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Marianna la pazza



Tina Cosmai



Roberto Parpaglioni, Marianna la pazza, Quiritta Edizioni, Pag. 170, Euro 13,40

Cosa si nasconde dietro il desiderio e la necessità di fare del male a chi amiamo profondamente? E’ difficile dirlo. Meglio lasciar fluire i pensieri senza imporre loro forme etiche; meglio lasciare che la mente proceda per associazioni o che si assuma la libertà di riflettere in spazi surreali, i sogni.

Ed è proprio una tela onirica l'ultimo romanzo di Roberto Parpaglioni, Marianna la pazza (Quiritta Edizioni), un romanzo pensato e scritto venti anni fa e ora ripubblicato. La prima parte dell’opera è un lungo racconto, la storia di Vittorio che ama Marianna, una donna difficile, con l’animo segnato da conflitti, da un odio profondo nei confronti del padre. La storia di un abbandono per amore: Marianna lascia Vittorio perché pensa di non poterlo possedere come desidererebbe.

Marianna ha due amori, suo padre e Vittorio, ma sente che nessuno dei due può appartenerle, perché il suo sentimento è così grande da essere contaminato dal male, un male che lei chiama pazzia. Nella protagonista v’è il desiderio, la voglia di colpa, di ferire le persone importanti della sua vita; il suo bisogno d’amore è soddisfatto dal male: Marianna uccide suo padre.

Tutto ricorda lo stile e le storie tragiche: Medea che per amore di Giasone uccide i suoi figli, Edipo che ammazza suo padre Laio, Antigone che commette suicidio per l’amore e l’onore della sua famiglia. Mi sono sempre chiesta se la pazzia sia proprio tutto questo, il sintomo di una passione che deborda oltre i confini dell’immaginario; l’incontenibilità della passione.

E’ ciò che accade a Marianna, incapace di ascoltare e di accettare il suo amore, perché vissuto come troppo grande, invasivo, trascinante, ottundente la mente, la ragione. Credo che Marianna la pazza sia una riflessione narrativa sulla difficoltà ad amare, perché amare vuol dire prima di tutto riconoscere l’altro, accettare la sua modalità amorosa, i suoi difetti, la sua libertà di non amare, di non corrispondere come noi vorremmo, come Marianna avrebbe voluto. E il male è il senso della colpa non ammessa, la colpa della non riconoscenza del bene, di ciò che di buono è stato donato dalle persone che si amano.

"Amo te e amo mio padre con tanta passione da spingermi a rischiare di perdervi proprio nell’atto di legarvi a me per sempre (…) Tu non vuoi essere come me, la povertà ti spaventa, lo stato di mendicità ti umilia, ma io ti amo e voglio averti per sempre, per cui ti costringo, come dicevamo prima, ti violento"

L’amore diviene quasi presunzione e potere sull’altro, perdendo così la sua caratteristica di libertà. Ma ben diversa è la seconda parte del romanzo che sovvertendo lo schema narrativo classico introduce un diario, il diario del padre di Marianna. L’avvocato Curzi narra i suoi giorni a partire dalla scomparsa di sua figlia. Sì, perché Marianna decide di lasciare suo padre e Vittorio affermando di partire per Roma per sposare un uomo su cui non fornisce alcun riferimento. Il diario è segnato dalla malinconia, dall’attesa per il ritorno della figlia. E’ denso di riflessioni sulla figura paterna, sul ruolo affettivo di un padre.

Lei ora è attratta unicamente dagli aspetti tragici della vita e se li va a cercare anche dove non esistono più. Nasconde in sé una ragazza fragile, disperata per la quale l’occasione più sciocca può trasformarsi in un motivo di sconforto.
"Forse è soltanto mio il compito di salvarla, di trascinarla fuori da quel suo mondo strampalato, fatto di chissà quali paure e fantasticherie. Forse il rispetto di questo impegno è strettamente connesso alla sua felicità."

Dunque il bisogno di un rigore morale è profondamente sentito e posto come condizione necessaria per evitare di trasformare l’amore in disamore, in crudeltà. Ed è interessante anche lo sfondo d’ambiente di questo romanzo, la provincia di Roma che perde le sue connotazioni vivaci, del mare, degli odori, dei sapori, per accentuare la condizione di indifferenza che scorre tra le pagine, nei rapporti tra padre e figlia, tra Marianna e Vittorio.

La terza ed ultima parte del romanzo è un’intervista a Marianna, dove le vengono chieste le ragioni del suo gesto efferato. Marianna spiega la coerenza della sua azione, il dolore della morte della madre per una malattia, l’indifferenza del padre per le umane condizioni del loro vivere, un padre il suo, che anteponeva il denaro a tutti gli altri valori. Per lei il delitto è stato una riconciliazione con se stessa, con la sua coerenza, con il suo amore. Il delitto è la rivendicazione della sua verità d’amore. Della sua, appunto…

"Marianna, di corsa, mentre il padre si allontanava, gli si parò davanti (…) lo spinse verso il muro, infilò una mano nella tasca, sollevò una lama e la abbattè sul petto del padre, tre volte, finchè qualcuno la fermò. In ginocchio si stringeva al petto la testa del padre."

 

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