I fantasmi di Cerami
Francesco Roat
Di molteplici Fantasmi tratta l’ultimo libro di Vincenzo
Cerami, edito da Einaudi. Di donne e uomini inautentici, i quali -
pur anelando a liberarsi dalle svariate maschere con cui si mostrano
celandosi - non riescono ad operare quella metamorfosi (obbligata in
un romanzo riuscito) che li trasformi da figure di carta in
personaggi a tutto tondo; da artefatti narcisi in presenze
credibili. Certo, il loro guaio è quello di essere spettri esangui,
le cui vicissitudini non riescono a turbare più di tanto il
lettore, ma la questione - letteraria, almeno - è un’altra.

Il problema, a livello narrativo, non sta nel sottolineare anche
pervicacemente le nevrosi e le oscillazioni di questo o quel
protagonista, bensì nel non riuscire a renderle plausibili. Ciò
che conta non è l’irrisolutezza quale loro tratto
caratterologico, ma - scusate il gioco di parole - la scarsa
verosimiglianza della finzione.
Voglio dire che quanto mi sembra purtroppo irrisolto in Fantasmi
non è la più o meno insistita attenzione alla vacuità/labilità
dei vari lui e lei che compaiono in questa trama, peraltro complessa
e nemmeno facile da riassumere agevolmente in poche righe, ma il
modo in cui tali personaggi sono costruiti. Insomma, più che dar
conto delle emozioni (comprese quelle negative e contraddittorie,
beninteso) mi sembra che Cerami allestisca una sceneggiatura
alquanto algida, con buona pace delle melodrammatiche e stucchevoli
dichiarazioni d’amore o di rancore che punteggiano qua e là il
testo.
Il dramma di Fantasmi mi pare un teatro esibito, un film che
ti lascia in bocca l’odore di celluloide. Ed anche la minuzia
descrittiva con cui vengono fotografati i camaleonti di Cerami nel
trascolorare dei loro tratti non fa che accentuare questa
impressione di scarsa plausibilità.
Sarà che recitano tutti, sono più o meno consapevolmente attori d’uno
scoperto gioco delle parti, o impersonano ruoli che vorrebbero avere
e non hanno. In primis Morena, la protagonista. O dovrei dire Angela
ovvero Gabriella, perché la donna, che ama assumere nomi diversi a
seconda delle situazioni in cui vive, “era stata tante persone
diverse, come Proteo”. Per non parlare di uno dei suoi ex amanti,
il bellimbusto Claudio “perfetto solo nell’involucro” e
convinto che “la verità si può raccontare solo attraverso le
menzogne”. O di un altro amante di Morena, Giorgio, “persona
accorata fin quasi alla smanceria”.
Così può risultare faticoso reggere per trecento pagine questa
donna dai modi “spudoratamente infantili”; risulta arduo
affacciarsi sul vuoto d’umanità di questi Fantasmi, sempre
in fuga da se stessi e alla ricerca disperata di un rifugio nelle
braccia dell’altro/a, come fanno i vari personaggi del libro, da
quelli già menzionati ad Alessandra, nevrotica moglie di Giorgio;
fino al padre di Morena, Rodolfo, un vecchio compositore omosessuale
alquanto lascivo, legato alla figliola da un rapporto edipico
destinato a non risolversi nemmeno dopo la di lui morte.
L’intreccio poi si complica via via che il romanzo procede,
intersecandosi la storia di Morena e dei suoi eteronomi con quella
dei detti Claudio, Giorgio, Rodolfo, Alessandra. C’è inoltre di
mezzo una strana sceneggiatura su un improbabile film intorno alla
figura di Maometto, un’autobiografia, un monologo rivolto ad uno
psicoanalista, giocato sul registro del libero flusso di coscienza
(o incoscienza), una raccolta di lettere fra ex amanti (ma forse non
del tutto ex). C’è persino un macabro delitto da feuilleton: l’assassinio
con mutilazione del pene di un personaggio, per fortuna secondario.
E’ tutto, mi sembra di ricordare. Anzi no, manca il bello: la
scena dello stupro di Morena da parte di due balordi. Forse lei
resta incinta causa la violenza sessuale, forse invece il figlio che
decide di tenersi è di Giorgio (con cui ha avuto un amplesso
tardivo). Cerami non lo spiega e certo non ha importanza. Importante
è che la donna ritrovi se stessa nella maternità. Anche se, questa
pacificazione raggiunta a buon mercato in chiusa di volume suona fin
troppo consolatoria e puzza ancora una volta di inautenticità se
non di retorica.
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