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Macchie rosse



Paola Casella



Alessandra Montrucchio, Macchie rosse, Marsilio, 301 pagine, 30.000 lire


"L'unica ragione sei tu, tu che sei poco, tu che sei approssimativo, tu che dai alla tua pochezza e approssimazione il nome di senso pratico e tenti di convincerti che non si tratta di opportunismo e codardia ma di maturità".

A parlare (di sé) è Luca, uno dei protagonisti di Macchie rosse, il terzo libro di Alessandra Montrucchio, dopo la raccolta di racconti Ondate di calore, che ha vinto il Premio Calvino nel '96, e il romanzo Cardiofitness, tutti pubblicati da Marsilio. E la mediocrità, o meglio la paura di essere mediocri, è il filo conduttore di tutta la storia ambientata nell'84 al Lido di Spina, una località balneare della costiera romagnola.

I protagonisti sono un gruppo di ragazzi appena usciti dal liceo che trascorrono da sempre le vacanze nello stesso posto, con le stesse persone, dicendosi più o meno le stesse parole. Fra loro si distingue un trio, anzi un triangolo, composto da Marinella, la voce narrante del libro (il più delle volte), post adolescente inquieta e perennemente insoddisfatta di sé, una che solo quando balla non si sente "una nanerottola che rimorchia ragazzi e va male a scuola per dispetto ai suoi"; Luca, l'unico "esterno" arrivato a Spina su invito di uno dei "locali", quieto osservatore del mondo dal punto di vista distaccato di chi non si considera degno di essere protagonista della propria storia; e Alessandro, l'unico indiscutibilmente non mediocre, anzi, eccezionale in tutto: bello come un Dio, ricco, intelligente, bravissimo a ballare (mentre Marinella, che fa danza da sempre, non sarà mai una ballerina).

Che Alessandro e Marinella siano innamorati persi, lo scopriamo fin dalle prime pagine del romanzo. Che il loro sia un rapporto negato e conflittuale, lo capiamo poco dopo: Alessandro vive le sue innumerevoli fortune come un ostacolo all'individuazione della propria identità profonda ("il mio problema non è mai stato sentirmi vivo, ma sentirmi vero"), Marinella invece vive nel terrore che lui smascheri la sua mediocrità (quella che lei ritiene tale).

In questa situazione già difficile, già impossibilmente tesa, si inserisce Luca, suo malgrado, come del resto suo malgrado conduce tutta la sua esistenza. E cominciano i guai: le liti, le ripicche, i tira e molla. Intorno a loro, un contorno (un coro?) di personaggi più o meno definiti, che caratterizzano i tre protagonisti, e creano per loro una cornice, così come Spina fornisce loro lo sfondo, e oggettivizza la loro sensazione dominante di nostalgia, la loro malinconia scura e seducente, la struggente fatica di Sisifo di chi vive, giorno dopo giorno, "sopraffatto dallo scarto incolmabile tra la realtà e le proprie aspettative di felicità".

La forza di Macchie rosse però non sta nella trama, qualche volta artificialmente ravvivata da colpi di scena che sembrano toppe narrative, ma nello stile. Alessandra Montrucchio, classe 1970, già nota ai lettori de la Stampa per la sua rubrica Cattive ragazze, ha un modo di raccontare tutto suo, caldo e coinvolgente, che ricrea efficacemente l'atmosfera di certe estati al mare, insieme alla "compagnia", fra ennui altoborghese e piadine plebee - e si sente, che parla per esperienza personale.

Anche quando Macchie rosse rischia di sconfinare nell'Harmony, o nel soft porn, mantiene sempre un taglio personale, una voce, una verità di fondo. E il fatto che Montrucchio scriva col cuore, più che con la tecnica, lo rivelano certi passaggi trafelati che l'autrice dev'essersi rifiutata di editare (e con lei, il suo editor alla Marsilio), dopo averli scritti di getto.

Macchie rosse si legge tutto d'un fiato, lasciandosi trascinare non tanto dalla trama o dai personaggi quanto dalla cantilena nella voce di Alessandra, sotto le mentite spoglie di Marinella, di Ale, di Luca. E ci si ritrova d'estate, a fare un'indianata a bordo piscina, ad esplorarsi sulla spiaggia, guardando gli adulti e pensando, come ha scritto un famoso giornalista: "A noi non succederà".

 

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