Eco e la letteratura
Pietro Farro
Umberto Eco è uomo dal multiforme ingegno e perciò difficile da definire.
Semiologo, romanziere, filosofo, critico letterario, giornalista,
musicologo, umorista, sono tutte definizioni adeguate ma non sufficienti
a riassumere la sua poliedrica attività intellettuale. Ma il bello
è che egli, qualunque di questi ruoli si trovi a rivestire, è sempre
tutte queste cose assieme. Così, può accadere che nei suoi scritti
scientifici, per esempio in Kant e l'ornitorinco, si ritrovi
a dissertare sul linguaggio dei Puffi o ad affrontare il problema
dell'Essere passando per le grazie di Sharon Stone. E' proprio questa
capacità di spaziare tra i più disparati campi del sapere, di proporre
accostamenti impensati, a fare di Eco una figura eccezionale nel nostro
panorama culturale. Se a questo si aggiunge che sa condire i suoi
ragionamenti con una buona dose di humour, ecco spiegato perché leggere
i suoi scritti risulta sempre piacevole, anche quando trattano di
argomenti complessi. E' quel che accade anche leggendo il suo ultimo
libro, Sulla letteratura (Bompiani, pp. 359, euro 18.00).

Si tratta di una raccolta di saggi occasionati da
convegni e conferenze, ovviamente adattati per essere raccolti in
volume. Gli argomenti, anche se tutti inerenti questioni letterarie,
sono i più disparati: dal Paradiso dantesco agli aforismi di
Oscar Wilde, da Joyce a Borges, dal mito americano alla forza del
falso, dalle funzioni della letteratura all'analisi delle proprie
opere narrative. Impossibile, nello spazio di una recensione,
soffermarsi su tutto. Mi limiterò ad evidenziare alcuni passaggi.
Il primo, tratto dal capitolo intitolato "Come scrivo", è
un ricordo che offre una chiave per capire l'intera opera di Eco:
"Quando ho discusso la mia tesi di laurea sul problema estetico
in Tommaso di Aquino, mi aveva colpito un'obiezione del secondo
relatore (...): in sostanza, mi aveva detto, tu hai messo in scena
le varie fasi della tua ricerca, come se si trattasse di una
inchiesta, annotando anche le piste false, le ipotesi che hai poi
scartato (...). Io avevo riconosciuto che la mia tesi era proprio
come diceva lui, ma non lo sentivo come un limite. Anzi, fu proprio
in quel momento che mi convinsi che ogni ricerca va 'raccontata' in
questo modo". Ecco un punto da aggiungere a quanto si diceva
all'inizio: i saggi di Eco si leggono con piacere perché sono
costruiti come romanzi, i suoi romanzi si leggono con interesse
perché pieni di idee come un buon saggio.

Ma cos'è e a cosa serve la letteratura secondo
Eco? Essa, intesa come quel "complesso di testi che l'umanità
ha prodotto e produce non per fini pratici", è un "potere
immateriale" al pari delle dottrine religiose o delle leggi
matematiche e svolge anche delle funzioni sul piano individuale e
collettivo. Intanto, serve a tener viva la lingua, sia quella di
ciascuno di noi che quella della collettività. In fondo,
"senza Dante non ci sarebbe stato un italiano unificato" e
senza una lingua comune difficilmente si sarebbe giunti ad una
unità politica ("forse è per questo che Bossi non parla un
volgare illustre"). Ma c'è un'altra funzione, ancora più
importante, che possiamo attribuire alla letteratura: quella di
educare alla libertà responsabile. Infatti, nel rapporto con i
testi letterari noi abbiamo certamente una buona dose di libertà
interpretativa - in fondo tutta la storia della critica letteraria
non è altro che il succedersi di differenti letture - ma tale
libertà non è assoluta.
Una interpretazione per essere plausibile deve essere fedele a
quella che Eco chiama "l'intenzione del testo", cioè non
può contraddire ciò che il testo esplicitamente dice o affermare
qualcosa per la quale non vi siano appigli. Pertanto, a chi
sostenesse che "l'Innominato è stato indotto al male da un
irrefrenabile complesso d'Edipo" o che "la Monaca di
Monza, come certi politici d'oggi potrebbero suggerire, era stata
corrotta dal comunismo", sarà d'obbligo rispondere che si
tratta di affermazioni non fondate su "alcun suggerimento,
alcuna insinuazione" che le autorizzi. In questa accettazione
del limite delle nostre possibilità interpretative vi è anche un
insegnamento ad accettare i limiti della nostra esistenza, a non
crederci immortali o onnipotenti. Perciò, conclude Eco: "Credo
che questa educazione al Fato e alla morte sia una delle funzioni
principali della letteratura".
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