Stare al mondo
Francesco Roat
Salvatore Natoli, Stare al mondo, Feltrinelli, pp.208, Euro 12,00
E’ molto indicativa la copertina dell’ultimo saggio di Natoli:
un primo piano su due piante di piedi, a sottolineare la condizione
basilare dello stare al mondo, ossia l’esser dotati delle
abilità necessarie a percorre col giusto equilibrio la nostra
parabola esistenziale, riuscendo a tenere i piedi ben saldi nel
presente in modo da saper decidere “quel che è da fare, da non
fare, da scegliere, da rifiutare”. Un presente sempre più all’insegna
della secolarizzazione, essendosi le antiche “speranze
trascendenti” da tempo trasformate in mondane, che alle
aspettative nella vita eterna nell’aldilà hanno sostituito quelle
di poter prolungare l’esistenza il più a lungo possibile qui e
ora.

Meglio - precisa Natoli -, di secolarizzazione
della stessa secolarizzazione ormai si tratta; nel senso che l’idea
stessa di miglioramento progressivo (così cara alla modernità) è
entrata in crisi alla pari dei grandi paradigmi ideologici,
mostrando come l’idolatrata tecnologia non necessariamente sia
foriera di benessere, anzi finisca per comportare problemi e guasti
ambientali irreversibili sempre più inquietanti, i quali paiono
prefigurare il passaggio dall’età della tecnica a quella “del
rischio”. Quindi il breviario di Natoli mi pare si ponga
innanzitutto come una riflessione all’insegna del disincanto sui
limiti del nostro conoscere e operare nella consapevolezza di come
ogni umana verità è paradossalmente sempre “qualcosa di
deciso”.
Tuttavia ciò non significa che la nostra sia un’epoca di
nichilismo. E’ vero, gli assoluti sono tramontati e da Nietzsche
in poi impera il relativismo dei valori ma il problema non è tanto
la restaurazione improbabile di fondamenti e principi
incontrovertibili, sebbene la necessità di gestire il contingente o
di “saper stare in viaggio”, volendo rimanere nella metafora dei
piedi ben saldi per terra. E questo compito non sembri impresa da
poco, costituendo quella che da tempo Natoli chiama l’etica del
finito: vaccinata nei confronti di attese millenaristiche o
salvifiche e attenta semmai giusto alla finitudine e al limite come
statuto essenziale della umana condizione.
Una morale non certo individualistica ma attenta ad amministrare il
singolo tenendo conto dell’altro, in una visione che chiamerei
sistemica o ecologica, in quanto noi non siamo monadi isolate
sebbene membri di plurimi ed intrecciati contesti intersoggettivi
basati su uno stare al mondo che comporta un assunzione di
responsabilità ineludibile nei confronti del nostro pianeta e di
tutti gli esseri viventi (non solo uomini, ma pure piante e animali)
che lo costituiscono. In questa prospettiva la morte stessa, cifra
amara della comune finitudine, non viene a rappresentare meramente
una negatività da combattere o peggio esorcizzare, ma permette l’instaurarsi
di una pietas che - dice bene Natoli - muovendosi in
contromovimento rispetto alla crudeltà dell’esistere “si
determina come reciprocità e condivisione”.
Così il cosiddetto self-help, l’auto-aiuto o cura di sé, si
attua anche mediante il prendersi carico dell’altro distogliendo l’attenzione
ossessiva per noi stessi attraverso una empatia che si fa servizio e
aiuto. Così partecipare all’altrui dolore, essere attenti al
malessere del tu, permette all’io di liberarsi dal
senso d’onnipotenza comprendendo non solo che, presto o tardi, a
tutti capita soffrire (ciò sarebbe banale) ma che rischi,
patimenti, limiti sono inevitabili aspetti di un vivere
contraddistinto insieme da una corrente fatalmente alternata di
gioie e dolori.
Ma è arduo e impegnativo il cammino verso l’autarkeia (il
bastare a se stessi), lastricato com’è di dipendenza e autonomia
giacché, se risulta essenziale riuscire a far fronte da soli alle
difficoltà, a nessuno è mai concessa piena libertà e noi possiamo
vivere solo relazionandoci con altri esseri. E’ allora la
temperanza (l’enkrateia, come la chiamavano i greci),
secondo Natoli, la virtù essenziale per realizzarsi senza usare il
prossimo come stampella od oggetto di desiderio. Una virtù fatta di
responsabilità, rispetto e attenzione per sé ma al contempo per
gli altri.
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