Viaggio dalla parte dell’ombra
Antonia Anania
Annemarie Schwarzenbach, Dalla parte dell’ombra, Il Saggiatore
editore, 2001, pp.414, Euro 19,63 (Lire 38.000).
Annemarie Schwarzenbach era una di quelle donne dense e ‘incurabili’
che sono state le protagoniste degli Anni Trenta. Come Virginia
Woolf, Anaïs Nin, come le donne che ispirarono i romanzi di Francis
Scott Fitzgerald. Annemarie fece sempre di testa sua, seguì i suoi
impulsi e le sue passioni, la scrittura, l’amore per le donne, la
propensione al comunismo, i viaggi dai quali trarre i reportage, che
venivano pubblicati su riviste e giornali soprattutto svizzeri, con
lo pseudonimo di Annemarie Clark. Fece tutto malgrado la madre non
volesse una figlia dedita all’insana passione dello scrivere,
malgrado la famiglia, una ricca casata elvetica, le avesse inculcato
uno spirito militare che lei dimostrò di non accettare mai.
In una conferenza del 1928 Virginia Woolf disse
che “una donna, se vuole scrivere romanzi, deve avere soldi e una
stanza per sé, una stanza propria”; di soldi Annemarie ne aveva
parecchi, essendo ricca di famiglia, e per la stanza… ad Annemarie
ne serviva una metaforica: per i suoi reportage le serviva
viaggiare, e quello che per una romanziera può significare una
stanza, per una reporter lo significano una Leica, una macchina da
scrivere e una Ford (o lo scompartimento di un treno). Con queste
tre cose e spesso in compagnia di qualche altra giornalista e
letterata, Annemarie scorazzava dall’Oriente all’Occidente, per
capire, conoscere, riconoscere, a volte evadere dalle brutture della
guerra, e cercare quanto ancora sconosciuto, in ombra.
Dalla parte dell’ombra, edito da il Saggiatore, raccoglie i
pezzi che Schwarzenbach scrisse dal 1933 al 1942 e che raccontano
questi viaggi. Ed è una scoperta leggerli, una scoperta per chi ha
studiato la Storia dai libri e non ha mai letto un articolo di quei
tempi, (i suoi erano scritti in tedesco); per chi vuole fare la
giornalista (ma leggerli fa bene anche agli uomini che fanno questo
mestiere) e in questo modo può studiare gli esperimenti e le idee
di un’antesignana del giornalismo mondiale. Per chi insegna storia
e geografia e può far scoprire ai suoi alunni terre e popoli con un
altro punto di vista, o meglio a volte senza punti di vista,
obiettivamente, così come sono dal vivo. Come vuole il vero
giornalismo.
E si scopre che nonostante passino i secoli, il sentire che muove l’uomo
a scrivere è sempre lo stesso: “si parla e si scrive solo delle
cose che ci stanno a cuore”; “lo scrittore (…) parla di ciò
che gli preme”, così come il sentire che muove a fotografare: “le
immagini devono raccontare”.
Dell’America raccontò le lotte dei sindacati,
il New Deal, la scuola degli altipiani, i disoccupati, le operaie
delle fabbriche di jeans, il quartiere senza luce di Knoxville; dell’Europa
raccontò l’avvento nazista a Vienna, le opinioni dell’“uomo
comune” programmato dal regime, della Russia raccontò l’entusiasmo
della gente per la tecnica e per la letteratura, gli operai che
leggono Gor’kij, la mania dei record, l’amore per il circo, la
pioggia che scende sugli alti berretti di pelo dei tatari, il “fascino
stanco” di Leningrado; dell’Oriente raccontò i colori, l’ora
morta che precede la sera in Persia e in cui anche i cammelli
sembrano stregati, i viaggi interminabili attraverso steppe e
deserti senza poter contare i giorni, e che a volte si concludono
perché un amico viene richiamato in Europa per la guerra.
E fa un certo effetto di questi tempi, leggere di donne afghane
degli anni Trenta che tolgono lo chador solo per prendere il tè in
casa di amiche ma che non vogliono parlare della loro condizione,
né essere fotografate; fa un certo effetto leggere che Annemarie
spedì dei disegni di vestiti occidentali ad alcune donne afghane
curiose della moda occidentale (“Combattemmo contro il chador!”,
scrive). Fa un certo effetto leggere dell’Afghanistan di quegli
anni e vedere che le foto che Annemarie scattò in quei luoghi, -di
cui il libro è stato arricchito-, sono simili alle immagini che
abbiamo visto in questi mesi, e che quindi niente sembra cambiato.
Annemarie Schwarzenbach ha uno spiccato spirito di osservazione e
introspezione, legge dentro le cose: descrive scene, azioni,
paesaggi in modo tale che il lettore riesca a immaginare nei minimi
dettagli, perché sente la necessità di chiarire e presentare
luoghi e personaggi nel modo più schietto possibile, altre volte la
sua scrittura realista e cinematografica si posa su immagini
nostalgiche e diventa lirica e letteraria. Raramente però si
intravede dai suoi scritti qualcosa della sua vita privata, caotica,
strana, disordinata; spesso invece tra le righe si nascondono frasi
di portata più ampia, che hanno un senso anche oggi; “il loro
istinto nomade è più forte del desiderio di sicurezza e di
protezione”, a proposito di alcuni russi, potrebbe essere una
definizione per un giornalista di guerra o un viaggiatore, per chi
vuole vivere libero, senza appigli e attaccamenti.
Vi e' piaciuto questo articolo?Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio libri |