Segnalazione/Storia delle vacanze
Serena Vinattieri
Orvar Löfgren, Storia delle vacanze, Bruno Mondadori 2001,320
p., £. 35.000
"Considero le vacanze come un laboratorio culturale in cui le
persone hanno la possibilità di sperimentare nuovi aspetti della
propria identità, nei rapporti sociali o nell’interazione con la
natura, e anche di sfruttare importanti attitudini quali sognare a
occhi aperti e compiere viaggi mentali. Si tratta di un contesto in
cui la fantasia diventa un’importante pratica sociale".
Questo il pensiero di Orvar Löfgren che ben introduce il suo saggio
Storia delle vacanze. Due secoli di storia della
villeggiatura che hanno lo scopo di osservare il presente con
sguardo critico, mettendo a confronto epoche e scenari molto diversi
tra loro.

Il turismo appare come l’ultima forma della globalizzazione. Un’industria
standardizzata al punto tale che un fine settimana in una località
balneare conserverebbe lo stesso aspetto in qualsiasi altro posto a
patto che ci siano un tratto di spiaggia, il mare e magari qualche
palma.
Il turismo, dice Löfgren, è una modalità di produzione
sopranazionale. Molte delle discussioni sul turismo di massa
rischiano di scadere nel genere dell’esperienza prefabbricata. Al
contrario la commercializzazione non implica necessariamente una
standardizzazione dei turisti. Nell’analisi del turismo di massa
la singola esperienza del viaggiatore è minimizzata, ma non ci
saranno mai due viaggi identici.
Per questi motivi Storia delle vacanze divaga nel tempo e
nello spazio: "Mi limito a mettere soprattutto a confronto lo
sviluppo del panorama turistico in Europa e in Nord America, seppure
molti degli ideali e delle routine scaturite in questi contesti
siano oggi effettivamente globali".
L’approccio comparativo scelto da Löfgren punta l’attenzione
sull’esperienza della vacanza, sulle pratiche e sulle routine
quotidiane della vita turistica: trascorrere una giornata in
spiaggia, guardare il tramonto, fare escursioni nella natura
selvaggia o portare la famiglia in vacanza in automobile.
Le prime due parti del libro analizzano una situazione di polarità
definita dal sociologo francese Jean-Didier Urbain come la tensione
tra i Phileas Fogg e i Robinson Crusoe dello scenario turistico.
Paesaggi fisici e mentali è dedicata alla microfisica del
viaggio e del giro turistico, a come si impara "a vedere il
mondo", a mettere corpo e mente nella produzione di ricordi di
viaggio. Il modello preso in esame è Phileas Fogg, ovvero il
turista maschio borghese, il viaggiatore smanioso e impaziente alla
ricerca di nuovi panorami.
Vie di fuga si concentra sulla ricerca robinsoniana dei
luoghi dell’altrove: il desiderio di Robinson Crusoe di
"evadere da tutto", di trovare un angolo inesplorato della
terra per rilassarsi e costruirsi una vita alternativa.
L’ultima parte Fra il locale e il globale prende in esame
alcuni dei modi in cui il turismo viene standardizzato, ma anche
continuamente trasformato dal flusso sopranazionale di idee e di
viaggiatori. L’autore si sofferma con umorismo sul passatempo
preferito dei turisti - osservare gli altri turisti - e sui modi in
cui il turismo ha palsmato il mondo moderno, dai pioneri del XVIII
secolo ai passeggeri delle navi da crociera alla fine del XX.
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