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James Bond compie cinquant’anni



Roberto Bertinetti




Le avventure di James Bond verranno riproposte nella collana della Penguin dedicata ai classici contemporanei. Il primo volume della serie sarà in libreria tra poche settimane, in coincidenza con il cinquantesimo anniversario del debutto dell’agente segreto inventato da Ian Fleming nella primavera del 1952. “Fleming e Tolkien rappresentano la letteratura inglese dell’immediato dopoguerra meglio di altri autori che ben pochi oggi leggono”, ha spiegato in un’intervista al Guardian il direttore editoriale della casa editrice. A Londra, intanto, sta per andare in scena anche un musical su 007 e i quotidiani offrono largo spazio alle notizie sull’ennesimo film ispirato al personaggio di Fleming che sarà nelle sale tra pochi mesi.

C’è un legame tra la riscoperta di Bond e le attuali tensioni internazionali? Forse esiste, ipotizzano alcuni commentatori britannici. Concordi poi nel sottolineare che la storia di James Bond e di Ian Fleming riassume in maniera assai efficace il clima del periodo della guerra fredda, congeniale brodo di coltura per il romanzo di spionaggio e per un protagonista che si batte contro gli avversari venuti dall’Est “con una larghezza di mezzi straordinaria per un’Inghilterra che anche nelle occasioni internazionali e industriali più impegnative e di rappresentanza fa ormai solo figure da pezze al didietro”, secondo un caustico Alberto Arbasino che applica alla serie di 007 nelle sue Lettere da Londra la stessa definizione adottata dal poeta Ezra Pound per i Tropici di Henry Miller: libri impubblicabili che sono almeno leggibili.

Tra il 1952 e il 1964 Fleming, grazie alle tredici avventure del suo protagonista, - settantasei chili di peso per circa un metro e ottanta di altezza, un aspetto sicuro e deciso che lo trasforma in una sorta di afrodiasiaco ambulante per le donne che incontra, ricambiate senza perdere tempo in corteggiamenti - rivoluziona i canoni della narrativa popolare, inaugurando un genere che guadagna in fretta consensi in un mondo diviso in due. A differenza degli antieroi di Graham Greene o di John le Carré, Bond non viene costretto a fare i conti con preoccupazioni di tipo psicologico. Per lui, al contrario, la realtà è qualcosa da dividere in maniera manichea: i buoni da una parte, i cattivi dall'altra. Un personaggio così costruito, osserva Umberto Eco, serve a confermare alla piccola borghesia di vivere nel migliore degli universi possibili. Le sue imprese seguono percorsi obbligati, ripropongono situazioni abituali nelle quali il pubblico può riconoscersi.

Per Ian Fleming - nato a Londra nel maggio 1908 - James Bond rappresenta una miniera d’oro, l’occasione tanto a lungo attesa del riscatto dopo una lunga serie di fallimenti personali e professionali. Sino all’inizio degli anni Cinquanta la sua storia privata appare, infatti, piena soprattutto di tentativi non riusciti di guadagnarsi da vivere prima come giornalista, poi come agente di Borsa, come diplomatico e, infine, come agente segreto. L’attività letteraria costituisce, insomma, una sorta di ultima spiaggia per questo intellettuale abbastanza colto ma certo non troppo raffinato, che ama definirsi “metà Faust e metà Byron”, diseredato in giovane età per oscure ragioni dal nonno miliardario e sempre attratto dal mondo dei ricchi al pari dell’amatissimo Francis Scott Fitzgerald.

Dalle avventure di 007 la sua personalità emerge in maniera abbastanza netta: si va da un atteggiamento maschilista nei confronti del sesso e delle donne al culto romantico dell’eroe, dalla denuncia dell’uso perverso della tecnologia all’amore per le armi, da un antico­muni­smo viscerale e di maniera a un pa­triottismo di stile quasi vitto­riano.

