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L’elogio della menzogna



Andrea Tagliapietra con Ivo Lini



Diceva Oscar Wilde: “Chi sia stato colui che per primo, senza essere andato a caccia, raccontò agli esterefatti cavernicoli come aveva ucciso il mammut non posso dirlo. Tuttavia, qualunque fosse il suo nome e la sua razza, egli certamente fu il fondatore delle relazioni sociali”. La menzogna come fondamento di base della società civile. Dunque, un valore. Dunque, un elemento in qualche modo da riabilitare.

Wilde aveva aperto la strada con un aforisma, adesso è l’ora del suggello. Lo mette, con un’analisi certosina che spazia dal mondo animale alle più evolute teorie della filosofia, Andrea Tagliapietra, ricercatore alla facoltà di lettere e filosofia all’Università di Sassari, in un libro che il filosofo Umberto Galimberti ha definito “un capolavoro destinato a diventare un classico sull’argomento”: Filosofia della bugia - Figure della menzogna nella storia del pensiero occidentale (Bruno Mondadori editore, lire 48 mila).

La filosofia della bugia, ma anche la storia della sincerità, viste da Tagliapietra in modo intimamente intrecciato: la menzogna che riguarda il mondo delle cose ma anche, e soprattutto, la menzogna che ha per oggetto noi stessi, nelle forme della doppiezza, del mascheramento, dell’autoinganno. Caffè Europa ha intervistato l’autore.

Professor Tagliapietra, nel suo libro lei sostiene che la bugia è più utile alla vita di quanto non sia la verità. Non rischia di essere un’affermazione un po’ pericolosa?

“Diciamo che non si tratta di rivalutare la menzogna dal punto di vista morale, perché il problema della bugia non è riducibile alle questioni dell’etica, a un valore regolativo della politica o alle complesse casistiche del diritto. Ho cercato di scoprire le caratteristiche dell’inganno prescindendo dalle categorie dell’etica”.

Come a dire, la menzogna è uno strumento neutro. L’uso che se ne fa può essere buono o cattivo…

“Sì. L’analisi su verità e menzogna non va confinata sul piano etico, ma deve guardare all’uso pratico, a ciò che torna vantaggioso per la vita. Fatta questa premessa, si può analizzare la menzogna con maggiore serenità. E la prima annotazione è quella che la bugia, per compiersi, deve rendersi credibile all’altro. Bisogna convincere qualcuno di una presunta verità. Dunque, in questo senso, chi mente ha necessità di un rapporto, di un dialogo, non può prescindere dal prossimo. E quindi l’inganno è anzitutto socialità, relazione. Elementi da cui, paradossalmente, chi dice il vero può prescindere”.

L’altro aspetto positivo della menzogna che lei sottolinea è quello legato all’intelligenza.

“La menzogna nega e nasconde la verità. Però ha bisogno di sapere, cioè di possedere un’intelligenza delle aspettative di verità di chi si vuole ingannare. Non c’è bugia senza comprensione dell’altro. Solo se c’è da parte del bugiardo un profondo ‘intus legere’, ossia un leggere dentro la mente della sua vittima, egli può sperare di essere creduto”.

Anche in natura, sia tra gli organismi floreali che tra gli animali, l’intelligenza si esprime con l’inganno.

“La bugia non è prerogativa degli uomini. Nel mondo vegetale, l’orchidea africana imita l’aspetto dei fiori ricchi di nettare per attirare insetti e farfalle. E nel mondo animale il fatto stesso che un gatto si nasconda al cane denota un uso spontaneo della menzogna: il gatto si sottrae alla vista del cane, modifica l’informazione in possesso dell’avversario, aspettando che questi se ne vada”.

Dunque la menzogna è anche un modo per ribaltare il rapporto delle forze tra le specie o tra gli individui?

“Laddove il confronto di forze in campo dà come solo risultato che vinca il più forte, la bugia diventa la via laterale per ribaltare il pronostico: il più debole, così, può battere il forte. In questo senso, come dimostra Ulisse con il cavallo di Troja, la menzogna è una risorsa. E, a guardare bene, la stessa tecnica è una forma raffinatissima di menzogna”.

Marx, Freud e Nietzsche sono i tre pensatori che meglio hanno minato il concetto tradizionale di verità. Non a caso Giovanni Paolo II li ha definiti “filosofi del sospetto”.

“Certo, la cultura tradizionale preferisce le verità che arrivano dall’alto e non ama le articolazioni drammatiche della coscienza moderna che convive tra bisogno di verità e consapevolezza di finzione. Nietzsche smaschera il concetto di verità: che, secondo lui, non è quello di dire il vero, ma di offrire stabilità a chi sarebbe altrimenti incapace di vivere senza alcuni punti fermi. Anche la verità, in questo senso, è una forma di inganno, inganno condiviso da chi - non sapendo mentire per affermare una personale visione delle cose - mente in base a una salda convenzione, come si conviene a una moltitudine, in uno stile vincolante per tutti”.

Ma l’inganno, per chi cerca una dimensione non distruttiva della vita, avrà pure un limite…

“Diciamo che la bugia, per essere eticamente accettabile, non dovrebbe perseguire un vantaggio ulteriore. Ma dovrebbe essere utilizzata per difendere principi, come la libertà e la dignità umana, che nella scala di valori sono superiori all’esigenza di dire il vero”.

Facciamo un esempio concreto?

“Guardare in modo più costruttivo al significato di menzogna non significa legittimare il tradimento di una persona cara che ha con noi un rapporto di fiducia. Significa che se devo ospitare un rifugiato politico, il principio di dire la verità alla polizia può essere subordinato a quello di salvaguardare l’incolumità della persona umana”.

E la più classica delle menzogne, quella del tradimento in amore?

“A mio avviso, qui si resta nel campo della meschinità, perché si mira a ottenere di più, a procurarsi il vantaggio di un secondo rapporto senza trasparenza, tradendo la fiducia altrui per i propri fini. Malgrado l’indulgenza con cui la società guarda al tradimento, si resta secondo me nel campo della menzogna da condannare”.

Fino a che punto la persona che mente può definirsi autentica?

“Quando ci comportiamo eticamente, dobbiamo essere autentici: questo è il presupposto di tutte le morali moderne dall’Illuminismo in poi. Siamo liberi, perché liberamente possiamo decidere come comportarci. Quindi l’autenticità è un valore di base da sviluppare secondo il proprio libero arbitrio, e non tramite un’adesione incondizionata a principi accettati da tutti come giusti. Il valore positivo è dato dalla capacità di introiettare questi principi e di agire secondo un naturale adeguamento. In questo senso, la sincerità esteriore, quella di frasi tipo ‘ti dirò sinceramente’, può essere una forma di mascheramento, una bugia. Mentre essere autentici significa essere coerenti soltanto a una sincerità interiore. Spesso, in definitiva, la sincerità è una forma di bugia”.


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