Palmares de sangre
Costanza Macchi
Reynaldo Lugo, Palmeras de sangre, Mondadori Editore, 360 pagine,
34mila lire.
Reynaldo Lugo, 1948, è un giornalista cubano con una lunga
esperienza nei giornali e in televisione. E’ stato direttore
editoriale di Visual Publishing.
Gli scrittori sudamericani alla fine hanno questo: comunque la si
veda, la loro è letteratura. Forse perché la storia che hanno nel
sangue, così come quella dei loro padri e dei loro nonni sa tanto
di colore e di sapore. Di tanto dolore. E il dolore, si sa, o ti
vince o ti regala spessore. Germoglia in te e poi ti ritorna sotto
altre spoglie e sotto un’altra natura. Anche quando quel che si
racconta non vuol essere favola né distrazione, né divertimento
né ammonimento. E’ una questione di ritmo, si direbbe. Di
capacità di far cantare le parole che una alla volta e poi tutte
insieme prendono corpo e decidono la strada.

L’incantesimo si ripete in quest’opera di
Reynaldo Lugo, giornalista e scrittore cubano alle prese con il suo
primo romanzo, Palmeras de sangre, in uscita per i tipi di Mondadori.
A farci fare i conti con la dimensione altra, tipica dei paesi del
Sud è l’incipit delle sue pagine, ambientate negli Anni 50,
precisamente nel ’57, nella Cuba successiva al colpo di Stato del
10 marzo 1952 e all'ascesa al potere di Fulgencio Batista. Poco
importano, se non fosse per lo sviluppo della trama che subentra
poi, le connotazioni storico-temporali dell’intreccio.
Basta, senza andare troppo in là, soffermarsi sulla prima pagina e
sentire che quel segno distintivo che ci ha accompagnato e fatto
amare molti dei grandi narratori sudamericani, riaffiora e si
rinvigorisce anche qui, nelle righe di benvenuto: “Quella notte l’eco
della cannonata delle nove arrivò al Vedado con gli abituali dieci
secondi di ritardo”. E di colpo si ha la netta impressione di
essere catapultati nei mondi possibili solo alla letteratura: senza
spazio e senza tempo.
Proprio come fossimo per incanto di nuovo a Macondo. Poi così non
è. Perché la storia è un’altra e perché quel che va raccontato
è il rischio di cambiare pelle senza neanche rendersene conto, di
essere stravolti da quel che è originario e quindi vero per finire
nella rete delle emozioni forti, facili, traditrici. Come succede a
L’Avana, in cui la criminalità organizzata raccontata dall’autore
rischia di snaturare il modello originale della città fino a farla
somigliare a una “Mecca del gioco d’azzardo” o, ancora peggio,
a una Las Vegas caraibica con niente da spartire con il suo passato
culturale.

Ma questo, ci racconta Lugo, non avviene per caso
o all’improvviso. E lui, che è stato giornalista ancor prima che
scrittore, il messaggio sceglie di darlo così: con un thriller
politico dalle tinte forti come i colori della sua terra. In cui
quel che va denunciato, tra personaggi protagonisti delle vicende
storiche del Novecento e figure che ormai fanno parte dell’immaginario
collettivo, è l’abbrutimento che si ottiene quando “un governo
corrotto interessato agli investimenti finanziari leciti e illeciti
spiana la strada al progetto della criminalità organizzata
americana”.
Non solo, però. Perché a dirla tutta fino in fondo, lo sfacelo
progressivo, ci dice Lugo, può risolversi solo nella rivoluzione
dal basso, solo se i sonni del dittatore vengono interrotti
brutalmente dall’eco delle notizie che arrivano dalla Sierra
Maestra. Perché da qui nasce la guerriglia guidata da Castro e qui
vengono covati i minacciosi atti terroristici in grado di mettere in
pericolo i profitti assicurati dal turismo.
E se è vero che l’impronta di un passato nei giornali prima e
nella televisione poi si sente dallo stile asciutto e preciso, è
anche vero che a volte l’autore voglia a tutti i costi rifiutare
quella modernità forzata e messa in discussione nel suo lavoro. E
quando sceglie di farlo esce fuori uno scrittore schivo ma maturo
che dice tutto. Con la forza o con l’ironia, non conta: l’importante
è sbarazzarsi del troppo. Come quando entra in scena Emma, “due
sillabe che erano il ritratto fedele del suo aspetto. Una tentazione
vivente per la galanteria creola: aveva l’aspetto di una
bottiglietta di Coca-Cola”.
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