La ricetta messa a punto per tratteggiare la personalità dell'agente segreto ot­tiene in fretta uno strepitoso successo: nell’Inghilterra di inizio anni Cinquanta il primo volu­me delle avventure di Bond vende in poche settimane mezzo milione di copie, alcuni anni più tardi sei milioni di lettori rispondono al referendum indetto dal quotidiano Daily Express per scegliere tra dieci giovani attori l’interprete del film tratto da Licenza di uccidere. Contemporaneamente negli Usa nascono de­cine di “James Bond Fans Club” e la New American Library stampa una ventina di edizioni di ogni romanzo, mentre il presidente Kennedy dichiara in una conferenza stampa che Dalla Russia con amore è una delle dieci opere da sal­vare in caso di disastro atomico.

Nell’intera Europa, intanto, il ‘bondismo’ si fa merce. Bally lancia il mocassino Bond e la scarpa nera Bond da mezza sera, la Leham e Weil propongono la cravatta Bond, di maglia nera, Boussac invade il mercato di impermeabili alla James Bond, camicie alla James Bond, pigiami e accappatoi di spugna alla James Bond. Le misure per adulti hanno come contrassegno il magico numero 007, quelle per ragazzi il numero dimezzato, 003,5. In Italia la Aston Martin usata da Bond viene messa in mostra in una tournée trionfale attraverso la penisola, un film di Totò inizialmente previsto come una parodia di Lawrence d’Arabia subisce a metà lavorazione una brusca sterzata e il protagonista diventa l'agente 008.

James Bond riesce a far diventare ricco Fleming prima ancora che venga gira­to un solo metro di pellicola. Quando il muscoloso 007 acquista i lineamenti di Sean Connery sono stati già venduti quattro milioni di copie dei romanzi e lo scrittore, stanco di una routine che gli impone un nuovo libro ogni anno, sta meditando di far morire il suo personaggio come in passato avevano fatto Arthur Conan Doyle con Sherlock Holmes e Agatha Christie con Hercules Poirot. Ha un unico de­siderio, secondo un biografo: che Alfred Hitchcock diventi il regista di uno dei film. Ottenuto un cortese ma nettissimo rifiuto, prova a tirare i remi in barca e nelle pagine conclusive di Dalla Russia con amore fa precipitare Bond da una mongol­fiera e lo lascia privo di memoria tra le braccia di una contadina.

L’editore interviene per fargli cambiare idea: la serie deve con­tinuare ad ogni costo perché si tratta di un affare economico troppo grosso. Fleming obbedisce e si rimette al lavoro componendo L'uomo dalla pistola d'oro, un romanzo scritto senza entusiasmo, di cui fa appena in tempo a correggere le bozze prima di morire a causa di un infarto il 12 agosto 1964. A mettere in crisi il “modello Bond” ci pensa poi John Le Carré, che mentre ancora infuria lo “scandalo Profumo” pubblica La spia che venne dal freddo lasciando che uno dei personaggi definisca i professionisti dei servizi segreti “una squallida processione di pazzi vanitosi, traditori, omossessuali, sadici e ubriaconi, gente che gioca ai cowboys e agli indiani per riuscire a movimentare in qualche modo la propria vita meschina”.

Con questo libro - lodato senza riserve da Grahame Greene - Le Carré trasforma il racconto di spionaggio da thriller d'azione in un raffinato esercizio intellettuale carico di sentimenti umani, in un gioco mentale spesso distruttivo dove sono in ballo i concetti di tradimento, verità, onore e dovere. Se per Fleming la spia era il cavaliere del bene impegnato a combattere contro il male, con Le Carrè è chiamata a ricoprire un ruolo più complesso, è un personaggio solitario, dalle mille sfaccettature, che sperimenta un’esistenza da ‘outsider’, una vita fuori dagli schemi ma certo assai meno esaltante di quella sperimentata da James Bond. Per George Smiley c'è solo una piccola parte in La spia che venne dal freddo, ma nei romanzi successivi l'esperto di letteratura barocca tedesca dall'aria mite e inadeguata di un rospo diventa il portavoce di un’Inghilterra che per difendere lo schema morale in cui crede è costretta a usare mezzi amorali e non sa bene come uscire dal labirinto.

