| Cioran, misantropo compassionevole 
 
 
 Sergio Garufi
 
 
 
 Forse, la chiave per capire una figura così complessa e spigolosa
            come quella dello scrittore rumeno Emil Cioran sta tutta in un
            piccolo appunto, trascritto nei suoi Quaderni 1957 - 1972 (editi
            da Adelphi) il 20/9/1966 (pag.445). "Suonano alla porta. Guardo
            dallo spioncino, non apro. E' D.L., che non vuol mai saperne di
            telefonare prima. Queste visite inopinate mi fanno star male,
            equivalgono a una violazione di domicilio, a una profanazione della
            solitudine."
 
 Al di là dell'aneddoto curioso e un po' ridicolo
            - che ricorda quello su Elias Canetti tramandatoci da Magris (a
            pag.55 di Itaca e Oltre), quando l'autore di Auto da fé,
            alterando la voce, finse al telefono di essere un'inesistente
            governante inglese per fare da filtro agli scocciatori -, questo
            episodio trova un preciso e significativo riscontro nella biografia
            di un altro celebre e tormentato misantropo come il Pontormo, che
            usava spesso, come tramanda il Vasari, nascondersi in casa perfino
            agli amici come il Bronzino.
 Così come Il libro mio del Pontormo, anche i Quaderni
            di Cioran raccontano di un laborioso isolamento, di una solitudine
            adoperata come sentimento di relazione con l'esterno, con gli altri.
            In entrambi questi diari, gli autori descrivono una vita barricata
            in una mansarda attraverso la puntigliosa e quotidiana trascrizione
            del cibo acquistato e mangiato, degli acciacchi e dei malanni fisici
            che li tormentano, dei rari incontri con gli amici (tra cui Eugene
            Ionesco, Samuel Beckett, Paul Celan) e delle riflessioni sulla
            propria arte. Ma quell'isolamento è, in realtà, una peregrinatio
            in stabilitate, una meditazione sul mondo:
 
 Or s'io mi posso star nella mia terra,
 in un mio luogo rinchiuso e ch'io posso
 veder, pensando, il cielo tutto e la terra,
 (Agnolo Bronzino, La Prigione, 103-105)
 
 Il disagio che Cioran prova di fronte alla folla, che a volte turba
            i suoi lettori, dipende solo dal timore di riconoscersi nei difetti
            altrui: "E' un supplizio, per me, frequentare gente. Cogliere
            le proprie debolezze negli altri, ritrovare dappertutto le tracce
            del peccato originale, vedersi moltiplicati, leggere i propri
            difetti nello sguardo del primo venuto (pag.134)"
 
 In certi momenti, il desiderio - irrealizzato - è
            quello di un isolamento ancora più totale, radicale: "Dobbiamo
            piantare tutto, avere il coraggio e il pudore di crepare in
            solitudine, come gli elefanti e i ratti (pag.301)"
 Ma ben più forte di quel disagio è la voglia di conoscere il
            mondo, gli altri, come le letture forsennate e le frequenti
            riflessioni sugli incontri occasionali testimoniano.
 
 Così come tante indimenticabili figure di misantropi curiosi e
            malinconici che l'arte, il cinema e la letteratura ci hanno regalato
            - vedi il giudice pensionato in Film Rosso di Kieslowski,
            interpretato da Trintignant; o l'astronomo in The end of violence
            di Wenders, interpretato da Gabriel Byrne; o Cosimo Rondò ne Il
            Barone rampante di Italo Calvino -, Cioran, dall'alto della sua
            mansarda, osserva senza alterigia, ma con compassione, le dolorose
            vicende degli uomini, e ne è partecipe perché sente che quel
            destino è comune a ognuno di noi, sente che in questo consiste,
            più profondamente, il mestiere di scrivere.
 
 Come scrisse Calvino, in una nota del '60 che chiariva il senso del
            suo racconto: "Dovevo farne la storia di una fuga dai rapporti
            umani, dalla società, dalla politica? No, sarebbe stato troppo
            ovvio e futile: il gioco cominciava a interessarmi solo se facevo di
            questo personaggio che rifiuta di camminare per terra come gli altri
            un uomo continuamente dedito al bene del prossimo, che vuole
            partecipare a ogni aspetto della vita attiva. Sempre però sapendo
            che per essere con gli altri veramente la sola via era essere
            separato dagli altri, di imporre solitudine in tutte le ore e in
            tutti i momenti della sua vita, così come è vocazione del
            poeta."
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