La figura del matto
Pietro Farro
Raffaele Mangano Le lumache non bevono vino, Lupetti
editore, pp.186, L. 25.000.
La figura del “matto” è un topos che ricorre di
frequente nella storia della letteratura. Dario Fo, per citare uno
degli autori che vi ha fatto spesso ricorso, sostiene che il
personaggio del folle è: “Quello che capovolge la logica, la
convenzione, le regole” e perciò viene utilizzato per dire quelle
verità scomode che generalmente si preferisce rimuovere. Insomma,
il matto come punto di vista straniato, con licenza di straparlare
sul mondo in cui viviamo. (Alle volte lo stesso ruolo può essere
assolto dalla figura del bambino che guarda con occhio vergine il
mondo incomprensibile degli adulti, o dell’extraterrestre, come
nel Marziano a Roma di Ennio Flaiano). A questo filone si
richiama anche il divertente romanzo di Raffaele Mangano Le
lumache non bevono vino.

La trama, più che altro una cornice che serve a tenere assieme le
storie dei vari personaggi e le tante divagazioni dell’io
narrante, è ambientata nella clinica psichiatrica Villa Fiorita.
Qui Puccio De Lollis - trentenne con alle spalle già una doppia
carriera di pubblicitario e sceneggiatore televisivo, uscito di
testa guardando un telegiornale - tiene un quaderno di appunti, a
beneficio dei posteri, nel quale racconta com’era il mondo alla
fine del secondo millennio. Lo fa attraverso casi esemplari, come le
vicende degli altri ospiti della clinica, e ragionamenti a ruota
libera che spesso traggono spunto da notizie di stampa. E non è un
caso che Mangano sia stato giornalista prima di dedicarsi alla
narrativa.
Il senso del libro si potrebbe riassumere, citando ancora una volta
Fo, nell’espressione “sani da legare” perché il mondo dei
sani è sempre più folle e i matti sono quelli che se ne rendono
conto. Il ritratto che ne esce è quello di una società dell’eccesso
che sembra correre verso l’autodistruzione. Paradigmatica la
storia di Luca, finanziere d’assalto che “trascorreva il tempo
davanti a visori con grafici e tabelle, parlava in tre telefoni alla
volta, usava linguaggi incomprensibili”, finché non finisce sul
lastrico per avere incautamente “comprato caffè a Kuala Lumpur”
e poi al manicomio per una mancata vincita al Lotto.
Nonostante la pessimistica visione d’insieme, il tono del romanzo
è di tipo comico satirico. L’autore deve essere un estimatore di
Campanile e mostra di averne assimilato alcune tecniche di
produzione del comico (ma Campanile, come insegna Eco, resta
insuperabile nella capacità di suonare tutte le note del
pentagramma comico e spesso mescolarle assieme), aggiungendovi di
suo una buona dose d’intenzione satirica.
Tra le pagine più divertenti, vanno segnalate quelle in cui si
mette alla berlina la sempre più dilagante tendenza da parte di
certi uomini politici a farsi guidare dai sondaggi d’opinione.
Può bastare una domanda mal posta, e in cima alle esigenze della
popolazione si ritrova “la parte del corpo femminile che sta tra l’ombelico
e le ginocchia”. Il politico che va in Tv col sondaggio in tasca
senza neanche averlo letto, finisce quindi col promettere che...
Certamente, va detto, non tutte le trovate rendono allo stesso modo.
In alcuni momenti sembra che la voglia di menare fendenti all’universo
mondo finisca per offuscare la felicità creativa dell’autore.
Tuttavia l’insieme è assolutamente gradevole e, trattandosi solo
della seconda opera narrativa di Mangano, c’è da attendere con
curiosità le prove future.
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