E' proprio Smiley, del resto, a riflettere a voce alta su questo tema in una delle storie che lo vedono protagonista: “Noi abbiamo varcato la frontiera. E non siamo più nessuno nella terra di nessuno. Non è possibile uscire indenni dai metodi di cui ci serviamo. Certo, qualche volta è possibile che il fine giustifichi i mezzi. Tuttavia c'è sempre un prezzo da pagare, e il prezzo siamo di solito noi stessi”, sostiene. Al personale si affianca, poi, il politico. Smiley non ha dubbi sulle conseguenze dell'operato dei servizi quando è tempo di bilanci. Spiega in proposito: “Abbiamo protetto i forti contro i deboli e perfezionato l'arte della menzogna pubblica, ci siamo fatti nemici dei riformatori rispettabili e amici i sovrani più disgustosi E soprattutto non ci siamo soffermati a domandarci per quanto tempo ancora avremmo potuto difendere la nostra società con questi mezzi e se restava una società degna di essere difesa”.

Pentito per le scelte fatte? Certamente no, vi­sto che per Smiley occorre comunque combattere contro gli uomini dell'Est. Ma se James Bond è un nipotino di Tarzan e Tom Mix, George Smiley ha i tratti dell'erede popolare degli antieroi dei grandi romanzi europei di inizio se­colo e viene chiamato a sintetizzare per il grande pubblico l'immagine di un mondo tutto intrighi barocchi e complotti all’ultimo sangue mentre svaniscono la presa delle ideologie e il conforto dell’umanesimo di antica fattura.

Mentre in La spia che venne dal freddo John Le Carré riassume la complessità di un momento storico in cui si cominciano a mettere sotto accusa i governi, il potere, gli apparati statali, nelle successive avventure di Smiley la spia inizia a cambiare ruolo, non è più solo la pedina (più o meno grande, più o meno im­portante) di una partita a scacchi infinita. Diventa, invece, l’emblema dell’ambiguità contemporanea e punta a ricoprire un ruolo decisivo anche qu­ando la Guerra Fredda finisce. Per i motivi che lo stesso George Smiley chiarisce in Il visitatore segreto, l'ultima storia che lo vede protagonista dove afferma: “E' verissimo che gran parte del nostro lavoro o è inutile o è un duplicato di informa­zioni già note. Ma i governi lo adorano.Anche se dovesse venire il giorno in cui non ci saranno più nemici, i governi li inventerebbero per le spie. Inoltre, chi ci assicura che noi spiamo soltanto i nemici? La storia ci insegna che gli alleati di oggi sono i rivali di domani. La moda può imporre priorità, la prudenza no. Perciò, fin quando le canaglie arriveranno al potere, noi continueremo a spiare. Fino a quando ci saranno al mondo prepotenti, bugiardi o pazzi noi continueremo a spiare”.

John Le Carré, intanto, ha cominciato a occuparsi dell’Africa e della situazione postcoloniale. “Quando è caduto il Muro non avevamo alcuna idea su come gestire la pace. - ha detto presentando Il giardiniere tenace, il suo romanzo più recente, tradotto in Italia dalla Mondadori - Era un momento magico, in cui avremmo potuto ridisegnare la realtà in molti modi. Abbiamo perso un’occasione straordinaria per non consegnarci nelle mani di un capitalismo impazzito. Dalla scelta compiuta derivano oggi le miserie crescenti dei paesi poveri, derivano Seattle e Genova, derivano le forme di protesta purtroppo caratterizzate dall’azione di alcuni violenti”. Un feroce omicidio che sconvolge la comunità bianca di Nairobi gli offre lo spunto per un viaggio nell’inferno del sottosviluppo, accompagnando con pazienza il suo protagonista (e il lettore) nel lungo cammino alla ricerca di scomode porzioni di verità, nel faccia a faccia con i Karla del terzo millennio, mossi non più dall’ideologia ma dal profitto, perfetti burattinai di un mondo globalizzato e senza regole in cui è difficile immaginare un ruolo per l’agente 007 inventato mezzo secolo fa da Ian Fleming.



Link:

Piacere, James Bond... online

The Premier James Bond website (in inglese)
Tutte le ultime notizie -sia editoriali che cinematografiche- sull'eroe di Fleming

Il sito ufficiale della MGM (in inglese)
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In italiano

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