Jack’s book
Parla Fernanda Pivano, a cura di Serena Vinattieri
Jack’s book di Barry Gifford e Lawrence Lee (Fandango 2001, 345
pagine, lire 36.000)
In questi giorni che tutti definiscono di guerra, una donna minuta e
con un’andatura traballante ci parla di non-violenza e di pace. Ci
parla di McCarthy e degli anni Cinquanta, della Beat Generation e
del suo re, Jack Kerouac.

Nel contesto del festival fiorentino Artport
che si è svolta a Firenze presso il piazzale delle Cascine la
scrittrice ha presentato, insieme al direttore della collana Mine
vaganti Sandro Veronesi, Jack’s book di Barry Gifford e
Lawrence Lee (Fandango 2001, 345 pagine, lire 36.000). Una biografia
edita dal 1978 negli Stati Uniti che la Pivano ha cercato in ogni
modo di far pubblicare anche in Italia. Forse perché amica di
Gifford, oggi famoso per Cuore selvaggio (il suo quarto
romanzo dal quale David Lynch ha tratto l’omonimo film, vincitore
della Palma d’Oro a Cannes), forse perché Jack’s book è
davvero bello e originale.
L’idea di Gifford è stata di raccontare la tormentata vita di
Kerouac attraverso le parole dei suoi amici. Ci dice la Pivano: “È
una biografia molto bella, sincera, dalla quale si può capire l’anima
di Kerouac, perché raccontata da coloro che lo conoscevano e non da
quelli che hanno soltanto letto i suoi libri”. Una biografia che
va ad aggiungersi a quelle accademiche accumulate negli anni. Dice
Gifford del suo libro: “Sono i ricordi di persone che facevano
parte della Beat Generation, che c’erano state, ed era la prima
volta che ne parlavano. Nella nostra biografia di Kerouac non c’è
ancora niente di scandaloso o di bizzarro, soltanto la passione di
un outsider di 32 anni coinvolto da un personaggio romantico e
disperato, grande poeta, patetico buddista, vittima dell’ottusità
di editori che lo hanno fatto morire alcolizzato per avergli
rifiutato un po’ di rispetto durante i sei anni di attesa prima di
pubblicargli On the road.”

Il primo ad aver affidato ad un registratore le
sue osservazioni è stato Andy Warhol nel 1964. L’eroe della pop
art registrava tutto e nel 1968 conquistò il suo pubblico con la
rivista Interview, dove pubblicava le conversazioni tra
persone qualunque che non si aspettavano di essere ascoltate. “Forse
- scrive la Pivano nella postfazione di Jack’s book - è
davvero cominciato tutto allora, in quegli anni magici di invenzioni
e creatività, di sogni e di passioni, di ansie esistenzialiste e di
delusioni politiche, dopo che le innovazioni degli anni Cinquanta
erano già state realizzate da Allen Ginsberg con Howl
(1956), da Jack Kerouac con On the road (1957), da William
Burroughs con Naked Lunch (1959), da Gregory Corso con Bomb
(1958).”

Un incontro commovente nel chiostro della Facoltà
di Agraria avvolto dal freddo inconsueto per il mese di settembre.
Una testimonianza d’amore per “quei ragazzi sporcaccioni e
drogati, con i capelli lunghi e i sandali, che rinunciarono al
denaro e dimostrarono che l’America non era quella voluta da
McCarthy”. A questo gruppo si unì, negli anni Cinquanta, la
giovane e pulita Fernanda Pivano: “Ho il peccato originale di
essere figlia di una famiglia borghese !”
La contestazione pacifica condotta dai beat , ricorda la
Pivano , commentando gli avvenimenti che in questi giorni hanno
sconvolto gli Stati Uniti: “…è stata importante perché ha
provocato un interesse per la non-violenza, per le culture orientali
come il buddismo… perchè ha sprovincializzato l’America. Oggi,
nel mondo, non trovo niente di quest’insegnamento”.
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