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La forza del pensiero di Robert A. Dahl



Corrado Ocone



Robert A. Dahl, Sulla democrazia, 2000, e Politica e virtù. La teoria democratica nel nuovo secolo, a cura di Sergio Fabbrini, Laterza 2001

Robert A. Dahl è un distinto signore americano, di origine norvegese, che dimostra una ventina di anni in meno degli ottantasei che gli attribuisce l’anagrafe. Alto, di statura imponente, gioviale e con una lucidità mentale invidiabile, Dahl è stato recentemente ospite a Roma della casa editrice Laterza, che ha da poco pubblicato, in traduzione italiana, due suoi volumi: Sulla democrazia, 2000, e Politica e virtù. La teoria democratica nel nuovo secolo, a cura di Sergio Fabbrini, 2001.

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Giuseppe Laterza ha pensato bene di riunire una serie di esponenti della politica e della cultura italiana affinché discutessero con Dahl in libertà, senza un ordine preciso, dei problemi teorici e pratici relatvi alla democrazia. L’unico intervento programmato è stato quello iniziale di Sergio Fabbrini, a cui era stato affidato il compito di illustrare, in pochi minuti, le idee e i contributi più significativi alla scienza politica del professore emerito della Yale University.

Fabbrini ha individuato tre nodi tematici fondamentali attorno ai quali ruota, secondo lui, il pensiero di Dahl. Essi fanno riferimento, rispettivamente: al rapporto fra democrazia e capitalismo di mercato; alla struttura pluralistica o pluricentrica degli stati democratici occidentali (Dahl ha spesso fatto uso, nelle sue opere, del termine - concetto di "poliarchia"); al rapporto fra le istanze e le realizzazioni democratiche concrete e reali e l’idea e la sostanza del bene pubblico o, come si dice in Italia, dell’"interesse generale"

I tre temi hanno fortemente sollecitato gli interlocutori italiani, i quali hanno potuto verificarli e metterli alla prova con Dahl in un’ottica ora nazionale ora compiutamente globale. E’ opportuno tuttavia sottolineare che lo studioso americano si è occupato esclusivamente, nei suoi libri, della democrazia liberale o rappresentativa, che per lui è in qualche modo la democrazia senz’altro. Pur insistendo sulle precondizioni storico-ambientali e individuali che ne favoriscono la realizzazione, la sua analisi ha privilegiato sostanzialmente gli aspetti legislativi e costituzionali, formali e procedurali.

Particolarmente feconda è risultata la tensione che si è mantenuta sempre viva nel suo pensiero, e sulla quale ha insistito Fabbrini, fra il momento normativo o ideale e quello storico o reale. Una tensione che egli ha messo alla prova attraverso un confronto serrato fra i diversi tipi di democrazia e fra la democrazia e il suo contrario (cfr. La democrazia e i suoi critici, Editori Riuniti, 1991 ).

La forza del pensiero di Dahl si è manifestata nella capacità che egli ha saputo mostrare nell’evitare sia le rigidità dei puri teorici, degli elaboratori di schemi spesso astratti, sia la messa in scacco che i realisti compiono di ogni tensione ideale e persino morale. La democrazia, ha detto Dahl nel corso dell’incontro laterziano, non è né un sistema perfetto, né forse il sistema in assoluto migliore fra quelli da sempre esistiti. E’ tuttavia a memoria l’unico sistema per principio perfettibile, che vive cioè della sua congenita precarietà e capacità di migliorare. Ed è per questo motivo preferibile: quella che è in prima istanza una scelta di metodo, a metà fra normatività e descrittività storica, si rivela poi anche una scelta aderente al particolare oggetto che Dahl ha da sempre studiato.

Delle tre tematiche individuate da Fabbrini, Giuliano Amato ha privilegiato soprattutto la prima, ponendosi il problema di come regolare politicamente il mercato senza sconfessarlo. Esaltandone anzi le capacità produttrici di ricchezza e dispensatrici di benessere. Per Amato è questo in fondo il problema della sinistra riformistica. E Dahl è un interlocutore importante per le sue posizioni sempre rigorosamente liberal su questo tema. Lo studioso americano ha ribadito che la politica deve dare la possibilità di correggere le diseguaglianze che l’economia di mercato tende comunque a produrre.

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Tutto sta a trovare un equilibrio giusto fra le spinte egualitarie e quelle antiegualitarie che sono presenti in ogni democrazia. E che comunque, secondo Dahl, svolgono entrambe fino a un certo punto un ruolo essenziale. Il ruolo forte della politica diventa ancora più necessario dopo l’11 settembre, che, come numerosi opinionisti hanno messo in evidenza, segna in qualche modo la fine della ideologia esageratamente liberista che ha avuto il suo acme negli anni Novanta.

