Esce a Londra il nuovo Giddens
Roberto Bertinetti
Anthony Giddens, Where Now for the New Labour?, Polity Press
“La nuova socialdemocrazia? Si occupa soprattutto di garantire le
condizioni necessarie per raggiungere il successo elettorale”. Lo
teorizza Anthony Giddens nel suo ultimo saggio, Where Now for the
New Labour? (Polity Press), appena uscito in Gran
Bretagna. Il direttore della London School of Economics ribadisce
ancora una volta che, a suo giudizio, le vecchie politiche della
sinistra vanno accantonate perché perdenti nel confronto con il
liberismo. Aggiungendo che in un quadro sociale completamente
mutato, non solo nel Regno Unito ma nell’intera Europa, la
continuità con le antiche parole d’ordine è inutile, oltre che
dannosa. Nell’intero continente, aggiunge, i socialdemocratici
possono contare su un elettorato stabile solo tra gli anziani,
mentre è molto più mobile il consenso tra i giovani. Con il
risultato che le vittorie della sinistra hanno una base tenue e si
sono spesso verificati in circostanze in cui la destra era
frammentata o c’era stato un lungo periodo di governo conservatore
e gli elettori volevano un cambiamento.
Se è vero che quasi la metà degli elettori inglesi o americani si
dichiara “moderata”, la strada vincente per la sinistra europea,
sostiene Giddens, è quella della modernizzazione. Seguendo l’esempio
di Tony Blair e del suo New Labour, che a metà degli anni Novanta
hanno reciso gran parte delle radici, avviando un processo di
profondo rinnovamento della cultura politica del partito premiato in
due tornate elettorali. Se Margaret Thatcher prima e John Major dopo
vincono puntando sull’individuo, Blair sbaraglia gli avversari
scommettendo su quella che definisce stakeholding economy,
su uno stato a forte partecipazione collettiva, di cui ciascuno
possiede un pezzo, all'interno del quale l'individuo può
liberamente prosperare.

Si tratta, in estrema sintesi, di una partita doppia tra dare e
avere, di impegno vicendevole che ha l’obiettivo di favorire la
coesione, il senso di appartenenza a un progetto collettivo. “Se
la gente non sente interesse alla società - argomenta il leader
laburista - ha anche scarsa responsabilità nei suoi riguardi e
poca inclinazione a lavorare per il suo successo. Coesione,
partecipazione, impegno sono gli strumenti per raggiungere un
risultato comune di cui tutti possano godere”. La costruzione di
una comunità morale accanto al mercato, suggerisce Giddens, non è
un'istanza sentimentale di fronte alle leggi dell'economia bensì
uno degli strumenti che più profondamente determinano il
successo e la stabilità di una nazione. La Gran Bretagna del
XXI secolo è un paese che vuole guardare al futuro su queste basi,
che apprezza la proposta della stakeholding economy e pensa
sia la ricetta migliore per governare la complessità della
globalizzazione.
All’interno di questa cornice Giddens colloca la sua riflessione
sul valore del lavoro. Puntando sull’importanza di scelte che non
si limitano a garantire “il lavoro che c’è”, bensì a
favorire la nascita di nuova occupazione. Non importa se flessibile
o precaria, visto che, a giudizio dello studioso inglese, il lavoro
rappresenta, sempre e comunque, uno strumento di inclusione sociale.
“Un buon indice di partecipazione al lavoro - precisa - è
essenziale per combattere la povertà e dovrebbe andare insieme con
un salario minimo garantito e altre forme di protezione. E’ però
fondamentale che queste vengano usate come garanzie per tutelare il
capitale umano piuttosto che come semplici benefici passivi che
hanno finito in molte circostanze per rivelarsi un freno allo
sviluppo”. Al resto, lascia intendere, provvederà il mercato.
Forse in virtù di quella “mano invisibile” di cui parlò per la
prima volta Adam Smith nel 1776 indagando sui meccanismi che
presiedono alla ricchezza delle nazioni.
Come già aveva fatto nel celebre volume dedicato alla Terza Via,
uscito nel 1998, Giddens ribadisce ancora una volta che il teorema
neoliberista sulla società capace di reggersi da sola è
profondamente sbagliato in termini economici prima che morali. Al
contrario, è indispensabile un rilancio del senso di comunità e di
appartenenza pena l’impossibilità di far quadrare il cerchio
tra benessere, coesione sociale e libertà politica, aumentando il
tasso di conflittualità tra le classi. Nel contempo, chiarisce,
occorre rivedere in profondità i meccanismi del welfare, per
adattarli al mutato scenario economico, eliminare inutili
privilegi e introdurre dinamicità all’interno del sistema
delle protezioni.
“Il welfare - argomenta - ruota intorno al concetto di copertura
dei cittadini dal rischio. Una volta il rischio era messo in comune
e redistribuito tra la popolazione. Oggi il concetto resta lo
stesso: trovare un equilibrio tra rischio e sicurezza, ma in una
società molto più permeata di individualismo. D’altra parte la
concessione di benefici a tappeto senza controparte ha creato
categorie di persone totalmente dipendenti dall’assistenza, che
non sono più in grado di badare a se stesse. Oggi è indispensabile
cambiare, costruire un welfare che garantisca i più deboli e
offra servizi per le classi medie della popolazione, in modo da
tenere stretta la parte alta che deve restare impegnata a fondo
verso gli altri. Se questo strato sociale iniziasse a pensare in
maniera egoistica si avvierebbe un pericoloso processo di
disaggregazione. Il welfare tradizionale genera gruppi di
interesse, mentre bisogna evitare ad ogni costo che si consolidino
aree di privilegio in una società dove, vado ripetendo da tempo,
non ci deve essere nessun diritto senza responsabilità e nessuna
autorità senza vera democrazia”.
Giddens è convinto che le forze socialdemocratiche possono vincere
la sfida del governo del cambiamento. A patto di liberarsi in fretta
di alcune idee-forza della vecchia sinistra giudicate ormai
inutilizzabili: la tassazione come strumento privilegiato di
redistribuzione del reddito, la tutela della proprietà pubblica, il
crescente investimento in spese sociali. La destra, al contrario,
non possiede a suo giudizio la dinamicità necessaria per gestire i
processi in atto dopo la caduta del collante dell’anticomunismo e
la debolezza del progetto di “conservatorismo compassionevole”
difeso dai repubblicani Usa. La strada che la sinistra europea deve
percorrere, conclude lo studioso, è analoga a quella tracciata da
Tony Blair. Che di recente ha definito il New Labour “il partito
del revisionismo permanente, alla ricerca continua dei mezzi più
idonei per raggiungere gli obiettivi politici nei quali crediamo,
utilizzando i cambiamenti che si manifestano nelle nostre società
industriali avanzate”.
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