La strategia del camaleonte
Ivo Lini
Jean-Francoise Bouvet, La strategia del camaleonte (Raffaello
Cortina Editore, lire 27 mila).
Accade in Australia. Frotte di piccole vespe dal sesso maschile si
scatenano in raptus erotici sui labelli delle orchidee Cryptosylis.
Un’attività insaziabile, come dimostra la copiosa presenza di
spermatozoi rilasciata sui fiori, un’orgia sfrenata a cui
assistono, completamente trascurate, le vespe di segno femminile.
Scherzo della natura? Tutt’altro: strategia di sopravvivenza
elaborata in secoli di evoluzione dall’orchidea. Che coinvolge
tutti i sensi dell’insetto. La vista, in quanto il labello del
fiore somiglia all’addome di una femmina di vespa. Il tatto,
poiché la disposizione dei peli sui petali ricorda quella della
partner. E l’odorato, stante che gli effluvi della pianta
somigliano molto a quelli di una vespa durante la riproduzione.
Risultato: il maschio, immaginandosi chissà quali prestazioni, vola
da un fiore all’altro trasportando il polline e garantendo così
la nascita di una futura orchidea.

Anche nel mondo vegetale, dunque, l’immagine
impone un imperativo che trasfigura la sostanza, l’apparenza detta
la sua personale legge alle specie viventi. E non è un caso isolato
quello dell’orchidea australiana. Perché, anche in condizioni
diverse, in America come in Asia, la pianta ha architettato sempre
lo stesso metodo per moltiplicare le sue possibilità di
riproduzione. Un fenomeno sorprendente su cui ha indagato
Jean-Francoise Bouvet, docente di neurobiologia all’università di
Lione I, che ha pubblicato di recente il libro La strategia del
camaleonte (Raffaello Cortina Editore, lire 27 mila). Un
testo che non si ferma al regno delle piante. Ma che passa in
rassegna numerosi comportamenti del mondo animale.
Ecco allora le strategie per passare inosservati messe in atto dalle
piante del genere Lithops, in Africa meridionale, che per non essere
brucate sono capaci di mimetizzarsi con il colore dei sassi. Ma c’è
anche chi, come lo scimpanzé, è in grado di dissimulare un
interesse per la femmina del maschio dominante, assumendo un tono
all’apparenza distaccato, mentre manovra gli arti con perizia al
di fuori del campo visivo del temuto concorrente. Sempre tra i
primati è forte poi la capacità di simulazione vera e propria: per
evitare il combattimento, ad esempio, alcuni scimpanzé fingono di
zoppicare, confidando di essere risparmiati dal più forte. L’opossum,
addirittura, simula la morte per non finire nella bocca del coyote,
suo naturale predatore.
Strategie illusorie che possono essere perseguite per scopi diversi.
Sia offensivi (la tartaruga alligatore fa vibrare ad arte la propria
lingua in modo che il pesce da catturare la scambi per un verme),
che di prevenzione (la farfalla Automeris, inoffensiva, apre le ali
anteriori su cui figurano due macchie scure simili a grandi occhi
che la rendono simile a un inquietante gufo). Il pesce Melanostigma,
invece, si piega su se stesso ad anello e resta immobile nell’acqua,
in modo che il predatore lo scambi per una medusa, notoriamente poco
fornita di proteine e soprattutto molto urticante.
Insomma, conclude Bouvet, la menzogna non è - come ingenuamente si
crede - una prerogativa del genere umano. Anche se, soltanto l’uomo
ha inventato l’immagine virtuale, affrancando l’apparenza da
ogni riferimento concreto preesistente. “Se l’era del mondo
senza la vita - scrive con amarezza Bouvet - era quella dell’oggetto
senza l’apparenza, il millennio che si apre sarà largamente
inquinato dall’apparenza senza l’oggetto”.
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