memento mori - cui alludevano il teschio anamorfico di Holbein e innumerevoli nature morte barocche -, che noi spesso siamo portati, come nel caso del libro di Borges e del saggio di Cioran, a eludere o ad attribuire solamente agli altri.

Proprio sul tema dei limiti inconsapevoli si chiude il bel film di Bernardo Bertolucci Il tè nel deserto, tratto da un romanzo di Paul Bowles. All'anziano narratore americano, inquadrato in primo piano con i suoi liquidi occhi azzurri, spettano le ultime parole del film (e di quest’articolo).

"Poiché non sappiamo quando moriremo, siamo portati a
credere che la vita sia un pozzo inesauribile. Però tutto accade
solo un certo numero di volte, un numero minimo di volte.
Quante volte vi ricorderete di un certo pomeriggio della vostra
infanzia, un pomeriggio che è così profondamente parte di voi
che, senza, neanche riuscireste a concepire la vostra vita?
Forse altre quattro o cinque volte, forse nemmeno.
Quante altre volte guarderete levarsi la luna?
Forse venti, eppure tutto sembra senza limite."

 

 

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