Conversazioni con Woody Allen
Pietro Farro
Jean-Michel Frodon, Conversazione con Woody Allen (Einaudi,
pp. 135, £. 16.000).
E’ un buon momento per gli ammiratori italiani di Woody Allen: a
ridosso dell’uscita nelle sale del divertente La maledizione
dello scorpione di giada, arriva in libreria Conversazione
con Woody Allen (Einaudi, pp. 135, £. 16.000) di Jean-Michel
Frodon, critico cinematografico di Le Monde. Il volume, quasi
una ideale prosecuzione del precedente Woody su Allen curato
da Stig Bjorkman (1993), rielabora per argomenti dieci anni di
incontri parigini tra il regista e il critico e si conclude con un
capitolo nel quale Frodon analizza l’opera di Allen nel suo
complesso.
Autore, regista ed attore, Woody Allen è per diversi aspetti un
personaggio unico nel panorama del cinema contemporaneo. Le ragioni
di questa peculiarità risiedono innanzitutto nelle particolari
condizioni economiche alle quali lavora. Infatti, a differenza delle
star hollywoodiane, Allen non ha a disposizione grandi budget (“nei
miei film gli accordi sono uguali per tutti, star o non star, ovvero
il minimo contrattuale di 5000 dollari la settimana”), ma in
compenso ha il pieno controllo sul proprio lavoro: la libertà di
fare i film che vuole, di scegliersi il cast ed i collaboratori, di
usare il bianco e nero, di girare nuovamente tutte le scene che
ritiene (nel caso di Settembre arrivò a girare due volte l’intero
film).

Condizioni essenziali mantenute con tutte le
produzioni con cui ha lavorato (“smetterei di fare cinema se non
avessi più questa libertà”), sulle quali nel libro si ritorna
più volte, anche per spiegare la scarsa simpatia di cui gode nel
mondo delle majors americane. Del resto, ed è un’altra
singolarità, Allen è l’unico cineasta d’oltreoceano i cui film
incontrano in Europa il maggior favore di pubblico e critica.
Simpatia pienamente ricambiata, visto che anche lui ammette: “I
cineasti che ammiro di più, la cui sensibilità cinematografica
sento vicina alla mia, sono europei”. Niente di strano: basta
vedere quale sia il livello medio delle superproduzioni Usa - quelle
a base di dinosauri e marziani, per intenderci - per comprendere
come l’antieroe timido e maldestro incarnato dal personaggio Allen
sia agli antipodi di quel tipo di cultura cinematografica.
La critica è solita suddividere la carriera di Allen in due
periodi: il primo che va da Prendi i soldi e scappa ad Amore
e Guerra, nel quale predominano le gag visive e l'intento di
divertire; il secondo da Io e Annie in poi, nel quale diviene
sempre più rilevante la presenza di temi seri e il comico di parola
prevale su quello di situazione. Nel libro Frodon ne individua un
terzo, che ha inizio con Alice e dura sino ad oggi, segnato
da un diverso uso della tecnica registica caratterizata dall’elaborazione
di “un altro spazio-tempo, puramente cinematografico”. In ogni
caso, questa periodizzazione non deve essere intesa come una
dicotomia tra le varie fasi ma come un’evoluzione, non mancando
elementi di continuità tra l’una e l’altra.
Uno di questi è la presenza del personaggio Allen, sostanzialmente
sempre lo stesso da Virgil Starkwell a C.W. Briggs. L’altro è la
costante attenzione ai temi fondamentali dell’esistenza: amore,
sesso, dolore, dio, morte, visti attraverso la lente deformante e
rivelatrice del comico. Questo, per Umberto Eco, fa di lui: “Uno
psicologo, uno psicanalista e, comunque, senz’altro un satirico di
costume” e Frodon, concordando, scrive che: “Il posto di Woody
Allen tra i grandi artisti che hanno contribuito a far sì che l’umanità
conosca se stessa, si situa vicino a Molière”.
Vi e' piaciuto questo articolo?Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio libri |