Nonostante Giuseppe Laterza avesse posto all’inizio dell’incontro una sola, precisa regola, quella di non parlare degli eventi bellici, questi hanno fatto continuamente capolino nel dibattito. E non solo in forma indiretta. Un esempio lampante è stato quello della disputa sul tema della globalizzazione, o meglio della global governance come l’ha chiamata Mario Sarcinelli che ha avviato la discussione. E’ vero, ci si è chiesto, che la democrazia occidentale crea diseguaglianze sempre più ampie fra i ricchi e i poveri? Ed è vero che le crea non solo fra cittadini appartenenti a popoli diversi, ma anche all’interno dei singoli Stati? E ciò è connaturato alla democrazia, o può essere in qualche modo evitato?

Dahl ha in questo contesto introdotto un discorso, molto interessante, sulla necessità di parlare dei limiti più che dei pregi della democrazia: farlo, ha detto, non significa affatto portare acqua al mulino degli antidemocratici, ma è connaturato alla natura più vera e profonda dell’essere un democratico. Ciò in considerazione proprio di quell’idea di perfettibilità o sperimentalista di cui si diceva prima e che, in qualche modo, è un portato della concezione pragmatica che soprattutto gli americani hanno della vita.

In questa prospettiva non sembra appropriato quanto ha osservato Claudio Petruccioli, il quale ha persino rinverdito per paradosso il concetto di "imperialismo" osservando che, nel mondo, i paesi democratici sono una minoranza e non possono porsi come modello per masse sterminate. Gli occidentali, secondo lui, cadono in un paradosso quando decidono, unilateralmente, di essere dalla parte della "verità" e che perciò è giusto che contino più degli altri. Petruccioli ha poi affermato che c’è un vizio intellettualistico: la democrazia viene pensata molto, troppo, mentre bisognerebbe metterla di più in pratica. Ciò tuttavia non può essere rimproverato a Dahl, che tutto è fuorché un teorico puro e astratto.

Più opportuno è sembrato, a livello ideale, l’intervento di Sebastiano Maffettone, il quale ha osservato che la differenza vera è fra principio democratico e principio liberale. Fra di essi c’è una convergenza sempre precaria, che può essere ammortizzata prendendo sul serio il concetto dell’eguaglianza delle opportunità. Una eguaglianza che deve investire, in primo luogo, i diritti umani fondamentali.

Solo apparentemente legato alle vicende italiane è stato poi l’intervento di Giancarlo Bosetti, direttore di Reset e Caffè Europa, che ha notato come un federalismo vero ed effettivo debba di necessità prevedere una seconda camera, una camera delle regioni, ove le istanze locali siano in qualche modo rappresentate e mediate a livello nazionale. Non va infatti dimenticato che gli Stati Uniti, che sono l’oggetto privilegiato delle analisi di Dahl, sono federalisticamente strutturati. E che la loro democrazia ha continuamente il problema di mediare fra diverse istanze. E anche fra diversi centri e autorità di potere.

Si è così ritornati al tema della "poliarchia", che serve a contrassegnare società e democrazie complesse come le contemporanee. E che rimanda al problema della sovranità, cioè del "chi decide" e del "dove è il potere", che è poi il problema della "legittimità" di ogni fonte autoritativa. Tanto più che la situazione è poi complicata, come ha evidenziato Massimo Lucian, dalla coesistenza nelle nostre società dei due tipi di razionalità politica già individuati da Max Weber: quella secondo i valori, e l’altra che bada allo scopo.

Sabino Cassese ha così avuto buon gioco nel rilanciare il ruolo della "democrazia delle garanzie" (rule of law) come modalità di superamento dei limiti intrinseci alla forma democratica. La democrazia del mondo, il compito che ci aspetta, deve evitare la minaccia rappresentata dalla demagogia, cioè dalla cosiddetta "tirannia della maggioranza", da una parte; e dalla poca legittimità democratica della dottrina tipicamente americana (e francese) delle autorità indipendenti (autorities), dall’altra.

Robert Dahl ha convenuto alla fine con i presenti: la questione che si dovrà affrontare è quella del come spostare al mondo la democrazia che fu un tempo della polis e che è ora degli Stati. L’unica certezza è che la ricerca continua. Per gli uomini di cultura è già tanto. E forse tutto.

 

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