Giancarlo Bosetti
Le
ricette di Suor Germana battono nelle vendite, e nelle presenze
nelle case italiane, la Divina commedia. Lo dice una serissima
indagine presentata al salone torinese del libro e raccontata da
Cinzia Fiori sul Corriere della Sera. Nel clima tendenzialmente
depresso della città, sotto botta per le vicissitudini della
proprietà del Lingotto questa è una buona notizia. Buona
naturalmente se guardate la cosa dal punto di vista di un’altra
industria, quella dei libri. Del poema dantesco entra una copia in
ogni casa dove almeno ci sia un ragazzo o una ragazza che ha fatto
le medie superiori. E dunque ci sarà sempre un minimo garantito. Ma
di libri di cucina ce ne vogliono molti più di uno, sostengono
vigorosamente i nostri connazionali.
E’ indicativo che sei italiani su dieci ritengano che in casa
questi non possano mancare. Se non ce l’hai, il libro di ricette,
come fai a fare la salsa verde, o i broccoli gratinati? O a decidere
quali spezie mettere sul pesce? Io preferisco il classico Talismano
della felicità, della Boni. Non ti lascia mai a terra sui
fondamentali: dai bucatini all’amatriciana al caciucco alla
livornese. Questioni di cultura generale o problemi elementari di
vita. Ma quel che è fondamentale è non lasciare il settore
disciplinare scoperto. Puoi non avere in casa nessun libro di storia
bizantina (ma nel caso ne aveste bisogno comprate l’ultimo, di
Silvia Ronchey, Einaudi) ma non puoi non avere un testo dove si
spiega quale temperatura impostare sul forno per cuocere un quarto
di agnello.
E dopo le ricette, che battono tutti, arrivano gli atlanti, le
bibbie (solo terze, siamo veramente un paese cattolico, e non
protestante, dove le bibbie arriverebbero prime), poi le
enciclopedie. E quinto arriva Camilleri, davanti a Pinocchio, Dante
e Manzoni.
Perché la notizia delle ricette è una buona notizia? Perché
parla di un rapporto attivo e funzionale con il libro di almeno due
terzi della popolazione, cioè di una grande fetta di quell’universo
(gli abitanti della penisola) in cui le persone lambite dal
desiderio di leggere sono rimaste cronicamente al di sotto di un
terzo. Non dimentichiamo che si tratta di universo dove la ostilità
ai libri è fortissima, come risultava qualche anno fa da una
indagine del linguista Tullio De Mauro anche nel segmento istruito
della popolazione, e persino tra i laureati, dove, in altissime
percentuali, è forte la tendenza a leggere soltanto i libri
indispensabili per il corso di studi. Nessuno di più.
L’indagine dimostra che l’industria editoriale e quella della
comunicazione stanno lavorando intorno ai modi per vincere questa
storica ostilità, per superare la soggezione, il timore
reverenziale che la maggioranza dei nostri concittadini ha nei
confronti delle librerie: da qui il successo della calata dei libri
sulle edicole, con le iniziative di Repubblica e del Corriere, e
della vendita nei grandi magazzini. Inizia ad affermarsi anche da
noi quella grandiosa invenzione che sono i multistore o le
megalibrerie con spazi per il soggiorno, il caffè, le poltrone per
lunghe consultazioni. Ma se non abiti a Milano o in pochissimi altri
centri, questo è un discorso da rimandare di qualche anno.
Il libro dunque si difende con le unghie e con i denti, in questo
salone che a un certo punto si temeva non si dovesse più tenere.
Quel che difende è il suo spazio nella generale e crudele “economia
dell’attenzione”, della economia del tempo che tende a ridurre i
suoi spazi, già sacrificati dalla difficoltà di varcare la soglia
del primo “fidanzamento” con il libro, che è compromesso dai
bassi livelli di istruzione e dalla storica ostilità di cui sopra.
Ma la difesa c’è e funziona.
Le altre forme di comunicazione e intrattenimento (spettacolo,
sport, musica, e soprattutto televisione) non hanno liquidato i
libri, li hanno assediati (questioni di tempo), modificati (in
classifica arrivano i volti tv), forse in qualche momento indeboliti
(si passa in libreria se prima si passa in tv), ma non li hanno
distrutti. E non sono rari i successi esclusivamente librari (Ray
Bradbury non ha venduto neanche a Spielberg i diritti di Cronache
marziane, e Richard Mason ha finora rifiutato di cedere il suo
romanzo ai colossi della fiction. Eppure si continuano a vendere
grandiosamente in libreria).
La multimedialità (del cinema, della tv, delle comunicazioni
digitali) ha dovuto venire a patti con il libro e cedergli uno
spazio che ha l’aria di essere permanente, a tempi indefiniti. Le
attività umane - cultura, informazione, divertimento, studio,
pubblicità, commercio - che passano attraverso la combinazione di
immagini e suoni mantengono in permanenza uno spazio destinato alla
trasmissione di testi alfabetici. Questo spazio non soltanto non è
diminuito, ma è aumentato in volumi grazie alla maggiore velocità
di trasferimento dei testi.
Internet ha celebrato finora i fasti della trasmissione di
documenti alfabetici, della comunicazione scritta. Musica e cinema
cominciano a viaggiare, sicuro. Ma anche i giornali on line, che
pure sviluppano i settori multimediali con l’avvento della banda
larga, devono prendere atto che la loro funzione di veicoli di
lettura è destinata molto probabilmente a rimanere largamente
dominante sul resto. Anche se non sono di carta, sono portatori sani
dello stesso vizio: quello che affligge tutta la gente che fa
scorrere il suo sguardo su linee di lettere, una dopo l’altra, in
discorsi sequenziali, come quello che sto per finire.
Dunque è forse il momento di meditare su una alleanza, quella
tra libri e giornali web, che finora non è stata abbastanza
considerata. Se siete arrivati fin qui, alla fine di questo pezzo -
che vi sia piaciuto o no, non conta - è molto probabile che siate
gente che già si incontra nelle librerie. O che ha intenzione di
andarci.