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 Crimini e archeologia



Consolato Paolo Latella



Pochi conoscono la passione per l'archeologia della grande autrice di gialli Aghata Mary Clarissa Christie. Nella sterminata produzione di Aghata Christie - più di ottanta gialli, sei romanzi sentimentali, varie opere teatrali e due volumi autobiografici - i numerosissimi estimatori possono ritrovare atmosfere orientaleggianti in "Assassino sul Nilo" o in "Assassino sull'Orient Express", mentre più esatti riferimenti all'esperienza archeologica sono in "Assassino in Mesopotamia", "Appuntamento con la morte" e "La fine è il mio principio".

Per approfondire questi aspetti poco conosciuti dell'autrice inglese si può visitare la mostra "Aghata Christie e l'Oriente: criminologia e archeologia" fino al 17 settembre al Museum für Völkeunde di Vienna, in seguito visitabile a Basilea (Antiken-museum dal 22 ottobre al 1 aprile 2001), a Berlino (Vorderasiatisches Museum dal 15 maggio al 30 settembre 2001) ed infine a Londra (British Museum da novembre a marzo 2002).


La mostra è composta da molti reperti provenienti dagli scavi di Mallowan, a cui si aggiungono le fotografie scattate da Aghata Christie nelle campagne di scavo, libri, vari cimeli appartenenti ai discendenti della inconsueta coppia, ed un filmato a colori inedito girato dalla stessa Christie nel 1938 durante gli scavi a Tell Brak.

Ma cosa ha spinto questa simpatica e convenzionale donna inglese, bardata di pellicce, golfini di cachemire e giri di perle, ad affrontare scomodi e pericolosi viaggi in Oriente per visitare siti archeologici sperduti nei deserti? Certo non la propensione all'ozio del padre americano, ma la sensibilità straordinaria della madre britannica la quale vedeva la vita con colori che "invariabilmente, non collimavano con la realtà". L’eredità materna può in parte spiegare la vena romantica e il fascino per il misterioso e l'insolito, ingredienti che mescolati alle complesse e intriganti trame hanno reso insuperabili i romanzi gialli della Christie.

Aghata nasce nel 1890 a Torquay e a sedici anni si trasferisce a Parigi per realizzare la sua aspirazione: diventare cantante lirica. I risultati sono scarsi e se ne torna in Inghilterra dove nel 1914 sposa Archibald Christie, uno dei primi piloti dell'aviazione inglese, dal quale avrà una figlia, Rosalind. L'anno successivo scrive il primo romanzo giallo, "Poirot a Style Court", in cui da vita al famoso detective belga Hercule Poirot, impersonato poi mirabilmente nei film da Peter Ustinov.

Durante la Prima Guerra Mondiale presta il suo tempo come infermiera nel dispensario di Torquay. Nel 1926 un episodio, mai chiarito completamente, macchia la sua irreprensibile vita: sparisce e viene ritrovata sei giorni dopo a Harrogate, una stazione termale. La giustificazione addotta, una improvvisa perdita di memoria, non è mai sembrata plausibile, e nella autobiografia "La mia vita", uscita postuma nel 1976, l'autrice non accenna neppure al fatto. Più probabile è che la morte della madre, avvenuta in quel periodo, e l'allontanarsi del marito, abbiano creato una miscela tale da rompere il suo equilibrio. Nello stesso anno infatti divorzia dal marito, il quale le aveva dichiarato di essersi innamorato di un'altra donna, e questa esperienza traumatizzante, per lei già così diffidente per natura, rende difficili per molto tempo i suoi rapporti con gli altri: diffida particolarmente delle interviste, ed evita persino di parlare in pubblico, tanto che quando diviene presidente del prestigioso Club del Giallo inglese, delega un'altra persona a proporre i brindisi e a presentare gli ospiti.

Nel 1930 intraprende un lungo viaggio alla scoperta del Medio Oriente: fino a Costantinopoli sull'Orient Express, poi a Damasco da cui con una lussuosa carovana raggiunge Baghdad. La meta ultima del viaggio erano gli scavi archeologici della mitica città di Ur in Mesopotamia. Qui incontrò un giovanotto alto e magro che di mestiere faceva l'archeologo, Max Mallowan. Pare proprio che sia stato amore a prima vista, e di lì a poco i due si sposarono anche se Mallowan era più giovane di lei di quattordici anni. La leggenda vuole che Aghata avesse commentato il fatto così: "Un archeologo è il miglior marito che una donna possa avere. Più lei invecchia e più cresce l'interesse del consorte nei suoi confronti".

Così la passione per i viaggi - adorava i treni - e per l'Oriente, si fusero con la nuova passione per l'archeologia, materia nella quale venne indirizzata e seguita dall'amato marito. Aghata non perderà occasione per accompagnarlo in Oriente, aiutandolo a ripulire e catalogare i reperti e documentando gli sviluppi degli scavi con molte fotografie: tanto si entusiasmò a questa disagevole vita da dichiarare che la miglior colazione del mondo non era quella servita su un vassoio d'argento in un grand hotel, ma una salsiccia cotta sul fuoco nel deserto.

Ma cosa la affascinava dell'archeologia? Certamente il metodo di lavoro che procede per indagini attraverso gli elementi raccolti, spesso difficili da collegare tra loro. Proprio il metodo seguito dai personaggi dei suoi libri per scoprire l'assassino.




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